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31 Gennaio: il punto su Basket City, per non alimentare sterili pressioni

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In un contesto come quello del basket italiano, dove la regolarità di ogni campionato viene ogni anno messa in discussione da fallimenti, inadempienze fiscali o contrattuali delle società (per la cronaca, quello che sembra stia accadendo a realtà storiche come Avellino e Cantù) forse il tifoso della Virtus Segafredo potrebbe già ritenersi soddisfatto della tranquillità con la quale, dopo anni di più o meno velata precarietà (senza tornare alla crisi del 2003) l’attuale società può veleggiare serena tra contendenti che oggi ci sono e domani chissà, fatte salve davvero pochissime eccezioni. È uno specchio dell’odierno ambiente italiano, sicuramente, ma sapere che a meno di tracolli imprevedibili l’attuale conduzione societaria possa lavorare guardando al futuro in termini di programmazione e non alla ricerca di ancore di salvezza rimane qualcosa di cui non ci si dovrebbe mai scordare. Dopo di che, è giusto anche guardare con occhio critico al progetto che essa sta mettendo in campo, con la consapevolezza, però, che l’attuazione di un progetto prevede tempi di sviluppo e lascia presupporre errori e ipotesi sperimentali nel suo evolversi. Ora, questa Virtus Segafredo ha illuso qualcuno per un certo periodo, abbagliato qualcun altro, ma non ha mai promesso né tantomeno affermato di avere raggiunto il top della propria crescita, quindi risulta abbastanza normale che possa attraversare periodi di alti e bassi, magari perché bersagliata da infortuni o anche solo fisiologicamente trovandosi nella necessità di rifiatare.  Che, in buona misura, è quello che le sta accadendo. Con un roster che non può essere, quantitativamente, quello di Milano – l’unica società italiana che può godere dei vantaggi dell’Eurolega – la Virtus ha visto frenare la propria crescita per i diversi incidenti occorsi a suoi uomini chiave; non potendosi, o non volendosi, permettere spese folli (spesso alla base dei tracolli finanziari di cui sopra) ha scelto di investire su giocatori giovani, alcuni pure imberbi ma di belle speranze, per cui non può non risentirne le conseguenze, ma i numeri parlano ancora chiaro: il primo posto in Basketbal Champions League è tutt’ora alla portata, l’ingresso alle Final8 di Coppa Italia è stato raggiunto (ai minimi termini, va bene, ma proprio quando l’organico era stato messo maggiormente in affanno) e per quanto concerne il campionato rimane ancora tutto da scrivere. Vogliamo discutere sulla opportunità o meno di puntare su cambi come Pajola o Cappelleti, sulla effettiva efficacia di un Punter o un Aradori, sulla consistenza del parco lunghi, sulla futuribilità del progetto complessivo? D’accordo, più che lecito, anzi, è il giochino che spetta di diritto al tifoso, purché però non si scenda nella sterile polemica disfattista o addirittura non si arrivi a sentenze apodittiche di fallimenti tecnici o incompetenza manageriale. Taylor è un gran bel giocatore, non è Spanoulis, ovvio, ma non ha nemmeno i suoi costi; un Punter ce lo si sognava di notte fino all’altro ieri, anche se pure lui non è esente da difetti (e chi non lo è?); non occorre dire niente su Martin, credo, e pure su un Cournooh, mentre Aradori è quello che è, più nel bene che nel male, ma lo si sapeva anche prima e si immagina che a fine anno verrà deciso se i suoi grandi pregi in attacco siano sufficienti a controbilanciarne i difetti in difesa; sui centri si sta svolgendo un test costante, sulle ali grandi pure. Sui giovinastri che generano tante perplessità tra i tifosi meno pazienti o lungimiranti mi verrebbe da dire basta, lasciamo che i coach facciano il loro lavoro senza alimentare pressioni esagerate. Pajola ha qualità notevolissime e difetti in larga misura imputabili all’inesperienza, che però deve fare in un ambiente adeguato, non nascondendosi dietro realtà meno impegnative; Cappelletti è un briciolo più misterioso, perché utilizzato molto più a singhiozzo, ma anche per lui valgono più o meno le medesime considerazioni. Oggi, insomma, il tifoso virtussino si lamenta per una serie di sconfitte che non si aspettava, se non altro nelle modalità in cui sono arrivate; sarebbe sufficiente vincere domenica contro Avellino e la settimana prossima contro Patrasso, risultati tutt’altro che impronosticabili, che la situazione verrebbe radicalmente ribaltata. Si viva alla giornata, per ora, e si tirino le somme a maggio: ne guadagneranno il gusto di ogni singola partita, il fegato di ciascuno e soprattutto la serenità indispensabile alla squadra per crescere in armonia e impostare il proprio futuro con ambizioni che non siano estemporanee o peggio ancora velleitarie.

Questa settimana, peraltro, se Atene piange anche Sparta non ride. Contrariamente a quanto accaduto da mesi a questa parte in casa Fortitudo ci si è scoperti frangibili, dopo la sconfitta di ieri sera a Udine, un po’ più pesante della distrazione piacentina. In verità, era da illusi pensare di poter arrivare imbattuti fino a fine stagione, la squadra non ha quella forza e sinceramente si può considerare una mezza impresa aver sbaragliato la concorrenza, come è accaduto fin qui, con tanta apparente facilità. Diciamo che fino ad ora le è andato tutto bene, prima di tutto per le scelte tecniche finalmente oculate operate dai vertici societari ma anche per quelle meno produttive delle squadre avversarie, tutte abbastanza discutibili per i risultati che stanno ottenendo ben al di sotto delle aspettative, a cominciare da Treviso, ma anche dalla stessa Udine. Una sconfitta come quella di ieri potrebbe addirittura tornare utile per ripiombare sulla terra e non cadere nell’apatia che spesso è causata dalla sicumera di chi si sente clamorosamente migliore degli altri. Questo, in funzione di una Coppa Italia per la quale la Fortitudo Lavoropiù non può che essere favorita assoluta, ma ancor di più per il dopo festeggiamenti della presumibile vittoria che non dovranno distrarre esageratamente dall’obiettivo finale ben più importante e oggi come oggi assolutamente a portata di mano.  Senza esagerare nei trionfalismi rimane difficile pronosticare il contrario, risultati e calendario alla mano, ma nello sport non si può mai dare alcunché per scontato fino alla fine, come insegna proprio la storia della pallacanestro.

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