Basket
Dell’Aquila e il Leone S2 #30 – Il discorso motivazionale
Il riposo più lungo del dovuto non fa più notizia, anzi dilata il tempo di discussione sull’ultima sfida che si inserisce perfettamente, con buona pace dei tifosi, nel solco tracciato lungo gli ultimi due mesi. L’occasione scaccia crisi, o presunta tale, deve attendere almeno fino a mercoledì prossimo anche se la fiducia attorno alla Effe è in calando. Messo in chiaro, senza velarlo, che la fase 2 del campionato, per la formula con cui è costruita, sia quasi solo interlocutoria dove vincere o perdere non fa una grossa differenza, non si può negare che questa squadra stia attraversando una crisi: di risultati e di gioco.
Senza ripercorre le cronache delle sfide affrontate dai biancoblu da fine gennaio ad oggi, emerge dal parquet una inefficacia diffusa nel risolvere le situazioni critiche. Se una squadra scende in campo in questo momento con la Fortitudo sa che, se riesce a rimanere attaccata alla gara (sempre che non la chiuda prima) al 90% porta a casa la partita. Piacenza ne è solo l’ulteriore conferma alla quale si aggiunge anche uno spaesamento nelle manovre che annichilisce qualsiasi spettatore. Messo giù con parole più nette e dirette: sabato i giocatori in campo non sapevano cosa fare quando la palla in mano. Si sono lasciati scadere più volte i 24 secondi dell’azione affidandosi troppo tardi a quei “tiri-preghiera” che nemmeno in tempo di Pasqua possono funzionare. Infatti non funzionano aprendo le porte per il trionfo casalingo nell’immobilismo generale. Nemmeno Candussi, il faro fortitudino delle ultime uscite, riesce a dare un contributo; a dire il vero, per ingenuità fallosa esce dai radar della partita quasi subito senza metterci più piede. Un segnale con cui si sventola bandiera bianca, doppia bandiera bianca quando la schiena di Fantinelli non gli permette di continuare, tripla bandiera bianca quando nella giornata di ieri la società comunica che ai box, oltre al capitano, ci sono anche Cucci e Panni.
Gira tutto piuttosto male e, al di là delle dichiarazioni tendenziose che si rincorrono, è necessario trovare nuovi stimoli per affrontare la situazione presente. Si tratta della parafrasi di quanto detto da Dalmonte nell’ultimo post partita. Il coach, più poeticamente, ha parlato di trasmettere emozioni da trasformare in motivazioni; ergo, nuovi stimoli per la squadra.
Subito l’immaginario collettivo si posa sulla scena del discorso di Al Pacino nello spogliatoio di “Any given Sunday” (“Ogni maledetta Domenica”):
“O risorgiamo come squadra o cederemo, uno schema dopo l’altro fino alla disfatta. Siamo all’inferno signori miei, possiamo rimanerci, farci prendere a schiaffi oppure aprirci la strada lottando verso la luce…In questa squadra si combatte per un centimetro…perché sappiamo che quando andremo a sommare questi centimetri il totale allora farà la differenza tra la vittoria e la sconfitta…”
Motivazionale, bellissimo, emozionante ma è un film e sebbene Dalmonte possieda una dialettica che strizza l’occhio alle metafore, la realtà è la realtà. Come ogni altra, non si modifica con la bacchetta magica però non è nemmeno impossibile da correggere.
Le tematiche affrontabili, per tornare all’inizio, crescono con il passare dei giorni, dalla sconfitta apparsa svogliata agli infortuni, dalle ipotesi di calendario futuro fino al lancio dei giovani in campo viste le contingenze. In tutte queste rientra il lavoro, soprattutto mentale, dell’allenatore che come detto da lui, dovrà spostarsi su binari nuovi per affrontare le sfide più immediate che il futuro propone. Con chi? Con chi sarà a disposizione e per questo l’idea di doversi affidare a delle rotazioni che prevedano anche degli under potrebbe sia essere un obbligo sia un’occasione di valutazione rispetto a chi è sempre stato visto scaldarsi con il resto del roster ma poi non è mai sceso in campo se non nei garbage time.
Il problema della Fortitudo è che non si trova davanti a dei dilemmi, a dei rebus da sciogliere ma ad una situazione di difficoltà oggettiva dalla quale se ne esce con la convinzione collettiva di volerne uscire magari aiutati da un pizzico di fortuna fisica. Scendendo un po’ più nel particolare, se ne esce trovando un sistema di gioco che permetta un coinvolgimento dell’intero roster senza dover dipendere dal talento di un singolo e senza dover adattarsi a prescindere alle manovre avversarie che valorizzano i propri punti di forza ma non quelli della Fortitudo.
Al lavoro quotidiano del coach, l’arduo compito di ricostruire una squadra che combatte per un centimetro.
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