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Castro: «Il mio sogno è fare bene qui. Al Bologna darò tutto»

Alla vigilia dell’inizio della stagione, Santago Castro, intervistato da Gazzetta, racconta le aspettative di questa annata con il Bologna

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Santiago Castro esulta contro la Juventus
Santiago Castro (©Bologna FC 1909)

Voglia, grinta, desiderio di spaccare tutto. Alla vigilia della sfida con l’Udinese, Santiago Castro, 20 anni ancora da compiere, non vede l’ora di poter iniziare un campionato che, senza alcun dubbio, lo vedrà protagonista. Intervistato da Matteo Dalla Vite per Gazzetta, l’argentino ha riassunto aspettative, realtà e sogni di questa stagione dal gusto europeo del Bologna.

L’intervista a Santago Castro

Santiago, quanti soprannomi hai?
«Non tantissimi: Toto, Santi, al Velez sono stato chiamato una volta Locomotora e qui mi sono beccato il soprannome di Lautarito».

Ci racconti questo soprannome “Lautarito”?
«Quando sono arrivato dissi che uno dei miei riferimenti era Lautaro Martinez. In Argentina ero accostato spesso a lui e lo ammiro molto. Arrivato in Italia, nel telefono mi arrivò un messaggio che diceva: “Benvenuto in Italia e di qualsiasi cosa avrai bisogno sappi che ci sono”. Firmato Lautaro. Quando giocammo contro ci siamo scambiati la maglia. Un vero onore. Non è stato l’unico, diversi argentini che giocano qui mi hanno inviato messaggi. Contro l’Udinese rivedrò Nehuen Perez e Giannetti».

Cosa ha detto Zirkzee lasciando “in eredità” la maglia numero 9?
«Lui è un ragazzo davvero splendido umile… Preferisco tenere in privato quello che ci siamo detti. Io ero contento per lui, che era pronto ad andare allo United, Lui mi ha detto “Tu sei pronto”. Lui è davvero una persona speciale. Non so dove potrà arrivare il Bologna: c’è un campionato da affrontare e una Champions da vivere. Ci auguriamo tutti che sia una bella stagione e anche molto lunga. Il gruppo, poi, è fantastico».

Santiago Castro gioca di rabbia, carattere, sempre alla ricerca del gol. Indossare sulla schiena il numero 9, appartenuto a grandi giocatori, è fonte di pressione?
«Mi piace, anzi, cerco la pressione. Mi permette di stare sempre sveglio e pronto, è stimolante. Ti sprona a lottare fino all’ultimo pallone. Non credo di essere un provocatore, ma mi piace sempre sfidare gli avversari. Al Velez inizialmente ero largo a sinistra, ma io volevo fare gol. Mio padre era un centrocampista al Comunicaciones, abbiamo il calcio nel DNA».

Sulla pelle quanti tatuaggi ci sono?
«19. Qui ho la storia della mia vita. Mio fratello, mio padre, il Velez, la famiglia, Dio, anche la Torre di Maratona del Dall’Ara».

Quando fa gol, col dito si indica il polso sinistro? Cosa c’è lì?
«La R di Ramiro, che è mio fratello, mentre al polso destro c’è la lettera dell’iniziale di mio padre Dario. Il 20esimo tatuaggio? Forse il simbolo della Champions, chi lo sa. Giocarla sarà fantastico, ma le cose vanno fatte per gradi».

Quale insegnamento ha lasciato Motta, e quale sta lasciando, per adesso, Italiano?
«Thiago, sicuramente, a giocare più vicino alla squadra. Vincenzo invece di fare movimento per aprire il gioco anche senza il pallone, attaccando l’area. Loro sono molto simili, anche se con Italiano si cerca la verticalità prima e ci sono più cross, che mi piacciono».

Qualche flash dello scorso anno?
«La vittoria a Napoli, poi quando guardammo tutti insieme Atalanta-Roma potendo finalmente festeggiare la Champions. Infine, la mia partita contro l’Inter. Il mio sogno, davvero, è fare bene qui, rendendo questa un’annata fantastica. Vorrei anche giocare con la Seleccion argentina, il mio sogno più grande».

Bologna adora Castro.
«É davvero una bella sensazione. Mi piace quando mi fermano per strada. Qui darò tutto».

Fonte: Matteo Dalla Vite – Gazzetta dello Sport

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