Bologna FC
Bologna, Italiano: «Io sono questo, me stesso. Portare 30-35 mila bolognesi a Roma il primo anno sarebbe un sogno»
Il racconto di Vincenzo Italiano: il suo Bologna, l’arrivo e quello che si portava, se stesso e un futuro che è tutto da scoprire

Se ne è parlato tanto, soprattutto nelle ultime settimane. Non rivincita, ma un senso di rivalsa che Vincenzo Italiano non vedeva l’ora di prendersi, da quando è arrivato a Bologna. E, lo dice proprio alla Vincenzo Italiano: «Il calcio è come un albero di arance. Seminare è più semplice che raccogliere».
Si è raccontato l’allenatore del Bologna, a cuore aperto, in una lunga intervista di Matteo Dalla Vite per “La Gazzetta dello Sport“. Passato, presente e anche futuro: suo e del Bologna, che tutti ora si augurano vada di pari passo.
Italiano si racconta: il suo arrivo a Bologna e quello che si portava dietro
Vincenzo Italiano parte a raccontasi con quello che era il pensiero di tutti nel maggio 2024: chi si siede sulla panchina del Bologna, quel Bologna, dopo Thiago Motta, è pazzo perché non sa a quello che va incontro. «Negli anni situazioni come questa a Bologna spesso si sono verificate annate… insoddisfacenti. Tutti pensavano che sarebbe stata una “Missione Impossibile”: ecco, proprio questo c’era scritto sui messaggi che ricevevo». Ma l’esperienza, la gavetta, il suo percorso gli avranno fatto da lezione, no? Ebbene: «Io dopo aver parlato con tutti i componenti della società mi sono tranquillizzato. Sapevo delle eventuali difficoltà come è realmente successo, ma scortato da compagni di viaggio che potevano darmi una grossa mano per non fare troppi… danni».

Vincenzo Italiano e la dirigenza del Bologna (© Bologna FC 1909)
Una Champions che ha influito, chiaramente, dopo l’ennesimo inciampo a un centimetro dalla fine, con la Fiorentina. «Cercare di mettermi alla prova, sfidare questa competizione dei dettagli, la più difficile», dice: alla fine ha dimostrato il suo valore anche lì. Proprio su quelle finali perse e sul suo ricordo a Firenze ci torna il mister: «I tre anni di Firenze sono un po’ macchiati da quelle finali, ma tanti sanno quali e quante cose sono passate in quel tragitto. Chiaro che perdendole qualcosa viene offuscato, ma sono stati tre anni fantastici». E alla domanda posta sul calcio, se gli deve qualcosa, non poteva che rispondere affermativamente: «Penso di sì. Certamente meritavamo di alzarne anche solo una». Ci pensa a tornarci, stavolta in Rossoblù.
Chi è Vincenzo?
“Italiano piace perché è uno della gente e non è un fighetto”. Parole di Renato Villa, alla quale Italiano risponde così, facendo capire chi è Vincenzo, anche a Bologna: «Io sono questo, me stesso. Ci sono momenti in cui sento di comportarmi come faccio in alcune vittorie, dipende dal mio stato d’animo». E prosegue, sulla sua vita che non riesce, come dice lui, ad andare totalmente al di là del pallone: «Appena stacchi un po’ la testa dall’obiettivo, nel calcio prendi le mazzate. Che io faccia una passeggiata, giochi a ping pong o ascolti musica, la testa dell’allenatore è sempre lì».
“Nessun limite, solo orizzonti”. Anche questo è Vincenzo, in una frase scritta su una lavagna proprio dallo stesso Italiano nella sua esperienza a Trapani, come raccontato da lui stesso: «Quella lavagna venne portata allo stadio, la ritrovai dopo 9 mesi in sala stampa, era stata girata, guardo sul retro e rivedo la mia frase, firmato mister. È rimasta come frase simbolo». Si ispira a uno che di limiti ne ha sempre dimostrati pochi, Johan Cruyff: «Da quando ho iniziato a vedere immagini da giocatore e da allenatore, beh, un maestro». Maestri come Prandelli («Il primo a fare il 4-2-3-1», Malesani e chi lo ha fatto esordire, Gigi Cagni.
Il Bologna, che oggi è anche suo
Quando parla dei suoi ragazzi a Bologna, Vincenzo Italiano lo fa sempre elevando prima gli uomini dei calciatori: «Gruppo sano, coeso, con va-lori, che si aiuta e che si vuole bene. A volte è un modo di dire, ma qui è un modo di fare», quando parla di come lo abbiano cambiato nei suoi riti pre-partita («Prima per me non doveva volare mosca»). D’altronde, quando gli si chiede se l’emblema del suo calcio sia il gol del 5-0 contro la Lazio, torna sempre lì: «È stata la sintesi di un gruppo che rema tutto dalla stessa parte. Che è tutto coinvolto, in un’azione portata avanti da tre giocatori nuovi su quattro. Di un gruppo che, chi gioca e chi no, è unito, ed è un segnale molto, molto bello per cercare in questo finale di stagione perché abbiamo una serie di partite una più tosta dell’altra, dal campionato alla semifinale di Coppa Italia».

Riccardo Orsolini abbraccia Italiano dopo una rete in Bologna-Udinese (© Damiano Fiorentini)
Con l’obiettivo, anche, di tornare in Champions, quando forse nemmeno lui se lo aspettava oggi: «Ero convinto di continuare a lottare per qualcosa di importante, ma li a 9 gare dalla fine, beh, a chiunque avrei dato io del matto». E prosegue: «A seminare ci abbiamo messo un secondo, ma per vedere i frutti dipende dal clima, dal-l’acqua, dagli insetti, dal sole, dalle piogge. Ora la parola chiave sarà umiltà». Tornando sul concetto di seminare, racconta qual’è stato l’ostacolo iniziale: «Convincere un gruppo che al loro grande calcio si poteva mettere qualcosina in più. Essere credibili, portarli dalla tua parte: non è stato… subito».
Il gruppo e la gente: disponibilità ed emozione
Vincenzo Italiano parla di gruppo non a caso: non riesce nemmeno a scegliere chi ha beneficiato di più di questa sua impronta e del lavoro che stanno facendo, e quindi li coinvolge tutti. «Io devo parlare di crescita di squadra. Una crescita che porta Orsolini in doppia cifra per il terzo anno, Ndoye ha lavorato tutti i giorni per arrivare a fare 7 gol, ma anche i giovani: Castro, Dominguez. Fabbian, ragazzi con qualità e carattere. Crescere vuol dire essere stimati dal gruppo. Sono stati bravi loro: c’è il lavoro dell’allenatore, ma anche la loro disponibilità». Incalzato su come il capitano e leader Lorenzo De Silvestri abbia descritto l’ambiente di questa squadra come “non permaloso”, un po’ di meriti se li prende, con giusta ragione: «Mi sa che gliel’ho inculcato io. Il gruppo unito porta punti, permalosi e orgogliosi li tolgono».

Vincenzo Italiano post Bologna-Borussia Dortmund (© Damiano Fiorentini / 1000 Cuori Rossoblù)
Sceglie Dortmund come vittoria più bella, per la gente: «Ho visto la gente gioire come se avessimo vinto la Champions. E arrivata dopo una rimonta, con un atteggiamento della squadra che voleva regalare a se stessa e alla gente la prima vittoria. Dico quella perché, nonostante fossimo stati eliminati, è come se avessimo alzato la Coppa, mancavano solo i caroselli per le strade». Quella gente che vuole riportare a gioire, ricordando che è dal primo giorno che ha questo obiettivo: «Lo dissi quando mi presentai: mi piacerebbe riportare la gente in piazza. E in piazza vuole dire fargli brillare gli occhi, renderla orgogliosa. Diciamo che in piazza ci siamo quasi, va aggiunta la ciliegina…».
I ragazzi e il suo calcio, guardando avanti…
«Calcio attivo, dinamico, andiamocela a prendere la palla: quando ce l’hai devi produrre e quando non la hai, beh, te la devi andare a conquistare, quindi sei sempre attivo», così descrive il suo lavoro. Un lavoro che, qui, sembra sempre più bello: «È una gioia allenare ‘sti ragazzi».
E quindi, alla domanda fatidica sul rinnovo? Italiano non ha dubbi, pare: «Con onestà devo dire che non si è ancora discusso di niente. Ma… c’è tutta la mia disponibilità». Guarda avanti Vincenzo, con un sogno: «Pensare di poter portare 30-35 mila bolognesi a Roma e al primo anno qui per me sarebbe un sogno che tutti abbiamo, un qualcosa di impagabile».
Fonte – Matteo Dalla Vite, La Gazzetta dello Sport
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