Bologna FC
7 Giugno 1964 – “Storia RossoBlù dalla nascita fino all’ultimo scudetto” – 5 Gen
26 – Fedullo, il primo “oriundo” venuto da Montevideo
C’è un periodo preciso in cui il Bologna cambia faccia. Una specie di spartiacque. Da una parte il gruppo della seconda metà degli anni Venti, quello dei primi due scudetti, dall’altra quello degli anni Trenta, che andrà a raccogliere gloria in Europa. Semplificando, il rinnovamento si consuma così. Ma il “passaggio del testimone” si può far coincidere anche con l’arrivo a Bologna degli “oriundi”. Fenomeno ormai noto nel calcio italiano da qualche anno, ma che in rossoblù attecchirà proprio a partire dal 1930, con l’arrivo di Francisco Fedullo. Ma una novità, comunque, c’è: se fino a quel momento l’Italia aveva guardato solo al calcio argentino, il Bologna apre le porte a quello uruguaiano, vincitore proprio nel 1930 della prima edizione del Mondiale.
Tutto era iniziato nel 1926, quando l’autarchia del regime fascista aveva imposto i suoi rigori nazionalistici anche al calcio, fenomeno sociale in espansione. Con la “Carta di Viareggio”, il gerarca bolognese Leandro Arpinati aveva preso, come abbiamo visto, il bastone del comando della Figc, dettando nuove regole in materia di stranieri: le squadre di massima serie avrebbero potuto portarne in campo uno soltanto nella stagione ‘26-27, e nessuno da quella successiva. Fatta la legge, si studiò subito il modo per aggirarla. Le società iniziarono a cercare in Sudamerica giocatori di origine italiana, dunque in possesso della doppia nazionalità. Sarebbero passati alla storia come “oriundi”, ma in tempo di autarchia si preferì il termine “rimpatriati”.
Il primo “oriundo”, dunque, si accasa al Torino. Si chiama Julio Libonatti, viene dall’Argentina e presto passerà alla Roma: nel luglio del ‘26 è già in maglia azzurra. La Juve risponde nel ‘28 con Raimundo “Mumo” Orsi, stella della Nazionale argentina, e un anno più tardi con Renato Cesarini. Al Genoa arriva Guillermo Stabile, cannoniere del primo mondiale uruguaiano nel 1930. E il Bologna? Inizia a guardarsi intorno nella famosa tournèe del 1929, subito dopo il secondo scudetto. Punta sul calcio uruguayano, e da bordocampo Felsner e l’onnipresente Sabattini si appuntano parecchi nomi, e ad aiutarli c’è, a Montevideo, il faentino Ivo Fiorentini, giornalista ed esperto di cose di calcio. Fa da cicerone alla truppa in tour, e intanto dà consigli. Segnala diversi giocatori di ascendenze italiche, e tra gli altri una mezzala che lavora in una fabbrica di pantofole e gioca nel Institución Atlética Sud América di Villa Munoz, rione di Montevideo, da tutti chiamato più semplicemente Sud America. Si chiama Francisco Fedullo. Talento vero, che in cinque occasioni ha anche sostituito il leggendario Scarone nella Nazionale uruguaiana. Il problema è che a Montevideo si vive bene, molto meglio che nella confinante Argentina, e in quest’epoca il calcio vincente è quello sudamericano, l’Europa non è ancora il paese di Bengodi.
Ma Fedullo una ragione per emigrare ce l’ha: nel ‘29 ha colpito un arbitro con un pugno durante una partita ed è stato squalificato a vita. La vittoria dell’Uruguay al Mondiale del 1930 gli ha aperto la strada dell’amnistia, ma a un patto: deve andare a giocare in un’altra nazione. Così “Piteta” (il soprannome che gli hanno affibbiato i tifosi del Sud America), arriva a Bologna nella stagione 1930-31, la stessa in cui approdano in rossoblù Mario Montesanto e Carletto Reguzzoni. Ha venticinque anni, diventerà uno dei punti di forza del gruppo destinato a collezionare, negli anni Trenta, trionfi irripetibili a livello internazionale.
E’ un antidivo. Schivo, quasi scontroso, molto professionale nell’approccio al “mestiere”. Gli occorre un po’ di tempo per prendere le misure al calcio italiano, ma è una mezzala finissima, grande visione di gioco e ottimo controllo con entrambi i piedi. Quando il meccanismo gli diventa familiare, si impone come cervello e anima del gioco rossoblù.
Il carattere è quello: taciturno, a tratti assente, piuttosto permaloso. Gli costerà un futuro azzurro. Vittorio Pozzo lo schiera nell’Italia che affronta la Svizzera a Napoli, il giorno di San Valentino del 1932, e lui fa tripletta. Solo che poi Pozzo, smessi i panni da Ct e indossati quelli da giornalista, gli fa una domanda che lui ritiene scomoda o inutile. Risposta senza un briciolo di diplomazia, e feeling subito interrotto: in azzurro “Piteta” ci tornerà soltanto in un’altra occasione.
Con il Bologna però, dove troverà a fargli compagnia dal 1931 il connazionale Sansone, vincerà due Coppe dell’Europa Centrale, prima di tornare di corsa in Uruguay, dilaniato dalla malattia del padre. Praticamente una fuga, ma Francisco troverà la forza di scrivere al presidente Dall’Ara, che lo riaccoglierà a braccia aperte. In “dote” il campione si porterà un talentino appena ventitreenne, ma già stella del Club Nacional de Fùtbol, il mitico club di Montevideo: Michele Andreolo. Con Fedullo, Sansone e Andreolo, raggiunti nel 1938 da Hector Puricelli, il Bologna “uruguaiano” tornerà sul trono del calcio italiano. Quando tornerà nella sua Montevideo, “Piteta” avrà lasciato la sua impronta su tre scudetti e tre trofei internazionali, compreso il leggendario Trofeo dell’Esposizione di Parigi del ’37. Oltre a 277 presenze (252 in campionato) e 56 reti in maglia rossoblù.
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