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STORIE DI BASKET CITY – “Clonate il Baso” – 14 mag

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“Perché smettere? Perché non è più il mio basket, perché non c’è più l’idea che si giochi a pallacanestro, perché l’80% dei canestri è frutto d’invenzione ed estemporaneità, perché la scuola europea sta tramontando soppiantata da quella americana, perché a 40 anni non sono più nelle condizioni di mettere pressioni sulla società suggerendo la linea. E perché ho un’etica troppo alta rispetto al fisico che mi ritrovo in questo momento.” Parlava così Gianluca Basile in un’intervista di non molto tempo fa, eppure, chi lo ha visto giocare e ancor di più chi lo ha amato (anche se le due cose nel 99% dei casi coincidono) spera ancora che un giocatore come lui ci ripensi ad appendere le scarpe al chiodo. Perché a 40 anni ha dimostrato di poter dire ancora la sua in Serie A, perché un giocatore che la mattina di Pasqua si allena in palestra dopo una brutta sconfitta non capita tutti i giorni di trovarlo, perché semplicemente ci ha regalato emozioni come pochi altri hanno saputo fare. Perché lui è Gianluca Basile e questa puntata è dedicata a lui.

Arrivò a Bologna nel 1999 dopo 4 stagioni nelle fila dell’allora Pallacanestro Reggiana, squadra che trascinò in Serie A nella stagione 1996/97. 80 punti in 4 partite nella finale con Gorizia, con una gara 4 da 27 punti , 5 assist e 32 di valutazione. Fu conteso da Virtus e Fortitudo, in una delle tante aste miliardarie di quegli anni tra Cazzola e Seragnoli. La scelta, però, ricadde sulla Effe, di cui poi sarebbe diventato leader e capitano. Il destino ha voluto che la sua partita d’esordio fosse proprio contro la Kinder Bologna. Il giocatore da marcare non è proprio un cliente semplice, si tratta di Antoine Rigaudeau. Gianluca non si scompone minimamente e anzi mostra subito di che stoffa è fatto: rubata proprio ai danni del numero 14 bianconero e due facili in contropiede. Successivamente altra rubata, questa volta ai danni di Nesterovic, ancora una volta con l’incoscienza sportiva del ragazzino, di chi ha la sfrontatezza giusta per fare quelle robe lì. Proprio quell’incoscienza e quella sfrontatezza che poi lo porteranno a “creare” (è proprio il caso di usare questo termine) il tiro ignorante. Già il tiro ignorante quello che su Wikipedia potrete trovare con questa definizione: “con il termine tiro ignorante si identifica un particolare tiro da tre punti della pallacanestro preso in situazioni di emergenza, estremamente forzato, in precario equilibro e con più avversari addosso. O, più generalmente, un tiro “senza coscienza”. Di tiri ignoranti in maglia biancoblu ne abbiamo visti parecchi, a partire da quelli contro Cantù durante i quarti di finale di playoff della stagione 2002/2003, in quella che molti ritengono essere la partita in cui è nata la definizione di “tiro ignorante”. Era il 20 Maggio del 2003 e al Pianella si giocava gara 3, con la serie sul punteggio di 1-1, ad avere la meglio fu la Skipper dopo un overtime e proprio grazie alle triple di Basile che diedero il via all’allungo decisivo dei biancoblu. Tra gli innumerevoli tiri ignoranti resta difficile stabilire quale sia stato il più bello o il più decisivo, anche se, un posto di rilievo lo occupa, senza ombra di dubbio, quello contro l’Efes Pilsen in Eurolega nel 2003/2004 che qualificò la Effe alle Final Four, ma anche quelli contro il Tau la stagione successiva alle Top 16. Ma Basile non è solo “tiri ignoranti”, limitarsi a definire un giocatore come lui solo in relazione ad essi sarebbe come andare in una mostra di un pittore famoso e soffermarsi solo sul quadro più conosciuto. E pensare che di opere d’arte il Baso con la palla in mano ne ha create parecchie.

Basile è la leadership, il carattere, quel suo meraviglioso spirito che lo spinge a caricarsi i compagni sulle spalle nei momenti difficili prendendosi, il più delle volte, la responsabilità dei tiri decisivi. Basile è un giocatore completo su ambo i lati del campo: letale in fase offensiva e decisivo anche in difesa; è la voglia di lottare, lo spirito di sacrificio, è quel ragazzo umile  che arrivò a Basket City nel 1999 e che quell’umiltà non l’ha mai persa. C’era in entrambi gli scudetti e nel secondo realizzò anche il passaggio decisivo per Ruben Douglas, in un anno in cui fu anche eletto Mvp di quelle finali. Quella sera a Milano l’ho visto vagare per il campo con le mani sul volto quasi raccolto in preghiera, attendendo la decisione degli arbitri che stavano consultando l’istant replay. Poi, l’ho visto esplodere di gioia, andare a festeggiare con i suoi tifosi con le braccia alzate verso di loro, come a volergli dedicare quello straordinario trionfo. Perché il Baso, in fondo, lo amavano, oltre che per le prestazioni sportive anche per il fatto che lo sentivano, davvero, come uno di loro. Dopo arrivò il doloroso addio, direzione Barcellona dove vincerà praticamente tutto. La separazione dalla sua gente e quella lettera rivolta ai suoi tifosi: “Sono due notti che non riesco a dormire, mi sembra di essere tornato alla finale scudetto, di riviverla. Sicuramente da un lato sono contento di fare questa nuova esperienza, ma dall’altra sento dentro un rammarico ed un grande vuoto, perché la Fortitudo ha significato tantissimo per me: in questi ultimi sette anni è stata la mia vita dalla mattina alla sera. Pensavo che il distacco potesse essere più facile, ma evidentemente c’è qualcosa di ben più grande di una semplice squadra, qualcosa di unico che lega giocatore, Società e tifosi, e che non si cancella nemmeno con la firma su un altro contratto. La Fortitudo me la porterò dentro, per sempre”.

Da due stagioni gioca a Capo d’Orlando dove continua a dispensare grande basket e ad essere decisivo. In Sicilia ha ritrovato un altro grande cuore Fortitudo, il professor Abele Ferrarini che ha condiviso con lui gli anni in biancoblu. C’è un’immagine, un ricordo indelebile che lega i due alla Effe ed è quell’abbraccio subito dopo la conquista dello scudetto a Milano, un abbraccio fraterno di chi aveva dato davvero tutto per quei colori.

Oltre agli anni in Fortitudo non si possono non citare quelli in Nazionale, anche lì il “Baso” è riuscito a regalarci emozioni uniche. Dalle triple contro gli Stati Uniti in un’amichevole del 2004, fino ad arrivare a quelle contro la Lituania in una semifinale memorabile, di cui ormai conosciamo a memoria un tabellino in cui accanto alla voce Basile compariva scritto 31. Già, 31 punti e quella tripla a spaccare in due la gara sull’86-79, poi quell’esultanza, pura poesia cestistica e agonistica. Basile che corre per esultare e Galanda che lo insegue per festeggiare: immagini indelebile e emozioni che ci porteremo dietro per sempre. Il suo palmares recita: 2 campionati italiani, 2 campionati spagnoli, 3 Cope del Rey, 2 Supercoppe spagnole, 1 Eurolega. 2 volte Mvp, uno della regular season e uno delle finali, mentre con la Nazionale vanta l’argento ad Atene 2004, un oro in Francia e un bronzo in Svezia.

Un eterno giovane, con la stessa voglia del primo giorno,quella della prima volta che ha messo piede su quel parquet. Un giocatore immenso al quale non si può che dire grazie. Grazie per tutte le volte che ci ha fatto alzare in piedi ad esultare per una tripla o per una rubata chiusa poi con 2 facili in contropiede; per tutte le emozioni che ci ha regalato con la maglia della Nazionale, con una squadra che rimarrà per sempre nella storia del basket italiano. Grazie per la passione messa in campo in ogni singolo incontro, per i “tiri ignoranti” e per tanto tanto altro.

Clonatelo! Un giocatore così non può smettere di giocare.


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