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Fortitudo: La vera essenza della Fede biancoblu

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Non di rado nelle discussioni tra contrapposte fazioni, può sentirsi affermare che il tifo per la propria squadra del cuore è qualcosa in più di un semplice hobby o una passione da coltivare, venendo piuttosto percepito come una vera e propria fede.

Ebbene, ciò che potrebbe apparire pura retorica, trova invece riscontri tangibili nel mondo fortitudino.

Questa è la storia di quando, un’ormai lontana grigia domenica di febbraio, un rumoroso manipolo di eroi ha risalito la via Emilia non per seguire la propria squadra del cuore o assistere ad un’importante partita di basket, ma con il solo scopo di tifare per un’idea.

Tutto inizia qualche sera prima, quando un imberbe si presenta ad una riunione della Fossa dei Leoni e, completamente impacciato, interrompe le discussioni in corso alzando la mano come a scuola e calamitando all’istante tutti gli sguardi interrogativi dei presenti. La richiesta, per un osservatore esterno, può apparire totalmente paradossale: l’imberbe vorrebbe procurarsi i biglietti per una partita in cui la Fortitudo non avrebbe giocato.

La storica società avente codice d’affiliazione F.I.P. n. 103, infatti, è stata di fatto radiata ormai da due anni e non partecipa più ad alcun campionato professionistico nazionale.

Ciò nonostante, il nostro eroe scambia i soldi dei biglietti per sé ed i suoi tre compagni d’avventura in cambio di una promessa verbale di rivedersi qualche giorno dopo all’ingresso del palasport di Assago, nella periferia sud milanese.

Con ampio anticipo e senza alcuna certezza su ciò che li attenderà, quattro ragazzi bolognesi salgono in macchina alla volta del capoluogo meneghino: all’appello manca un componente, trattenuto controvoglia sui libri per un imminente esame universitario, il quale tuttavia passerà l’intera giornata a chiedere aggiornamenti telefonici e monitorare video ed immagini dell’impresa come se fosse presente sul posto. Non si hanno notizie sull’esito dell’esame, ma certamente non fu quel pomeriggio ad agevolarne l’eventuale superamento.

Giunti in terra lombarda, si narra di una surreale conversazione con un posteggiatore locale, al quale i quattro spaesati forestieri chiesero dove fosse il settore dei tifosi Fortitudo ed il malcapitato, tra l’imbarazzato e l’incredulo, rispose: “Veramente oggi qui giocano Siena e Varese…

Tutto vero: quel 10 febbraio 2013, a sfidarsi sul parquet del Forum nella finale di Coppa Italia giocano MontePaschi Siena contro Cimberio Varese.

Ma cosa c’entrano allora i nostri quattro viandanti? E gli altri tre pullman di tifosi che li raggiungono poco dopo da Bologna tra tamburi, fumogeni e bandiere? L’obiettivo non può certo essere quello di sostenere una delle due sfidanti in campo, considerato il rapporto non certo idilliaco tra le rispettive tifoserie.

A dispetto di ogni loro puerile scetticismo, i nostri quattro argonauti riuscirono ad entrare regolarmente nell’impianto milanese insieme ad altre 300 persone cantando ed inneggiando la propria fede, sotto un enorme striscione con lo stemma della F scudata e l’eloquente scritta “Ecco la Fortitudo”.

In pochi ricordano come finì la sfida sul parquet, ma sugli spalti, ancora una volta, i vincitori furono loro: quelli che non dovevano nemmeno esserci, che per molti benpensanti erano venuti solo per provocare, ma seppur confinati nell’anello più estremo dietro al tabellone segnapunti, riuscirono comunque ad attirare l’attenzione di tutti gli altri presenti cantando il proprio senso di appartenenza a qualcosa che, per tanti, negli ultimi tempi era apparso solo come una speculazione o, forse peggio, un problema da cancellare.

Il senso di quel gesto clamoroso, ben lungi dal rappresentare una banale provocazione, era la rivendica della reale paternità di un patrimonio culturale ed umano che trascende da società, presidenti e giocatori.

Nessuna tempesta distruggerà la nostra fede

La professione di fede che ancora oggi troneggia sotto gli archi del PalaDozza e su svariate maglie bianche e blu racconta una dichiarazione d’intenti ed al tempo stesso un monito nei confronti dei disastri sacratiani, delle controverse imitazioni di Romagnoli e delle asettiche delibere dei politicanti della pallacanestro.

La Fortitudo è il suo popolo.

Epilogo: dopo la partita il nostro drappello, soddisfatto sebbene probabilmente non ancora del tutto consapevole di quanto fatto, raccolse letteralmente dal ciglio della strada un ulteriore membro della spedizione, che non aveva voluto mancare all’improbabile e memorabile impresa pur arrancando su un piede ingessato. E sulla strada di casa, ormai con il calar della sera, l’autostrada A1 brulicava di sciarpe e bandiere biancoblu, nemmeno si fosse tornati indietro a quasi otto anni prima dopo l’indimenticabile canestro di Rubén Douglas.

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