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A TU per TU – Claudio Bellucci: “Con Mazzone sono rinato. Da Signori imparai molto; quel gol contro il Bate…”

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Nel 2001, dopo otto anni, Giuseppe Gazzoni Frascara lascia la presidenza del Bologna a Renato Cipollini ma continua a mantenere il controllo societario. La squadra felsinea, dopo il decimo posto della stagione precedente, cerca una scossa. Sotto le torri arrivano nuovi innesti: tra questi c’è Claudio Bellucci, svincolatosi dopo le quattro stagioni passate all’ombra del Vesuvio. Sei, le annate vissute da Bellucci con la maglia del Bologna: 184 presenze e 65 gol. Proprio con lui abbiamo ripercorso i suoi momenti più emozionanti vissuti in Emilia.

Se le nomino Bologna a cosa pensa?

“Alla città e al suo modo di vivere il calcio: in maniera entusiasmante”.

Arrivò in Emilia con quali aspettative?

“Sapevo che ero stato preso per fare da riserva a Beppe Signori: lui era in età avanzata, quindi prima o poi il mio momento sarebbe arrivato. Ero consapevole della mia situazione, arrivai giovanissimo e sapevo che avrei imparato tanto da Signori”. 

Trovò subito Francesco Guidolin come allenatore. 

“Il primo anno non fu bellissimo il nostro rapporto, ho faticato molto per entrare nella sua testa. Così come lui ha faticato ad entrare nella mia. Non avevamo un grande legame, sono sincero. La squadra fece comunque una grande stagione, alla fine conta quello: mi aspettavo però qualche minuto in più. Venivo dal Napoli e da un ambiente differente, sarei entrato in una squadra dove i meccanismi erano già collaudati. Mi aspettavo più spazio, ma non sempre le aspettative diventano realtà”. 

Si aspettava un rapporto così freddo con lui?

“Penso di essermi sempre comportato da professionista serio, così come ho fatto con tutti gli allenatori che ho incontrato nell’arco della mia carriera. Bisognerebbe chiederlo a lui, sono passati molti anni,  forse questa cosa gli sarà sfuggita. E’ molto difficile fare l’allenatore, è complicato fare scelte: nel complesso, però, non avevamo un bel rapporto”.

In quell’anno, lì in avanti, c’erano Signori e Cruz. Cosa significava allenarsi tutti i giorni con loro?

“Con Signori ho imparato come calciare i rigori: ci mettevamo lì a tirare in porta con la non rincorsa, perché lui così li tirava. Con lui ho sempre avuto un ottimo rapporto, così come con Cruz: il mio problema però non era con loro, ma con l’allenatore. Ho fatto di tutto, in senso positivo, per potermi ritagliare più spazio”.

Non ci è riuscito inizialmente.

“No, purtroppo no”.

Un aneddoto su Signori?

“Eravamo due ex della Sampdoria, solo che io lì mi trovai bene mentre lui non aveva avuto una bella esperienza per via di un problema alla schiena. Il Bologna lo fece rinascere, lui mi diceva sempre che avrei potuto prendere il suo posto ma non era facile: stiamo parlando di uno dei migliori attaccanti di sempre della Serie A”. 

In quegli anni chi erano i senatori nello spogliatoio?

“Quelli più anziani: Falcone, Pagliuca. Loro si facevano sentire nei momenti di difficoltà. Poi c’erano calciatori di personalità come Pecchia, Zauli, Nervo: era una squadra molto forte. E’ stato un peccato farsi sfuggire la Champions League all’ultima di campionato”.

Nel 2002 avete comunque giocato una finale europea. 

“Arrivò la finale della Coppa Intertoto, Il coronamento di un anno di sacrifici. Per il Bologna, disputare una gara così importante fu incredibile. Un grande traguardo”.

Segnò anche un gol, al terzo turno contro il Bate Borisov. 

“Su punizione: di quella serata ricordo il Dall’Ara strapieno e i tifosi al settimo cielo. Poi giocammo di sera e per me questo aspetto è stato importante, avevo un feeling particolare con le partite serali. Quel gol fu importante perché ci portò al passaggio del turno: eravamo a inizio stagione, volevo dimostrare a Guidolin che si sbagliava. Entrai venti minuti, la punizione era abbastanza lontana ma feci comunque gol”.

Poi arrivò Mazzone, che persona era?

“Un grande, mi ha ridato vigore nella carriera. E’ stato come un padre, dentro e fuori dal campo. Ti racconto una storia”.

Prego.

“Stavo per andare alla Fiorentina, perché a Bologna avevo poco spazio nonostante mi allenavo come un dannato. La società viola era stata appena acquisita dai Della Valle, era in Serie B e io volevo ricominciare da lì. Ormai avevo preso accordi con la Fiorentina. Qualche giorno più tardi, Guidolin dette le dimissioni. Mi arrivò una chiamata da un numero che non riconobbi subito: ‘A ragazzì, ndo vai?’ Mazzone lo avevo avuto a Napoli, con lui avevo fatto molto bene. Feci una brutta figura con la Fiorentina, ma appena mi chiamò Carletto mi sono sciolto in un attimo. Da quella chiamata, il primo mese non ho mai giocato”. 

E lui?

“Mi continuava a dire: ‘Lascia fare a me, stai tranquillo. Quando entri non esci più’. Ebbe ragione. Per lui mi sarei buttato dalla finestra, era ed è tutt’ora per me un grande punto di riferimento. Ancora oggi, con i miei ragazzi, uso qualche frase che lui usava con me”.

Tipo?

“Ce ne sono tantissime. Il martedì, ad esempio, mi chiamava nello spogliatoio e mi diceva: ‘Tu oggi non ti alleni, perché altrimenti tu a giugno, con queste gambe qui, non ci arrivi”. Sei troppo generoso, i giocatori generosi giocano in Serie D’. 

Diventò il miglior marcatore della squadra, quanta consapevolezza aveva acquisito?

“Tanta, con lui avrei giocato anche da terzino. Una volta accadde qualcosa di simile”.

Cioè?

“Ebbi una discussione, e con lui non si poteva discutere. In una gara eravamo rimasti in dieci, lui tolse me e mise un difensore. Non ero arrabbiato ma ci rimasi male. ‘E che, voi giocà terzino?’, mi disse. Io gli risposi di sì. 

Come andò a finire?

“La partita successiva, in un 4-4-2, mi fece fare l’esterno di centrocampo. Io, muto, a correre come un pazzo. Contro l’Inter, a sinistra. Sulla fascia di Zanetti. Stavo zitto e correvo: lui mi aspettava al varco”.

L’anno successivo vi aspettavate la retrocessione? 

“No, nessuno. Avevamo 36 punti a Pasqua, impossibile pensare a un epilogo simile: ad aprile eravamo a due punti dalla zona Europa. Quell’evento cambiò a carriera di molto di noi: alcuni avevano il contratto vincolato alla salvezza, altri rimasero guadagnando di meno”.

E lei?

“Avevo molte richieste, ma sono voluto rimanere insieme a Pagliuca, Nervo e Torrisi. eravamo sicuri di riportare subito il Bologna in Serie A. Non ci riuscimmo. Stavamo però così bene a Bologna che nulla ci pesò”.

In Serie B ci fu il suo exploit: 25 reti. Se l’aspettava?

“In B era più facile segnare rispetto alla Serie A: ho avuto la fortuna di giocare nel massimo  campionato per diverso tempo, quando ho giocato in cadetteria ero più agevolato”.

La promozione arrivò l’anno dopo la sua partenza. Ha dei rimpianti?

“Sì, potevamo andare in A l’anno prima. Molti tifosi non hanno perdonato la mia partenza e li capisco, anche perché con il tempo sono diventato capitano. Decisi di andare via perché, dopo 50 gol, era il modo migliore di lasciare la società. Sono state dette molte bugie: io sono andato via, ma il Bologna non mi aveva nemmeno offerto un contratto adeguato. Con il tempo, però, credo si capiscano diverse cose. L’anno successivo si chiuse un ciclo: il Bologna tornò in A e io, con la Samp, feci la stagione più importante della mia carriera. Eravamo tutti contenti”. 

Il suo momento più bello sotto le due torri?

“Il primo anno di Mazzone, fu il momento più esaltante. Sono rinato come calciatore e come uomo. Aveva capito le mie difficoltà, mi ripeteva ogni giorno che sarei potuto tornare come quello di Napoli, avevo voglia di rilanciarmi e Mazzone ebbe ragione: sono tornato in campo e non sono più uscito. Ed è riuscito anche a farmi giocare in coppia con Signori”.

 

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