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Amarcord – Il Bologna degli uruguaiani: tra tradizione e propaganda

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A partire dall’Unità d’Italia il sistema di gestione dei terreni agricoli cambiò radicalmente con l’abolizione dei vincoli contrattuali di derivazione feudale, ma la redistribuzione delle terre non fu comunque in grado di soddisfare le fasce meno abbienti della popolazione. Questa fu una delle principali cause dell’emigrazione di massa che prese vita tra il 1861 e lo scoppio della Prima guerra mondiale coinvolgendo circa nove milioni di italiani. Le principali destinazioni di questo flusso furono gli Stati Uniti e gli stati del Sud America dove la richiesta di mano d’opera era molto alta. Il trasferimento oltreoceano, però, non significava una completa cesura tra la nuova vita e il passato, anzi, spesso rimanevo forti i contatti tra le parti della famiglia ormai separate e la malinconia per una terra abbandonata per necessità e non per volere. Un esempio di questo rapporto doloroso è rappresentato in Italy, poemetto di Pascoli in cui Molly, una bambina descritta come «rondinella nata in oltremare», compie un viaggio in Italia, luogo natio dei suoi genitori, per curare la tisi di cui soffriva: il primo impatto della fanciulla con un paese a lei sconosciuto è conflittuale, infatti, non vorrebbe avere a che fare con quel «bad country» eppure, grazie alle amorevoli cure della nonna, scopre un mondo di affetti che la porterà nell’ultimo verso a giurare un ritorno: «”Tornerai, Molly?” Rispondeva: – Sì!». Pascoli, nel proporre una variante del tema a lui caro del nido e della sua dispersione, è stato in grado di mostrare la trasformazione dei legami dopo le emigrazioni e il sentimento sui cui essi si basano: la malinconia, spesso anche di un qualcosa che non si conosce realmente. È proprio su questo che si sono creati quei fenomeni di mitizzazione delle proprie origini e di un retaggio culturale a cui si sente orgogliosamente di appartenere, come nel caso della cultura italo-americana.

La consapevolezza di un così alto numero di italo discendenti oltreoceano, spesso riuniti in piccole comunità, è da subito apparso a Mussolini come una risorsa propagandistica per espandere la propria base di consenso al di fuori dei confini nazionali, ma anche come possibile risorsa economica. A questo fine nel 1922 ebbe inizio la progettazione di una crociera espositiva che avrebbe solcato le coste del Sud America con a bordo prodotti commerciali italiani e sedici urne contenenti terra raccolta sul Carso da donare alle città ospitanti. Il viaggio ebbe inizio il 18 febbraio 1924 e il tragitto fu segnato da alcuni parallelismi con gli eventi in corso sul suolo italiano. Le prime tappe furono un successo con un’ottima accoglienza in Brasile, Uruguay e Argentina, ma il 10 giugno, giorno del rapimento di Matteotti, le cose iniziarono a cambiare: quel giorno, infatti, la nave stava entrando nelle acque del Pacifico e pochi giorni dopo approdò a Valpariso, in Cile, in concomitanza con la secessione dell’Aventino e i partecipanti della missione vennero accolti al grido di “Viva Matteotti!”. Oltre che nelle città cilene le contestazioni furono forti anche nei paesi bagnati dal Mar dei Caraibi, come Messico e Cuba, dove la spedizione arrivò in agosto, mentre in Italia veniva rinvenuto il cadavere di Matteotti. La crociera espositiva, finito il percorso sudamericano, rientrò al porto di La Spezia il 20 ottobre 1924, circa due mesi prima del discorso tenuto da Mussolini alla Camera dei deputati dove, parlando del delitto Matteotti, si assunse «la responsabilità politica, morale, storica, di tutto quanto è avvenuto» dando vita alla dittatura a viso aperto affermando che «se il Fascismo è stato un’associazione a delinquere […] a me la responsabilità». Come detto, ciò che fu positivo per il governo fascista nella missione sudamericana furono le prime tappe e in particolare quella di Montevideo, in Uruguay, dove si presentarono circa 17000 mila visitatori[1]. Come scritto in precedenti articoli[2] lo sport fu fondamentale per la propaganda fascista e in particolare lo furono il calcio e il Bologna, squadra prediletta di Arpinati, gerarca, presidente della FIGC dal 1926 al 1933 e grande tifoso della squadra felsinea. Uno dei punti di contatto tra il fascismo e i rossoblù si ebbe proprio in Uruguay. Dopo la finale scudetto della stagione 1928-29, il vittorioso Bologna e lo sconfitto Torino, iniziarono per volere di Mussolini una tournée di partite in Sud America. Per i rossoblù i risultati furono deludenti, nonostante un positivo inizio in cui ottennero un’importante vittoria contro la nazionale dell’Uruguay. Nella spedizione era presente anche Ivo Fiorentini, un profondo conoscitore del calcio che pochi anni dopo avrebbe intrapreso una lunga carriera da allenatore. Egli approfittò delle pause tra le partite per visitare le comunità italiane e trovare potenziali giocatori da portare in patria dove sarebbero stati immediatamente naturalizzati grazie alle leggi fasciste sul rimpatrio. Questo fu indubbiamente un’agevolazione per i club che poterono così aggirare la regola imposta da Arpinati sull’impossibilità di schierare giocatori stranieri, ma anche uno strumento propagandistico per il regime: con la naturalizzazione, infatti, gli oriundi avrebbero potuto vestire anche la maglia della nazionale italiana e renderla maggiormente competitiva. Il Bologna, grazie anche a questa tournée, fu la squadra che maggiormente sfruttò questa nuova possibilità e instaurò una sinergia con l’Uruguay: dopo alcuni contatti non andati a buon fine già nel 1929, il primo calciatore ad approdare in rossoblù fu Francisco Fedullo nel 1930. Il rocambolesco arrivo fu propiziato da una squalifica a vita che il centrocampista ricevette a causa di un pugno tirato a un arbitro e dalle pressioni del Bologna sulla federazione uruguaiana, vincitrice in quell’anno del primo Mondiale della storia, per concedergli un reintegro a patto che giocasse fuori dai confini nazionali. L’anno successivo, invece, arrivarono in rossoblù Rafael Sansone e Francesco Occhiuzzi. A seguito di una fuga in Uruguay di Fedullo nel 1935, probabilmente per evitare l’arruolamento durante la guerra in Etiopia, il viceallenatore del Bologna lo inseguì e, una volta trovato, il centrocampista gli propose Miguel Andriolo, successivamente italianizzato in Michele Andreolo, centromediano che ebbe una grande carriera in rossoblù e in nazionale. Negli anni successivi vestirono la divisa rossoblù anche Vicente Albanese, Norberto Ligüera, Héctor Puricelli e Hugo Porta. Tra tutti i calciatori uruguaiani che in questo periodo indossarono la divisa del Bologna i più importanti furono indubbiamente Fedullo, Sansone, Andreolo e Puricelli: essi furono elementi fondamentali dello squadrone che tremare il mondo fa vincendo tra il 1936 e il 1941, anche se non sempre contemporaneamente, quattro scudetti, due coppe Mitropa e il Torneo Internazionale dell’Expo Universale di Parigi. L’unico di questi che riuscì a ottenere risultati con la nazionale, obbiettivo principale del governo fascista in questa operazione, fu Michele Andreolo che nel 1938 vinse il Mondiale in Francia insieme a Luis Monti, un altro oriundo proveniente, però, dall’Argentina e in forza alla Juventus.

La cospicua presenza di calciatori uruguaiani nel Bologna non terminò, però, con la caduta del regime fascista, infatti, anche negli anni successivi alla guerra ci furono molti calciatori di questa origine che approdarono in rossoblù per un totale di ventiquattro nella storia del club. Questa connessione è ancora in atto e il numero è sicuramente destinato a crescere.

[1] Dato tratto da Tassini Claudio, “Regia Nave Italia. Tra ideali di patriottismo e creazioni di nuovi mercati”, InStoria, n. 84, dicembre 2014
[2] http://www.1000cuorirossoblu.it/news/59-bologna/40253-amarcord-da-littorale-a-dall-ara-iconografia-di-uno-stadio e http://www.1000cuorirossoblu.it/news/59-bologna/40442-amarcord-weisz-da-mito-a-deportato-strumentalizzazione-di-un-icona 

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