Cos’è il derby per la Bologna della palla a spicchi? Difficile, se non impossibile, darne una definizione univoca. Benché scontato, di certo non è una semplice partita di pallacanestro, perché da sempre prescinde dagli obiettivi stagionali delle due sfidanti e, spesso, dai valori tecnici dei loro protagonisti in campo. Altrettanto limitativo, anche se realistico, sarebbe definirlo come un evento atteso per mesi (talvolta, anni) che fa palpitare un’intera città solo nominandolo e che catalizza pensieri e discorsi su ogni sponda già con svariato anticipo rispetto alla sua disputa.
Nel gennaio 2017, a poco meno di otto anni di distanza dall’ultima volta, torna a disputarsi il derby n. 104 di Basket City: a pochi interessa che si svolga in un contesto meno nobile di quello cui si era abituati, perché l’attenzione mediatica, dentro e fuori mura, attorno a questo appuntamento è quella di una finale programmata fuori stagione, tanto che la cornice di pubblico (oltre 9000 spettatori) non avrà granché da invidiare a tante antiche sfide dell’epoca in cui Bologna era capitale del basket europeo.
La partita è prevista per il giorno dell’Epifania, ma in realtà inizia molto prima, almeno otto mesi, quando la Virtus perde inopinatamente la sua ultima uscita stagionale a Reggio Emilia e retrocede in seconda serie, rendendo molto meno amara – ed anzi auspicabile secondo alcune dissennate correnti di tifo – la successiva sconfitta in gara 5 di finale promozione della Fortitudo. Da quel momento, nonostante il poco credibile distacco paventato in alcune dichiarazioni pubbliche, i percorsi delle due metà bolognesi viaggiano in prospettiva della prova più attesa.
Perché il derby, in realtà, a Bologna dura tutto l’anno e da sempre: il confronto a distanza tra le due fazioni cittadine non si è mai interrotto, a prescindere da categorie, obiettivi e palcoscenici differenti, poiché un occhio di riguardo a “cos’hanno fatto gli altri” è un’abitudine ai limiti del morboso da cui non è facile esentarsi. Figurarsi quindi se, dopo anni di distanza forzata, la concorrenza diretta è certificata anche dai calendari della seconda serie nazionale, così legittimando anche le più patologiche ossessioni competitive delle menti tifose.
Rispetto alle previsioni dei nastri di partenza stagionali, tuttavia, al grande appuntamento si presentano due squadre con umori e situazioni agli antipodi: la Virtus veleggia ai piani altissimi della classifica, forte di scelte pressoché del tutto indovinate nei punti cardini della squadra; la Fortitudo invece, dopo gli sconsiderati proclami estivi figli di scorie d’entusiasmo della stagione precedente, insegue a distanza arrancando sulle difficoltà (o per la vera e propria mancanza) dei propri stranieri. Dopo soli pochi mesi, sembra lontano anni luce il contributo dell’accoppiata Daniel-Flowers, tutt’altro che colmato dall’indolente pivot Justin Knox e dalla disastrosa querelle riguardante il tesseramento della guardia Chris Roberts, sostituito in tutta fretta dallo sloveno Mitja Nikolic, presunto tiratore obiettivamente improponibile a certi livelli.
Il pronostico, nell’immediata vigilia del match, sembra quindi decisamente chiuso a favore dei padroni di casa bianconeri, ma i derby, si sa, hanno da sempre una storia propria.
E comunque sia, il derby è il derby: non si può mancare. E non può mancare nemmeno chi, pur febbricitante e debilitato da un male che lo porterà da lì a pochi giorni ad un lungo ricovero e delicate operazioni chirurgiche, è ugualmente presente sugli spalti di Casalecchio per incitare i propri colori. O anche chi sa già che, dopo il presumibile finale, dovrà rimanere chiuso in casa in solitudine per tre interi giorni, rinunciando persino ad incontrare gli amici di sempre in attesa che si rimargini quella dolorosa ferita. Ma che nessuno venga a raccontare che si tratta di reazioni sproporzionate, di manifestazioni di tifo poco sano o mancanza di sportività: è passione, pura e semplice, nel suo più profondo significato etimologico di violenta e persistente emozione, divenuta ormai parte del patrimonio genetico e, come tale, inestirpabile. Non c’è nulla di razionale e misurabile in certi sentimenti, si è solo condannati a viverli, nel bene e nel male.
In campo, nonostante la tensione palpabile, la partita si gioca eccome. Le speranze dei colori biancoblu sono alimentate da un’intuizione tattica di coach Boniciolli che riesce ad ovviare alla sfida sulla carta più impari, affidando a capitan Mancinelli la marcatura di Kenny Lawson, vero e proprio spauracchio per i tifosi dell’Aquila. Irretito così il miglior giocatore avversario, la Fortitudo risponde colpo su colpo grazie al coraggio dei propri giovani leoni: Leonardo Candi, Matteo Montano e Nazzareno Italiano, oltre alla miglior esibizione in maglia biancoblu del playmaker Michele Ruzzier, riescono a sopperire all’evidente handicap di talento e tengono la partita in bilico fino al finale punto a punto. E dopo un match a tratti eroico, nelle ultime battute i ragazzi di Boniciolli pagano però ingenuità e fatica, sprecando addirittura la possibilità di chiudere a proprio favore la contesa e facendosi trascinare fino al supplementare per stabilire a quale delle due sfidanti assegnare i due punti in classifica.
Alla fine, non senza rammarico, avrà la meglio la Virtus per un solo punto, ma per molti il derby, come da antichi ricordi di messiniana memoria, finisce in pareggio: i ragazzi biancoblu sono riusciti a resistere all’ondata bianconera pur senza il contributo di due stranieri affidabili ed escono comunque tra gli applausi dei loro tifosi. L’amarezza è tanta, ma toccherà attendere solo qualche mese per prendersi l’attesa rivincita nella gara di ritorno al PalaDozza, quando scendendo in campo ad armi pari – finalmente gioca con la canotta biancoblu n. 8 un certo Alex Legion – l’Aquila farà propria con grande autorità il derby n. 105 e la virtuale differenza canestri negli scontri diretti.
Assorbita la sbornia per aver ristabilito gli equilibri cittadini e vendicato l’impresa sfumata nella gara di andata, la smania di un nuovo scontro tra le due fazioni è tale che in breve tempo sotto i portici bolognesi comincia a serpeggiare ossessivamente la prospettiva di un altro derby, magari addirittura in finale. Ma con il sollievo di molti cardiologi, le strade delle due rivali non si incroceranno più, perché, con l’intervento di un destino beffardo, proprio quell’ultima sconfitta al PalaDozza costata il primo posto in regular season alle Vu Nere, garantirà loro un percorso nei playoff indubbiamente più agevole, viatico per la comunque meritata promozione della squadra allenata da coach Ramagli.
Dalla stagione successiva, quindi, ci si dovrà nuovamente accontentare di monitorare a distanza “cos’hanno fatto gli altri”, ma, benché sconsideratamente logorante, resta il ricordo di uno spettacolo di emozioni che è valsa la pena comunque vivere. In attesa della battaglia n. 106, perché non c’è Basket City senza derby.
Continua a leggere le notizie di 1000 Cuori Rossoblu e segui la nostra pagina Facebook