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Corriere di Bologna – Dallo Champagne alla crisi: l’analisi dei 5 anni di Bigon a Bologna

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“Se ci troviamo d’accordo, posso restare anche dieci anni”. Queste sono le parole di Riccardo Bigon alla presentazione di Lukasz Skorupuski. Sono trascorsi ormai tre anni da quelle parole, quasi di minaccia, e il lavoro del dirigente padovano non sembra essere gradito ai tifosi, che le reputano una delle cause dei problemi del Bologna.

L’ARRIVO. Arrivato a Bologna nel 2016 dopo una stagione all’insegna di una retrocessione con l’Hellas Verona, il dirigente inizia a predicare molto. Forse, fu proprio lo scivolone con gli scaligeri che lo spinse a sostenere che in caso di salvezza con il Bologna avrebbe stappato lo champagne: non proprio un’affermazione di serenità per un dirigente sportivo. Il suo primo mercato porta nomi interessanti per l’epoca fa Krejci e Nagy per arrivare a Verdi e anche Sadiq. Chiaro non tutti gli acquisti diventano dei colpi di mercato, ma Verdi si può considerare un capolavoro: preso ad un milione e mezzo e ceduto per quasi venti al Napoli.

IL PROBLEMA. Il vero problema, però, arriva da dopo aver stappato lo Champagne la prima stagione. Da lì in avanti Bigon colleziona una serie di colpi che oscillano tra il buono e l’orrendo, come è sempre stato nell’ordine delle cose del suo mercato rossoblù. E allora viene facile pensare: “Si può continuare così?”

La risposta può darla solo il tempo, che però è sempre più vicino allo scadere perché pure Mihajlovic, in caso di figuraccia con la Lazio, potrebbe rischiare il posto a scapito di un usato sicuro come Ranieri. Dai problemi di gioco ai problemi di costo. Si, perché la squadra ha un ingaggio elevato per il valore intrinseco della rosa. I giocatori non decollano e sembrano molto difficili da allenare, quindi non possono essere in crisi solo gli allenatori, ma anche chi si occupa di portarli a Casteldebole ha le sue grandi colpe.

LE PAROLE DEL SAGGIO. D’altronde Bigon è pur sempre quel dirigente che alle porte della stagione 2018-19 disse: “sarà un’annata speciale. Questa squadra la sento mia”. Ecco, meglio di no, allora. Perché quella era la squadra che fu speciale, suo malgrado, per il rotondo 0-4 subito in casa contro il Frosinone. A questo si aggiunge anche il famosissimo “siamo numericamente apposto” che è ormai in cima alle classifiche di Spotify vicino agli album di Blanco e Sangiovanni. Si, peccato che anche questo tormentone sia nullo, perché si è passati dal “numericamente apposto” a trovarsi con una squadra molto corta in tanti reparti e soprattutto in ruoli chiave.

 

Se si fa un conto finale si può calcolare come in 5 anni sono stati spesi 157 milioni in cartellini, alcuni veramente buttati, perché a mio modo di vedere le cose, tutti quei soldi possono veramente cambiare un intero club. Soprattutto qui in Italia, dove non serve tanto per diventare una buona squadra. Servono però gli acquisti giusti e per farli serve un buon ds. Allora mi viene lecito chiedere: “E’ giusto sostenere ancora Bigon?” Forse, ora, non più.

fonte: Daniele Labanti

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