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A TU per TU – Intervista esclusiva ad Arrigo Sacchi: “Ti racconto il mio Milan. Ammiro il coraggio di Siniša; nel ’94 a Baggio dissi…”
In un calcio ancora fermo, rivivere le emozioni attraverso i racconti dei grandi del calcio è uno degli antidoti più forti in questo periodo; poi, se si ha la possibilità di intervistare uno dei più grandi allenatori di tutti i tempi, allora tutto diventa ancora più emozionante. Abbiamo avuto l’onore di intervistare Arrigo Sacchi, artefice del rivoluzionario 4-4-2, allenatore del Milan delle meraviglie. Con lui abbiamo ripercorso la propria carriera, soffermandoci sul suo Milan, sul suo rapporto su Roberto Baggio e su un pensiero su Sinisa Mihajlovic.
Salve Mister, come sta in questo periodo?
“Ciao Federico! Ho vissuto questo periodo con dispiacere, ma allo stesso tempo ho fatto delle cose che pensavo di fare da 20 anni e non ho mai potuto fare, ora quindi ho avuto più tempo per dedicarmi a me stesso. Ovviamente con tristezza per tutte le vittime che ci sono state, abbiamo trascorso un brutto periodo: ora l’importante è uscire fuori da questa situazione. Ho passato il tempo facendo palestra, passeggiate, poi sono andato in bici oppure ho fatto delle escursioni, quando si potevano fare ovviamente”.
Le manca il calcio?
“La mente umana in questo periodo ha potuto pensare molto poco al calcio, ci sono cose più importanti. Poi quando si riprenderà ne saremo tutti felici, perché manca a tutti”.
Torniamo un pò indietro: un 4-4-2 rivoluzionario, il suo. Per lei cosa ha significato attuare una rivoluzione?
“La mia intenzione non so se era quella di rivoluzionare, volevo solamente lasciare una mia impronta. Pensavo che le emozioni, lo spettacolo, l’armonia, la cultura e la musicalità fossero tutti elementi in grado di consentire alle persone di aumentare la propria autostima, anche nel calcio”.
All’inizio i tifosi erano scettici, perché?
“Noi viviamo in un paese che ha un rifiuto culturale al cambiamento, è un Paese rivolto più verso il passato che verso il futuro. Siccome non avevo una carriera importante alle spalle, mi vedevano come uno che si era intromesso e che diceva delle cose al limite della realtà, cose che non potevano avverarsi in alcun modo”.
Poi il 4-0 con la Steaua cambiò tutto…
“Io ho sempre creduto che il merito sia un valore importantissimo, senza merito le vittorie arrivano poco. Pensavo che avere uno stile di gioco significasse aumentare l’autostima di tutti e anche il senso di appartenenza verso la maglia, con queste vittorie aumentava l’orgoglio: erano tutte cose semplicissime, ma a volte è difficile attuarle, mettere in pratica certe idee. Il calcio è il riflesso della vita, della nostra storia e della nostra cultura. Il nostro Paese è forte nel tatticismo, un pò debole nella strategia”.
L’opportunità alla Nazionale come arrivò?
“La Nazionale è una cosa strana, devi avere una grande capacità di sintesi e anche qui è come nella vita: siamo un popolo individualista, quindi è difficile trovare uno stile comune in questi casi, escluse eccezioni. La Spagna, ad esempio, ha uno stile di gioco ben preciso perché loro – come popolo – hanno definito cos’è il calcio per loro. Noi non l’abbiamo mai fatto: è uno sport noto, con regole ferree. Noi abbiamo avuto tanti scandali che con lo sport non avevano nulla a che vedere. I tifosi vogliono la bellezza, l’importante è vincere e, per alcuni, anche attraverso inganni va bene. Così facendo non capiamo l’importanza dei valori”.
Ha assistito alla rinascita di Baggio…
“Baggio era un talento che è stato più sfruttato che aiutato, doveva essere appoggiato di più. Immagina se a Pavarotti dicevano ‘Canta quello che vuoi’: non si poteva fare, altrimenti mancava sinergia. La collaborazione e la crescita sono tutti elementi importanti per la crescita di un calciatore e Baggio, in questo, è stato leggermente svantaggiato”.
Un allenatore come si comporta di fronte a un calciatore in cerca di riscatto?
“Baggio era un ragazzo bravo, io lo conoscevo bene perché quando allenavo il Milan lui giocava nel Vicenza e ci incontravamo spesso da quelle parti. Un giorno gli dissi: ‘ho analizzato quanti palloni hai toccato con la Juventus, se ti muovi con la squadra ne toccherai il doppio’. Baggio riuscì a capire determinate cose, e alla fine risorse”.
Sinisa come lo descriverebbe?
“Mihajlovic è un allenatore coraggioso, e ciò lo ha dimostrato anche nella vita. Avere coraggio nel calcio è facile, basta sapere un pò di cose e ce la fai. Avere coraggio nella vita è più complicato, lui la sua battaglia l’ha affrontata con il carattere che ha e ora, meritatamente, sta avendo ragione lui”.
Grazie Mister.
“Grazie a lei”.
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