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Canta che ti passa: L’allenatore

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Questo è un pezzo un po’ egoistico, che parla dell’incarico più difficile che esista nel mondo pallonaro: il mestiere del mister.
Beh, si poteva dire anche arbitro (chi li sente i tifosi, se sbagli qualcosa?), portiere (chi li sente i tifosi, se sbagli qualcosa?) o tifoso (chi la sente la moglie quando rientri in casa, magari incazzato, che a saperlo prima saresti andato volentieri al centro commerciale?).
Il fatto è che se non rendi – o, magari, diventi vecchio – ti mettono in disparte con un “grazie, arrivederci, buona fortuna”. Insomma, in parole povere, la società ti manda via per cercare un’atmosfera nuova.
I tifosi o la moglie, parlando di situazioni calcistiche, non possono mandarti via (beh, la seconda magari sì…). Anzi, il contrario: vengono a rinfrancarti – il più delle volte – se qualcosa non va, tifano per te, ti dicono che non devi mollare. Cazzo, sei tu l’allenatore. Sei tu che devi dare l’esempio di crederci sempre. E allora riprendi la routine da qualche altra parte.
Ci sono state persone che hanno reso questo mestiere il più facile del mondo, semplicemente perché il proprio essere le ha aiutate a tenere a bada le pressioni: chiamiamolo “metodo caramella”. Forse un po’ come si fa coi cani: io insegno, tu provi ad ascoltare e, in cambio, ti premio. Attenzione: “provi”, non “ascolti” e basta, perché se fai un tentativo, per me hai già fatto il tuo dovere. Il resto, poi, verrà di conseguenza.

Guardalo l’allenatore,
da cinquant’anni appresso ad un pallone,
sulla panchina calda come il sole
e un freddo gelido quasi polare.

Gianni Morandi, nella sua canzone L’allenatore, descrive come quest’ultimo sia un uomo solo, che deve far fronte – costantemente – ai risultati che si riflettono in campo. Importa poco se dici che hai le spalle protette perché la società è fiduciosa o che il gruppo è compatto perché ti segue bene durante la settimana: se alla domenica non vinci, vieni crocifisso. E se vinci ma il tuo attaccante più forte si infortuna, per di più in un match “che poco importa”? Nulla da fare, piovono critiche perché avresti dovuto farlo riposare. E lì ti senti vecchio. Puoi dare quante caramelle vuoi, puoi unire il gruppo quanto vuoi, puoi essere un’icona quanto vuoi, alla fine del gioco qualcuno ti batterà una mano sulla spalla e proseguirà coi suoi affari. Dovranno tagliare la testa al toro per salvare il proprio posto, e quel toro sarai tu.
All’allenatore, tuttavia, viene permesso di mettere le mani quasi dappertutto, visto che ricopre un ruolo centrale sulla panchina calda come il sole, ma il fatto di essere un girovago fa in modo che un freddo gelido quasi polare soffi sempre dalle sue parti. Dalla sua, ha la caratteristica di essere testardo per natura, proseguendo coi suoi principi: non sveste la tuta, continua a spartire spiegazioni e – soprattutto – propaga caramelle.
Se la sorte lo vorrà, alzerà al cielo anche trofei (importanti o meno che siano), ma la sua vittoria più grande sarà quella di essere ricordato prima come uomo.

E guardalo l’allenatore:
ha dato tanto e ha avuto molto meno,
ma quanti ostacoli, quanto veleno
prima di alzare le sue braccia al cielo
in questo mondo privo di valori,
dove chi conta sono i vincitori
e dei perdenti cancelliamo i nomi.

 

Dedicato a Bruno “Bucui” Fiorin / “Finché la palla rimbalza, la vita non sbadiglia”

 

(L’allenatore – Gianni Morandi)

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