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Alé Bulåggna: “Cus’um dèt d’intànder ch’l’é u d’Gaibòla?”

La rubrica “Alé Bulåggna” esplora il dialetto bolognese e lo collega al calcio. “L’é u d’Gaibòla” è un buffo modo per indicare qualcosa di inesistente, utilizzando una indicazione territoriale del bolognese

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Appuntamento del giovedì petroniano con Alé Bulåggna, la rubrica dialettale che propone frasi tratte dal libro “La fantasia popolare nei modi di dire della parlata bolognese” di Gaetano Marchetti (edizione Officina Grafica Bolognese del 1977). Anche oggi speriamo di darvi uno spunto per riscoprire e riutilizzare i modi di dire dei nostri avi. A questo link potete trovare le altre frasi già pubblicate oltre che i “vecchi” articoli di Alé Bulåggna, scritti da Federico Galloni nel 2013.

“Cus’um dèt d’intànder ch’l’é u d’Gaibòla?”

La frase di oggi possiamo utilizzarla non solo nel mondo del calcio, ma in una qualunque situazione in cui il nostro interlocutore ci stia raccontando qualcosa di poco credibile. La traduzione in italiano di “cus’um dèt d’intànder ch’l’é u d’Gaibòla?”,  è “cosa mi dai d’intendere, che è uva di Gaibola?” ed il significato intrinseco invece è “pensi di darmela ad intendere? Pensi che ci creda?”.

Ecco perché il suo uso può essere massiccio nella nostra vita, anche fuori dallo stadio. Nel caso specifico del Bologna FC però, si presta chiaramente ad un utilizzo diretto quando qualcuno cerchi di spacciarci per fenomenale un giocatore mediocre (o viceversa), ma anche quando qualcuno cerca di convincerci che con un certo pareggio, si sia guadagnato un punto invece che persi due. In questi casi il tifoso petroniano forbito, ribatterebbe subito “cus’um dèt d’intànder ch’l’é u d’Gaibòla?”.

La parte più interessante è però l’origine della locuzione, che è assolutamente controversa. Alcuni reputano che in passato a Gaibola (zona delle colline bolognesi) ci fossero delle viti che dessero un’uva particolarmente saporita; in questo caso il detto vorrebbe dire che non puoi fare intendere che questa’uva sia così buona come quella di Gaibola.

L’altra versione invece, sostiene che a Gaibola non vi siano mai stati vigneti, e che quindi il nostro dialetto si inserisse in modo ironico nella discussione, chiedendo se si volesse dare da intendere che fosse uva di quella zona, ove non crescevano vitigni.

Sia come sia, il detto ormai è noto ed ha un unico significato: se qualcuno ve la vuole raccontare non fatevi fregare e rispondetegli a tono dicendo: “cus’um dét d’intànder ch’l’é u d’Gaibòla?”.

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