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Amarcord – L’eredità di Arnstein: il Bologna mitteleuropeo

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Le città di frontiera sono storicamente dei luoghi ibridi, delle zone sospese tra due mondi e con l’anima scissa. Questa condizione è al contempo un onore e un onere: se da un lato, infatti, garantisce una ricchezza culturale enorme, figlia della mescolanza di diverse tradizioni, dall’altro espone a una fragilità politica maggiore, sia per possibili divisioni interne, che per le mire espansionistiche degli stati confinanti. Un vivido esempio di questo tipo di realtà è Trieste, città che, nonostante l’ingresso nel 2007 della Slovenia nell’Unione Europea e il conseguente depotenziamento del ruolo politico della frontiera, conserva ancora tutti i segni di una vita vissuta a metà tra due mondi. Il capoluogo friulano tra la metà dell’800 e la fine della Seconda guerra mondiale è stato al centro di forti conflitti sociopolitici, oltre che bellici, legati all’irredentismo italiano e alla volontà di emanciparsi dall’Impero austro-ungarico prima e dalla Jugoslavia poi. È a inizio Novecento, però, che Trieste diventò uno dei più importanti crocevia della cultura europea e della sperimentazione artistica: fu la città di alcuni dei maggiori esponenti della letteratura italiana come Italo Svevo, Umberto Saba, Scipio Slataper e Giani Stuparich, qua Joyce soggiornò nel suo esilio volontario dall’Irlanda e dalla realtà ebraica triestina trasse alcune suggestioni per l’Ulisse e Edoardo Weiss, allievo di Freud, fece della città la capitale italiana della psicoanalisi. Tra le figure precedentemente nominate, Italo Svevo è indubbiamente quella che maggiormente viene associata a Trieste e nel suo nome è contenuto tutto lo spirito della città. Nato nel 1861 come Aron Hector Schmitz da Franz Schmitz e Allegra Moravia, già dai nomi dei genitori è evidente la dualità culturale della famiglia, pur essendo italofono di nascita ebbe un educazione scolastica in lingua tedesca e nei suoi studi, oltre alla filosofia, in particolare Schopenhauer e Freud, approfondì la letteratura realista francese. Schmitz scelse, però, di non utilizzare mai il nome di battesimo per firmare le proprie opere letterarie: per i primi racconti e per gli articoli pubblicati su L’Indipendente scelse il nome di Ettore Samigli e solo nel 1892 con Una vita, il primo romanzo, adottò lo pseudonimo di Italo Svevo. La cultura italiana e quella mitteleuropea convivono perfettamente in questo nome, così come lo facevano nell’animo e nella penna del più noto figlio di Trieste.

Trieste, con il suo contesto socioculturale, è indirettamente alle origini di una realtà apparentemente lontana come quella del Bologna Fc. Nel 1906, infatti, giunse dalla Boemia nell’attuale capoluogo friulano, all’epoca ancora sotto l’Impero austro-ungarico, Emilio Arnstein: qua ancora ventenne fondò la Black Star Trieste, una società calcistica formata principalmente da calciatori boemi e inglesi. Arnstein dopo due anni si trasferì a Bologna dove trovò una città per alcuni versi assimilabile a Trieste. Bologna grazie alla sua storica Università e all’afflusso di un ingente numero di studenti stranieri, basti pensare che già nel 1364 venne fondato il Collegio di Spagna, ha in sé le caratteristiche culturali di una città di frontiera, pur non essendolo geograficamente e politicamente. Non sorprende, quindi, pensare che la squadra calcistica della città venne fondata da uno straniero, per di più con un passato in una città dallo spirito affine come Trieste. Leggendo l’organico della squadra nel 1909-10, la prima stagione della storia del Bologna Fc, è possibile individuare altri tre stranieri: lo svizzero Louis Rauch, che fu anche firmatario dell’atto di nascita della società e primo presidente, lo spagnolo Antonio Bernabéu, borsista del Collegio di Spagna e fratello del più noto Santiago, e l’ungherese Daniel Koch, allora studente a Bologna. Osservando le rose delle principali squadre italiane negli anni ’10 del Novecento è possibile individuare un buon numero di stranieri, perlopiù svizzeri e inglesi, nelle società delle principali città commerciali italiane come Genova, Milano e Torino. La presenza del porto nel capoluogo ligure e la grande industrializzazione in quelli di Lombardia e Piemonte, hanno fatto sì che queste realtà entrassero in contatto per motivi economici con l’Inghilterra, isola in cui iniziò la prima rivoluzione industriale, e con uno stato piccolo, ma indipendente ed economicamente stabile come la Svizzera: non è un caso che le società nate in queste realtà, eccezion fatta per la Juventus, furono fondate da giocatori o imprenditori inglesi e svizzeri. La presenza stabile di giocatori della medesima origine in un club è quasi sempre spiegabile attraverso il contesto storicosociale. Per gli spagnoli che con Bernabéu si avvicenderanno nel Bologna, Miguel Angel Ortiz a breve presidente nel 1910 e Natalio Rivas attaccante rossoblù tra il 1910 e il 1915, la presenza è riconducibile all’esistenza del già citato Collegio, mentre per individuare la causa di quella degli austriaci e degli ungheresi sulla panchina dei felsinei, saranno infatti otto gli allenatori provenienti dall’ex Impero austro-ungarico tra il 1920 e il 1952, è impossibile prescindere dalla figura di Emilio Arnstein. L’ingerenza dell’Impero austriaco a Bologna, a differenza di quanto avvenne nel Nord Italia, fu breve, molto conflittuale e durò, in maniera discontinua, solamente nella prima metà dell’Ottocento: trovare una connessione tra due eventi così distanti nel tempo sarebbe, quindi, una forzatura. Bisogna in questa analisi considerare che il calcio in Ungheria si diffuse molto precocemente, già negli anni ’70 dell’Ottocento, e l’esperienza dei pionieri magiari fu molto ricercata quando alcuni decenni dopo iniziò la diffusione in Italia. La logica porterebbe a pensare, però, ancora una volta alle città maggiormente industrializzate del Nord Italia come meta prediletta, sia per vicinanza, sia per motivi economici, eppure la diffusione in quelle aree, pur rimanendo significativa, fu inferiore rispetto che a Bologna. L’ultimo elemento da considerare, come detto, rimane quindi l’influenza di Arnstein. Anche se rimase per poco tempo legato attivamente alla squadra da lui fondata, la sua eredità e la sua presenza rimasero significative. Egli non fu membro della squadra, bensì il fondatore, colui che diede vita a una nuova realtà: il Bologna poteva essere visto nelle zone dell’Impero come la creazione di una persona proveniente da una zona limitrofa e unita sotto la stessa bandiera e, conseguentemente, un luogo emotivamente più vicino in cui trasferirsi. Se Bologna, infine, per la commistione di culture presenti poteva essere assimilata a una Trieste in minore, così il Bologna Fc delle origini, come i triestini, portò in sé due anime, una italiana e una mitteleuropea.

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