Bologna FC
7 Giugno 1964 – “Storia RossoBlù dalla nascita fino all’ultimo scudetto” – 18 Mag
45 – I giorni dei veleni e dei sospetti
Cosa manca ancora al Bologna di Fulvio Bernardini per tornare sul trono del calcio italiano? Il gioco della squadra del “Dottor Pedata” a tratti incanta e trascina, come nel caso dell’ormai famosissimo 7-1 rifilato al Modena il 14 ottobre 1962, il giorno in cui “così si gioca solo in Paradiso”. Gioca alla grande, quel Bologna, ma regolarmente le prende da Inter, Milan e Juve, quelle che non stanno in Paradiso ma ai vertici del calcio italiano. Dall’Ara smania, i due continuano a non prendersi. “Prima si insegna a giocare a calcio, poi si vincono gli scudetti”, tuona Fuffo. “Altro che poesia e bel gioco”, risponde l’altro, sfogandosi con i fedelissimi, “vorrei vedere un po’ di sano catenaccio. E magari Nielsen e Vinicio giocare insieme. E insomma, che qualche volta venisse a raccontarmi chi diavolo vuol mettere in campo la domenica”.
Insomma, Bernardini cammina a lungo sul filo. Ma Dall’Ara mantiene la pazienza e gli impegni. Ha portato Haller, il suo pallini, rischiando la vita in auto per assicurarselo. Ha pescato anche la carta Nielsen. Serve ancora qualcosa, a questo Bologna-cicala che generosamente si produce in attacco, ma traballa pericolosamente dietro (esemplare il quarto posto della stagione ’62-63, con 58 reti fatte, due più dei campioni dell’Inter, e 39 subite, 20 più dei nerazzurri). A chiudere la saracinesca rossoblù nell’estate del ’63 arriva dunque, dal Mantova, William Negri, detto “Carburo”. Una delle mosse decisive verso il settimo sigillo. Insieme alla decisione di mettere Romanino Fogli più aggrappato alla mezza punta avversaria. E’ la quadratura del cerchio: il Bologna resta uno spettacolo, produce il miglior calcio d’Italia, ma ora non si butta più via. E si capisce subito che sarà una storia diversa. Un’annata magica. Ma da troppo tempo il Bologna non siede al tavolo di quelli che si spartiscono la gloria. Il dopoguerra ha cambiato le gerarchie, lo squadrone del grande ciclo (anche internazionale) non esiste più. E non a tutti, evidentemente, va giù l’idea che possa tornare in auge. O almeno così pensano i tifosi bolognesi quando all’improvviso esplode il giallo che rischia di cancellare sogni e speranze.
Era partito alla grande, il Bologna, nella stagione 1963-64. Squadra più equilibrata e concreta, solita macchina da gol ma anche ben registrata nelle retrovie. Già il 9 febbraio i rossoblù sono in testa alla classifica. E il primo marzo, battendo il Milan a San Siro con reti di Nielsen e Pascutti, viaggiano con due lunghezze sull’Inter e tre sui rossoneri. Sembra un volo inarrestabile. E invece, tre giorni dopo scoppia il caso destinato a lasciare strascichi nel mondo del calcio, a dividere tifoserie e addetti ai lavori tra innocentisti e colpevolisti, a rompere di colpo amicizie consolidate.
Il 4 marzo la Federazione emette un comunicato in cui si parla di analisi positive “all’esame per le sostanze anfetamine-simili” per cinque giocatori rossoblù. I cinque, secondo l’accusa, sono Fogli, Pavinato, Pascutti, Perani e Tumburus. Il controllo si riferisce alla partita Bologna-Torino del 2 febbraio. E poco più di due settimane più tardi, il 20 marzo, la giustizia sportiva emette il verdetto: sconfitta a tavolino col Torino, un punto di penalizzazione, 18 mesi di squalifica a Bernardini e assolti i giocatori perché, secondo la commissione giudicante, la somministrazione delle sostanze illecite era avvenuta a loro insaputa.
Bernardini inizialmente reagisce con comprensibile sconforto, offeso da quel mondo del calcio a cui ha dedicato una vita intera, da giocatore e poi da tecnico, sempre ad alto livello e con una moralità indiscutibile. Poi decide di restare al suo posto. E ritrova la forza per reagire. Ordina il silenzio assoluto ai suoi giocatori, li protegge con totale convinzione. La città scende in piazza, il sindaco Dozza si schiera accanto a società e squadra. La stampa bolognese fa quadrato, con le migliori firme in circolazione (e quelle che lo diventeranno) impegnate in una caparbia ricerca della verità. Ma la mossa più importante la fanno tre avvocati bolognesi. Si chiamano Gabellini, Cagli e Magri. Chiedono l’intervento della magistratura ordinaria, che sequestra le provette incriminate per le controanalisi.
E’ una svolta.
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