Basket
Polonara, l’intervista nel nuovo podcast “Non solo Virtus”
Dario Ronzulli ha intervistato Achille Polonara nel nuovo podcast “Non solo Virtus”: il giocatore bianconero, fresco di rientro negli allenamenti con la prima squadra, ha raccontato il suo recente passato, toccando però anche tasti felici come l’Olimpiade e concludendo in merito alle ambizioni future, quando non sarà più un giocatore di basket.
Achille, come stai?
«Sto bene, è stato un periodo tosto ma sono felice di essere tornato nel gruppo. Si tratta del primo allenamento dopo questa situazione complicata e delicata, sono felice, dopo 2 mesi dall’operazione sto bene e sono pronto per tornare a giocare»
Che sensazione è stata il tornare ad allenarti e scontrarti coi tuoi compagni?
«Ero carichissimo, come se dovessi giocare una partita ufficiale, aspettavo da tanto tempo di poter fare un allenamento con loro. Ho cercato di allenarmi al meglio, mi sono sentito bene, pensavo di essere in una condizione peggiore. Giorno dopo giorno andrà sempre meglio»
Quando hai scoperto della problematica come è andata, che giorni sono stati per te?
«L’ho scoperto per un controllo antidoping dopo la finale di Supercoppa di Brescia, il risultato è arrivato il 6 ottobre con una mail dal Controllo Federale del Doping, quando dopopranzo ero nel letto con mia moglie e mia figlia. Mi sono preoccupato, in tanti anni di test antidoping non avevo mai ricevuto mail: c’era scritto che avevo un valore anomalo e dovevo dimostrare in due settimane se questo proveniva dal mio corpo o meno. Panico, da un lato ero sereno perché non avevo assunto nulla, dall’altro mi ero detto “chissà di che si tratta, se proviene davvero dal mio corpo”. Parlai col dottore della Virtus, Rizzo, che mi disse che si sarebbe mosso per scoprire di che si trattasse, ma in generale si raccomandò di non preoccuparmi. Mi sono documentato su questo valore HGC su Internet, dove ho trovato inizialmente riferimenti alla gravidanza, poi con una ricerca inerente al campo degli atleti ho trovato un articolo sul calciatore Acerbi, che ha avuto la stessa cosa e la scoprì praticamente nella stessa maniera, cioè tramite un controllo antidoping. Il Dottor Rizzo mi ha detto che saremmo dovuti andare all’Ospedale Sant’Orsola a fare un esame, e ciò che mi aspettavo, dopo aver letto l’articolo su Acerbi, era qualcosa di simile: con l’ecografia si è subito visto, infatti, il tumore. Lì per lì l’ho presa abbastanza tranquillamente: i dottori mi hanno detto che non erano a rischio né la mia vita né la mia carriera, e questo mi ha aiutato parecchio»
Sembra che tu l’abbia vissuta più che altro come una scocciatura, dato che la stagione era appena iniziata ed avevi cambiato maglia da poco: un peso, quindi, nella tua carriera c’è stato.
«Sì, ero un giocatore nuovo alla Virtus, avevo fatto poche partite: in 32 anni non avevo mai subito nessun’operazione, mi sono dovuto invece fermare per una cosa delicata ed il fatto di dovermi sottoporre ad un intervento mi preoccupava. Dopo l’operazione ho pensato “basta, è fatta”, ma in realtà è più importante la TAC dopo, che ti dice se il tumore se ne è andato o meno. Sono stati giorni di ansia, ma adesso spero che il peggio sia passato e che possa tornare tutto come prima»
Non sei mai stato fuori per problemi fisici: come hai vissuto il fatto di dover stare fuori a guardare i tuoi compagni giocare?
«Non è mai facile assistere da spettatore ad una partita dei tuoi compagni. In questi casi, ovviamente, la salute viene prima di tutto, ognuno deve pensare a sé stesso, a rimettersi in forma, poi dopo viene il resto: ciò che conta è la salute. Non avendo mai avuto problemi di salute mi sono trovato un po’spiazzato, ma soprattutto in questi momenti l’aspetto mentale è molto importante, la mia famiglia mi ha dato tanto aiuto e mi è sempre rimasta vicina, rimanendo sempre positiva, almeno davanti ai miei occhi. Vedere le cose con un occhio ottimista è molto importante, se non è così tutto diventa più difficile»
Hai ricevuto tanti messaggi da tifosi e persone che, tramite la tua storia, hanno effettuato i tuoi stessi controlli e si sono sentiti di ringraziarti.
«Mi hanno scritto in tantissimi, soprattutto ragazzi che hanno avuto il mio stesso problema, che mi hanno rincuorato, rassicurandomi del fatto che tutto torna come prima e si possono avere altri figli: sono stati messaggi di grande conforto per me. Mi hanno scritto altri ragazzi che invece, sottoponendosi allo stesso test, hanno scoperto di avere lo stesso problema: un consiglio che posso dare loro è di stare tranquilli e di prenderla in maniera ottimista, perché sennò tutto diventa più difficile»
Sei un giocatore nuovo della Virtus, ma quando sei arrivato al Palazzo per la prima volta c’è stato un boato del pubblico per te: lo hai percepito?
«Era ora che le nostre strade si incrociassero, dopo due stagioni a rincorrerci era giusto che finalmente ci trovassimo. Sono molto contento di essere qua, sin da quando ho firmato ho ricevuto tantissimo affetto da parte dei tifosi: sono carico e contento di come i ragazzi stanno andando, mi auguro di riuscire a portare prima possibile anche il mio contributo»
Avete iniziato con una vittoria in Supercoppa e con un cambio di allenatore, una fase di trambusto ma anche di grande soddisfazione: per un atleta costretto ad interrompere un discorso positivo, quanto è complicato poi doversi “risintonizzare” dopo due mesi fuori? Vivi come un ostacolo il fatto di doverti rimettere in sintonia con la squadra o il fatto di essere sempre rimasto a stretto contatto con loro è un vantaggio?
«Bene o male sono sempre rimasto a contatto con loro, mi allenavo prima o dopo di loro, ho partecipato a delle riunioni pre-partita, mi sono sempre sentito con la squadra in queste settimane: sono ovviamente uscito dai ritmi delle partite, ma sta a me rimettermi pian piano in gioco in campo, tornando col tempo a dare il mio contributo»
Come ti immagini la tua prima partita dopo il rientro?
«Non vedrò l’ora di giocarla, sono molto carico ma per fortuna a 32 anni ho raggiunto la consapevolezza del fatto che quando si prende la partita in questa maniera spesso si fanno brutte figure: cercherò di giocare in maniera tranquilla, come se non fossi mai stato fermo, provando a dare quello che posso»
Hai detto che la tua famiglia ha giocato un ruolo fondamentale, a partire da tua moglie ai tuoi figli piccoli: come ti sei rapportato con loro, come gli ha raccontato la situazione?
«Ai miei figli non l’ho detto, sono molto piccoli e non si potevano rendere conto della problematica. Il più piccolo ha un anno, la grande ne ha tre ma non viene quasi mai alle partite, che sono spesso di sera, quindi non ha percepito il fatto che non giocassi: non si sono neanche resi conto di quello che ho avuto, solo negli ultimi giorni, essendomi tagliato i capelli, gli ho spiegato che non era una cosa legata alla mia volontà ma ad un problema che avevo avuto e che sarebbero ricresciuti. Il fatto che siano così piccoli è stato un vantaggio, non ho dovuto spiegare delle cose complicate che avrebbero potuto scombussolarli»
E come hanno accolto il tuo nuovo tatuaggio?
«Il piccolo lo capirà tra un po’, la grande, che è anche troppo sveglia, un giorno dice che le piace, quello successivo di no: onestamente non so come l’abbia presa»
Hai un rapporto molto stretto coi tatuaggi, ogni momento della tua vita hai deciso di immortalarlo sul tuo corpo e hai tantissimi tattoo. In merito ad uno in particolare però volevo continuare la nostra chiacchierata: quello con i cinque cerchi. Fai infatti parte dell’elenco dei giocatori che si sono tatuati le Olimpiadi sulla pelle: come ci si sente ad essere in una lista in cui sono presenti atleti come Usain Bolt e Lebron James, che hanno letteralmente fatto la storia dello sport?
«Non posso essere accostato ai nomi che hai appena fatto, però giocare un’Olimpiade è qualcosa di indescrivibile e te ne rendi solo conto sul posto, mentre ti stanno presentando. È un’emozione unica, anche se noi abbiamo avuto la sfortuna di dover competere a porte chiuse. È stato tutto incredibile: ci siamo qualificati contro la Serbia in casa loro, nessuno se lo aspettava»
Quale partita in azzurro ti ha dato più soddisfazione?
«Forse proprio quella partita: la finale per qualificarci per Tokyo è stata la più grande gioia a livello sportivo che abbia mai avuto»
Ricordo una tua partita in nazionale under 20 che mi gasò tantissimo, la semifinale europea under 20 del 2011 contro la Francia. Tu, Melli, Gentile, Moraschini.. Una partita incredibile, contro la nazionale transalpina di Gobert, Furnier…
«Anche quella fu una grande gioia, però sai, parli di under 20, che non è seguita da tutta l’Italia… Invece per quella partita ho ricevuto messaggi da persone che non mi aspettavo nemmeno avrebbero visto la partita, che non mi erano mai venuti a vedere di persona ma che sapevano bene l’importanza di quel match»
Come dicevi l’edizione dei Giochi del 2020 è stata particolare, giocata interamente a porte chiuse. Non eravate liberi di girare, ma siete stati al villaggio olimpico: c’è qualche atleta che ti ha lasciato a bocca aperta vedendolo dal vivo?
«Mi colpì molto Djokovic: c’era una grandissima mensa su due piani, ogni volta che si presentava era circondato da atleti che volevano fare la foto con lui, pranzo e cena. Volevo farla anche io ma non gliel’ho chiesta, mi sono detto che era meglio lasciarlo in pace dato che mi dispiaceva vederlo col vassoio in mano invaso dai fans»
Uscendo dal basket, c’è qualche sport che segui con più interesse?
«Seguo il calcio ed il tennis, in questi giorni ho seguito naturalmente le finali dell’Italia per la Coppa Davis, e sono anche andato a vedere una partita del Bologna: quando posso mi piace andare, il Bfc sta facendo bene e c’è una bella atmosfera, in questo caso ne sto diventando tifoso»
C’è qualcosa che “rubi” al calcio nei movimenti in campo? Oppure qualcosa che ti colpisce?
«Mio padre quando ero piccolo mi diceva che ero un grande osservatore, durante le partite del basket ero concentratissimo, volevo vedere ogni movenza di giocatori ed allenatori, per capire quali fossero le cose giuste da fare. Anche nel calcio, che è uno sport di squadra, penso ci sia qualcosa che possa essermi d’aiuto, quando vado allo stadio cerco di guardare la partita in modo attento per vedere se posso raccogliere qualcosa di utile per la mia carriera»
Chi vince negli 1 vs 1 con tuo fratello, anche lui giocatore di basket?
«Sempre lui, ovviamente. Lo faccio vincere in segno di rispetto, dato che è più grande»
A casa, quando non ti alleni, cosa fai?
«Adesso avendo due bambini faccio il papà, ed è come se fosse un secondo lavoro. Per me passare tempo coi miei figli è bellissimo, anche solo accompagnarli a scuola, andare al parco, passare tempo con loro e vederli crescere… Il giorno in cui mio figlio ha iniziato a camminare mi sono emozionato, ho pianto, e non sono affatto una persona sensibile di carattere. Passare ogni giorno con loro è emozionante e bello»
È stato difficile per te e tua moglie spostarli da una città all’altra in questi ultimi anni?
«Sì, è stato difficile fare soprattutto i traslochi, ma sono fortunato perché mia moglie è sempre presente e mia suocera, nonostante abbia un proprio lavoro, è stata di enorme aiuto ed è una fantastica nonna attiva e attenta per i piccoli. Lo scorso anno abbiamo cambiato città a gennaio ma per quanto riguarda i miei figli per il momento è andata bene»
Sa già tua figlia perché si chiama Vittoria?
«È ancora presto. Ha un significato bello, spiegarle che ho vinto lì il campionato adesso non sarebbe utile, voglio farle un bel discorso e spiegarle anche perché mia moglie non fosse convinta del nome, nonostante la città le piaccia molto: alla fine, infatti, sono riuscita a convincerla»
Tua moglie è un’ex atleta. Questo aiuta il rapporto? Tu non hai di certo la vita canonica di un trentaduenne.
«Era una judoka. Certo che aiuta, il judo è stata la sua vita fino alle Olimpiadi di Londra, che ha dovuto saltare per problemi alla spalla. Capisce che il basket sia la mia vita ma avendo fatto uno sport individuale a volte non capisce dei meccanismi che ci sono all’interno del gruppo»
Ultima domanda: Achille Polonara, quando si ritirerà dal basket giocato, sarà contento se… oppure va già bene così?
«Bella domanda, quando smetterò di giocare non credo resterò nell’ambiente, nonostante la pallacanestro sia sempre stata la mia vita e continuerò ovviamente a vedere partite: essendo stato giocatore, non credo che potrei trovare la stessa passione da dirigente o da allenatore, quindi credo mi darò ad altro. In questi ultimi anni in cui giocherò voglio vincere più trofei possibili, togliendomi soddisfazioni con la maglia di Bologna e della Nazionale, quando appenderò le scarpe al chiodo voglio dirmi di aver dato tutto per questo sport e di essermi divertito»
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