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Oggi l’addio a Gigi Serafini, il gigante buono della Virtus che seppe tornare allo scudetto

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Per gli appassionati di basket bolognesi della mia generazione, quella che iniziava ad entrare al “Palazzo” come tifosa negli anni in cui l’Avv. Porelli cominciava a trasformare la Virtus in una propria creatura, Gigi Serafini era l’emblema del basket. A noi ragazzini delle medie Gandino, proprio di fianco al palasport, capitava di vederlo sui gradini di via Graziano, e fra di noi era d’uso dirci “Lui seduto è più alto di me in piedi!”. In effetti, coi suoi due metri e dieci era imponente oltre misura. In Italia, una delle poche vere torri della nostra pallacanestro, allora: gli altri, Enrico Bovone e Luciano Vendemini, davvero poco fortunati nella vita come nella carriera, dove non hanno vinto quanto Gigi. Che aveva sì giocato anche a Venezia, Milano (la Xerox di Chuck Jura), Fabriano e Firenze, ma è rimasto sempre soprattutto un eroe della Virtus tornata allo scudetto nel 1976; con le Vu Nere ha peraltro vinto pure una coppa Italia, nel ’74, così come ha ottenuto risultati prestigiosi con la Nazionale: il bronzo agli Europei del ’71, un quarto e un quinto posto alle Olimpiadi, 113 partite giocate, più di 500 punti realizzati. Serafini era per noi comunque l’emblema del basket non solo perché era così alto: in campo era un punto di riferimento imprescindibile. Già in quintetto giovanissimo, lui e Gianni Bertolotti erano i soli della Virtus dei tremendi spareggi per non retrocedere ad essere ancora presenti nella squadra dello scudetto, entrambi inamovibili in quintetto. Però il carattere ombroso di Bertolotti lo teneva un po’ distaccato dai tifosi, mentre Gigi sembrava quasi vivere per loro, sempre disponibile a una chiacchiera, a volte anche alla discussione, con un’autorevolezza che proveniva dall’imponenza fisica almeno quanto dalla sua capacità di leggere le situazioni cestistiche. Nei suoi anni virtussini ero poco più che un cinno, non lo ho potuto conoscere personalmente, ma ricordo che i “grandi” ne parlavano sempre con assoluto rispetto, il che non è sempre scontato con i giocatori.
Tecnicamente c’è poco da dire: il suo gancio era mortifero; efficacissimo a rimbalzo e nello scivolamento verso canestro, o ancor più nel tiro dalla media dall’angolo sinistro.  A volte rivedibile in difesa, come tanti che si fidano un po’ troppo della propria capacità d stoppare. Col tempo aveva imparato pure a passare bene la palla, dote essenziale per un pivot che si rispetti. Ecco, col tempo, questo è stato un altro suo pregio: riuscire a crescere con l’applicazione costante in allenamento e nel confronto con i compagni più forti, a Bologna Tom McMillen e Driscoll, a Milano Jura. Smise di giocare trentacinquenne, probabilmente spompato da diciotto anni di carriera, ma il suo amore per il basket non è mai scemato; altrettanto, quello per la Virtus, che ora ha perso – troppo presto – una sua indiscussa bandiera. I suoi tifosi non si sono peraltro mai dimenticati di lui, fra l’atro riscoprendolo simpaticamente attivo sui social: la sua pagina facebook conta parecchie migliaia di “amici”. Una pagina ora piena di messaggi di cordoglio da ogni dove, perché il gigante buono ha saputo riempirsi di amici veri ovunque sia passato.

Oggi sarà allestita la camera ardente dalle 13,30 alle 15,45 nell’area esterna della Palestra Porelli  in via dell”Arcoveggio 49/2. Alle 16,30 sarà celebrato il rito funebre presso la chiesa di San Girolamo in Certosa

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