Bologna FC
7 Giugno 1964 – “Storia RossoBlù dalla nascita fino all’ultimo scudetto” – 4 Mag
43 – Il tedesco e “Dondolo”, diversi e complementari
Con l’arrivo di Bernardini a rianimare il Bologna, anche il presidentissimo Dall’Ara ritrova il suo proverbiale fiuto per i talenti del pallone. E mette a segno due colpi da maestro.
Il primo arriva dalla Germania, e chiudere l’affare non è impresa da tutti. Il giocatore si chiama Helmut Haller, un semi-dilettante che gioca nell’Augsburg, nella Serie B tedesca, e arrotonda le sue entrate facendo il camionista. Piccole tratte, per assicurarsi gli spazi giusti in cui inserire allenamenti e partite ufficiali. Ma è già un talento, e gravita nell’orbita della Nazionale. Un conoscente lo segnala a Dall’Ara, lui alza le antenne e si mette in moto, alla sua maniera. Mostrando una decisione assoluta, non perde tempo e manda a visionarlo diversi osservatori, soprattutto Lele Sansone. Dopo le prime conferme, Dall’Ara si muove di persona, in incognito. E poi attacca, alla sua maniera. Ovvero partendo da cifre che non soddisfano granché il giocatore e soprattutto la moglie Waltraud, sorta di procuratore ante litteram. Alla fine, però, l’accordo si trova, anche perché Dall’Ara ha capito di avere tra le mani un gioiello e va incontro alle richieste.
Il presidente parte personalmente alla volta di Augsburg, insieme a Lele Sansone, e sulla via del ritorno ha già con sé la conferma della cessione del cartellino dall’Augsburg e la firma di Haller, ottenute al termine di un’estenuante trattativa. Al giocatore, del resto, l’Italia va benone: pur essendo nel giro della Nazionale, in Germania non è nel mirino dei grandi club, meno che mai in quello del Bayern che lo avrebbe a un tiro di schioppo. Colpa, dicono, di un carattere libero, poco controllabile. Insomma, nonostante le buone prove offerte ai Mondiali in Cile, non è profeta in patria. E alla fine sceglie Bologna di buon grado.
Il viaggio di ritorno di Dall’Ara dopo la conclusione della trattativa meriterebbe un capitolo a parte. A causa del fondo stradale ghiacciato e della nebbia, la Mercedes del presidente finisce fuori strada. L’autista, malconcio e frastornato, riesce ad aprire la portiera e ad uscire dal mezzo. Subito si preoccupa di liberare anche Dall’Ara e Sansone. Per fortuna, nessuno ha riportato gravi danni. Solo qualche ammaccatura, niente di rotto. L’autista non si dà pace, si scusa col suo datore di lavoro che, inspiegabilmente vista la situazione, gli risponde con un radioso sorriso, frugando nella cartella di lavoro. “Non ti preoccupare, l’importante è che questo foglio sia intatto… E’ il contratto del tedesco. Di auto ne fanno tante, di campioni così ne nascono pochi, e questo qui adesso viene da noi…”
L’altro colpo grosso, il presidente lo piazza in Danimarca. Dove ha consiglieri d’eccezione in Jensen e Pilmark, che non hanno dimenticato i loro anni in rossoblù. Sono loro a segnalargli un centravanti di nome Harald Nielsen. Giocatore molto ben messo fisicamente, con una tecnica calcistica decisamente migliorabile, ma dotato di una predisposizione unica per il gol. Se occorre uno che sappia trovare la via della rete, gli assicurano, quello è l’uomo giusto.
Come nel caso di Haller, Dall’Ara non perde tempo e acquista subito il cartellino prima che la fama del giocatore raggiunga i grandi club fuori dalla Danimarca.
Così quando Nielsen, che è il centravanti della Nazionale danese che alle Olimpiadi di Roma conquisterà la medaglia d’argento, si rivela sulla platea internazionale, i giochi sono ormai fatti.
Nielsen è già un idolo in Danimarca, un campione affermato: ha debuttato in Nazionale a diciotto anni, è stato più volte capocannoniere in B e in A. Ed è anche un sex symbol, tanto da aver recitato parti importanti in pellicole in cui ruoli basilari erano affidati alla sua futura moglie. Proviene da una famiglia benestante, con interessi commerciali a livello non solo nazionale, e vanta una cultura universitaria.
Con lui Dall’Ara imposta la trattativa su un piano prettamente commerciale. Capisce al volo che Nielsen culla il sogno di affermarsi come calciatore a livello europeo e che l’aspetto economico non è la discriminante assoluta. Punta sulla ribalta che il Bologna può assicurargli. Nielsen ha le idee chiare, accetta senza tirare troppo la corda. In seguito, si rivelerà uno degli ossi più duri nelle famose trattative del Pres con i suoi giocatori.
Per i bolognesi, dopo i nickname provvisori (“al danàis”, Haroldo), Nielsen diventerà presto “Dondolo”, per quel modo di caracollare nell’aria avversaria e di lavorare palloni molto tagliati.
Haller, il regista, una specie di brasiliano di Germania. Nielsen, opportunista, gran segugio del gol. Troppo diversi per legare tra loro, fuori dal campo. Lo stesso Helmut, prima di lasciare qualche anno fa un vuoto che sentiremo il prossimo 7 giugno (è stato il primo dei campioni del settimo scudetto ad andarsene, dopo Giacomo Bulgarelli), avrebbe ricordato così quel rapporto delicato. “Io e Harald avevamo caratteri diversi. Questo l’hanno capito tutti, direi. Ma in campo ci rispettavamo e ci capivamo al volo, questo è certo. Il faro, comunque, era Bulgarelli, che già allora in campo si muoveva da leader riconosciuto. E personalmente ho amato molto il gioco di Fogli. Lui sì che sembrava un brasiliano, quando toccava la palla. Davvero, giocavamo un football formidabile, tecnicamente eccezionale. Ma non ricominciate con quella storia. Io Nielsen non l’ho mai odiato”.
Ma a Fulvio Bernardini poco importa. Sa bene, il Dottore, di aver avuto in dono da Dall’Ara due pezzi da novanta per il suo Bologna. E se li tiene stretti. Sono fondamentali per il suo progetto, che è molto semplice: riportare lo scudetto a Bologna.
Continua a leggere le notizie di 1000 Cuori Rossoblu e segui la nostra pagina Facebook