Basket
Virtus Segafredo: una finale da affrontare senza la paura di perdere alcunché
E adesso è finale. A conclusione di una stagione strampalata, gestita non proprio benissimo da Lega e FIP, afflitta da una pandemia che ne ha acuito l’imprevedibilità, con decisioni societarie a volte quantomeno discutibili, con un allenatore a tratti messo sulla graticola ma a volta infilatovisi anche da sé, la Virtus Segafredo ha raggiunto un risultato che, pur non essendo “storico”, giacché così com’è non permette di aggiungere alcunché al palmares, rimane, a livello statistico (e non solo) di assoluta rilevanza. La Virtus Pallacanestro torna a disputare la finale del campionato italiano dopo quella (allora parsa forse anche un po’ casuale) del 2007, ma soprattutto sembrerebbe davvero riaffacciarsi a quell’empireo dal quale è stata esclusa circa una ventina di anni fa.
La stagione, in altre parole, è salva, e la ridda di ipercritici che i portici bolognesi nascondo dietro ogni pilastro dovrà farsene una ragione. È vero che il risultato massimo (la finale di Eurocup) non è stato raggiunto, che quello “intermedio”, come potrebbe essere una quasi incredibile vittoria finale, pare abbastanza fuori portata, ma quello che doveva “comunque” fare questa squadra è stato fatto, e con una discreta perentorietà, visto il 3-0 rifilato alla squadra rivelazione del campionato, giunta, sì, trafelata, causa Covid di primavera, ma sappiamo bene come il virus chi prima chi dopo abbia colpito un po’ tutti, e la stessa Virtus sotto questo aspetto avrebbe parecchio da recriminare.
Tutto bene, dunque? Sì e no, in verità, perché qualche ombra rimane e la sensazione che non tutto sia in verità andato come avrebbe dovuto o potuto non si dissolve completamente. Anche se questo non è ancora il momento dei bilanci, che potrebbero essere smentiti, nel bene e nel male, dal prosieguo di questi play off immacolati, fin qui, per entrambe le finaliste. Lo sport è fatto anche di paradossi, e uno è quello che di fronte si troveranno due allenatori uno dei quali ha legato la propria storia sportiva propria alle Vu Nere (con le quali ha partecipato a tre finali sulle quattro fin qui disputate) ed ora si trova sull’altra panchina, così come quello attualmente virtussino in finale, prima, in quanto coach, ci era arrivato solo con l’Olimpia Milano.
L’entusiasmo virtussino è oggi chiaramente alle stelle ma non so quanto sia il caso di generare eccessive illusioni tra i tifosi. Oggi come oggi, anche se ogni partita comincia dallo 0-0, i favori del pronostico vanno tutti nella direzione della semifinalista di Eurolega. È anche vero che l’ultima volta che Milano e Virtus si sono scontrate in finale ha vinto la meno favorita (ero lo scudetto della stella, chiusosi con la storica schiacciata di Brunamonti lanciato da Van Breda Kolff), ma la squadra del 1984 era soprattutto una formazione solida, priva di stelle assolute ma di un pragmatismo straordinario basato proprio sulla coesione del gruppo. L’esatto opposto, si direbbe per quello visto fin qui, dell’attuale Virtus Segafredo, anche ieri vittoriosa grazie soprattutto alla monumentale prestazione di un immaginifico SanTeodosic. Per fortuna questa Virtus di “stelle” ne ha più di una sola, ma è raro – non impossibile, peraltro – che la vittoria in una serie lunga come questa finale premi questa tipologia di squadra. A meno che non cambi qualcosa, come si è in verità potuto vedere nelle due partite disputate a Brindisi, dove il collettivo ha dato risposte diverse rispetto a ieri ed a quanto riscontrato in precedenza.
Insomma: la Virtus Segafredo entra in questa finale conscia della propria realtà, con l’obiettivo di vincere, certo, ma potendosi nel caso accontentare anche solo di una gara vinta, magari a Milano, a differenza di quest’ultima che invece perdendo ci rimetterebbe quasi completamente la faccia. Un discreto vantaggio, sul piano della pressione, che potrebbe anche condurre a sorprese. Ma a questo punto aspettiamo con la serenità e l’entusiasmo che richiede la partecipazione alla finale del gioco più bello che ci sia.
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