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Dieci anni di Saputo a Bologna. Fare impresa nel calcio

Joey Saputo è ormai a Bologna da 10 anni. Possiamo capire il suo modo di fare impresa nel calcio parlando di “lean production”?

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Saputo, la priorità del Bologna sono i rinnovi di Sartori e Di Vaio
Joey Saputo (Fonte immagine: Damiano Fiorentini / 1000 Cuori Rossoblù)

A dieci anni dall’arrivo di Saputo a Bologna, è tempo di ragionare sul suo modo di fare impresa nel mondo del calcio, e di come, dal 14 ottobre 2014 ad oggi, la società rossoblù sia cambiata, spingendo sempre di più verso un’impronta di business globale, e di vera e propria impresa come una qualunque altra azienda.

Per la precisione, Joey Saputo è Presidente del Bologna dal 20 settembre 2015, quindi poco più di nove anni, ma quel 14 ottobre 2014 era già fondamentalmente socio di maggioranza della cordata capitanata da Joe Tacopina. Ma questi sono dettagli, possiamo dire che ormai una decade è passata, sotto l’egida di Saputo e della sua visione di impresa.

Visto che chi scrive nasce nel mondo dell’impresa, precisamente in quello metalmeccanico, ho notato che il Bologna (ma non solo) apparentemente ha sempre più visibilmente virato verso un tipo di gestione che può in qualche modo richiamarsi alla “Produzione Snella” (Lean Production per dirla in inglese). Un tipo di produzione nata in seno alla Toyota ormai svariati anni or sono.

Attenzione: non vogliamo né auspichiamo che si possano paragonare il calcio a un prodotto industriale, né tantomeno vogliamo dire che i calciatori siano meri oggetti di consumo. Ma consentiteci questo paragone, sebbene improprio e da prendere con tutti i distinguo del caso.

Le altre due cose da tenere bene a mente sono che fare calcio è molto più difficile che fare impresa in altri settori, perchè la variabile umana è ancora più determinante, e che a nessun tifoso viene chiesto di pensare alla propria squadra come se fosse una impresa. Il tifoso vive giustamente di passione.

É vero, così come calciatori e squadre di calcio non sono oggetti né industrie metalmeccaniche, tantomeno la lean production si risolve tutta in quello che diremo a breve, ma conto di portare degli esempi, che possano far capire meglio, se ancora ve ne fosse il bisogno, cosa vuol dire fare impresa nel calcio, pur sapendo che è quasi impossibile fare davvero utile in questo mondo.

Il flusso di cassa (cash flow): la liquidità è potere

Il metodo con cui la società di autofinanzia, la liquidità necessaria per pagare dipendenti, fornitori e altro ancora, è il flusso di cassa (cash flow). Nel bene e nel male, è una delle cose più importanti. Aiuta non solo a non dover ripianare con aumenti di capitale, ma anche a non avere problemi e rischiare sanzioni (ricordate Porcedda e la penalizzazione perchè non aveva liquidità?).

La spinta sul merchandising e sul marketing, che vuol dire creare una connessione sempre più importante tra la società e i tifosi. Video social, gadget, collaborazioni, eventi particolari, sono punti chiave per portare sempre più visibilità (e denaro) al Bologna.

Ma un buon flusso di cassa, passa anche e soprattutto dai giocatori. Una buona squadra, giocatori da rivendere a prezzi maggiori da quelli a cui si sono comprati, sono sempre più determinanti nel successo di una società che fa impresa nel mondo del calcio. E Bologna ci sta puntando da parecchio.

Soprattutto il marketing e l’engagement, sono stati fin da subito una priorità. Anche quando ancora c’era Joe Tacopina come Presidente. Ma anche con i giocatori, fin dall’era di Corvino, si è tentato con fortune alterne di acquistare giocatori di prospettiva, da rivendere a cifre migliori. Con Sartori siamo arrivati all’apice di questo percorso, e la vendita di Calafiori ne è uno degli esempi migliori.

Nota a margine: lo stadio nuovo, in quest’ottica, sarebbe fondamentale. Ma questo è per ora un tasto dolente…

Riccardo Calafiori ©Damiano Fiorentini

Riccardo Calafiori (©Damiano Fiorentini)

Gestione del “magazzino”: evitare il superfluo

Mi rendo conto che parlare di magazzino e di superfluo, in un paragone a una squadra e a giocatori possa sembrare offensivo. Ribadisco la nota messa ad inizio articolo: vogliamo usare una metafora per rendere maggiormente chiaro che fare impresa nel calcio, non è così differente dal farlo in altri ambiti. Forse è solo più difficile, ma i concetti possono essere assimilabili, per quando intrinsecamente differenti.

Sempre più spesso le società devono concretizzare i movimenti in uscita prima di farne in entrata. Anche quando magari hanno liquidità per ingaggiare un giocatore. Questo avviene perché un numero eccessivo di giocatori (ma vale anche per allenatori e dirigenti in generale) sono non solo personale a libro paga, ma anche voci di un ipotetico “magazzino”, e creano un costo.

Nel caso del calcio ovviamente, non si può ragionare di “magazzino zero” come invece viene fatto in alcuni casi nell’industria. Soprattutto se si vuole fare bene, è fondamentale una panchina profonda e di qualità, ma c’è un modo per abbassare in modo significativo il parametro del “magazzino”, che è fondamentale nella filosofia della produzione snella.

Prendendo atto che il “magazzino” non è evitabile, bisogna puntare ad averlo il meno costoso ed il più qualitativo possibile. Facile eh? Questo, comunque, significa lavorare non solo bene a livello di osservatori e di acquisti, ma anche a livello di giovanili, promuovendo atleti validi dal “basso”, in modo da avere un costo di gestione meno elevato.

Anche in questo caso, il Bologna sta andando da anni in questa direzione. Si spende non solo per la prima squadra, ma anche per Primavera e Under 17. E si seleziona personale adatto per formare calciatori e non solo per vincere partite. Kacper Urbanski è uno degli esempi che queste ultime stagioni hanno portato alla ribalta.

Urbanski al Dall'Ara in una stagione di crescita e fiducia, calciomercato Bologna

Kacper Urbanski (© Damiano Fiorentini)

Lo studio del prodotto: la riprogettazione è uno spreco

Possiamo dire che un terzo punto cardine della lean production sia lo studio del prodotto. Che in questo caso è la squadra.

Scegliere il direttore sportivo migliore, scegliere lo staff tecnico giusto per gli obiettivi e l’ambiente, e infine scegliere i giocatori migliori per il progetto tecnico e le finalità societarie, è qualcosa di fondamentale. Se è vero che è impossibile azzeccare tutto, è determinante sbagliare il meno possibile.

Evitare cambi di allenatore, evitare acquisti in corsa per sopperire ad una iniziale mancanza, evitare acquisti di riparazione per atleti che non girano come dovrebbero, sono punti chiave per una società che voglia funzionare al massimo.

A volte sarà necessario rivendere qualcuno che non sta funzionando, altre basterà trovare il modo per metterlo a suo agio. In ogni caso, tre sono i punti determinanti per la progettazione. Un direttore sportivo e una rete di osservatori di alta qualità, uno staff tecnico capace non solo di mettere in campo ma anche di avere un rapporto umano e valorizzare i giocatori, e una giovanile che possa eventualmente fornire aiuto temporaneo nel caso di infortuni o momenti negativi di giocatori della prima squadra.

Nella passata stagione, ad esempio, in un momento iniziale di difficoltà per assenza dei difensori di fascia, Tommaso Corazza è stato un innesto fondamentale.

Fonte: Bologna FC

Tommaso Corazza (© Bolognafc.it)

Creare valore aggiunto nel proprio “precesso produttivo”

Il quarto ed ultimo punto che voglio portare alla vostra attenzione è la creazione di valore aggiunto all’interno del proprio “processo produttivo”.

Posto che il valore aggiunto di una società di calcio passa anche da merchandising, marketing e da uno stadio al passo coi tempi, resta fondamentale quanto avviene sul rettangolo verde. Il valore aggiunto non è per forza la vittoria di una Champions League, ma è comunque il raggiungimento di un obiettivo che aiuti la società a essere sempre più importante e conosciuta. Non solo a Bologna, ma nel mondo. La partecipazione alla Champions League e la visibilità seguente ne sono un esempio lampante.

Ancora una volta le parole chiave sono dirigenti e tecnici competenti, e calciatori giusti. Il che vuol dire un misto di giovani ed esperti. Esperti perchè aiutano tecnico e giovani direttamente dal campo, e giovani perchè sono quelli su cui si può creare maggior “margine”.

Cosa intendo? Ecco perchè un giovane può essere un valore aggiunto:

  • Un giovane potrebbe fare la differenza senza che gli altri se lo aspettino, variando la forza della rosa in modo anche sensibile, modificando i valori in gioco;
  • Un giovane può migliorare tecnicamente e tatticamente in modo maggiore rispetto ad un calciatore già formato, aumentando quindi ancora di più il proprio valore;
  • Un giovane solitamente costa meno di stipendio (e spesso anche di cartellino) rispetto ad un giocatore già affermato;
  • Un giovane che migliora, vede aumentare il proprio valore economico in maniera esponenziale;
  • Un giovane talento che “esplode” porta visibilità all’esterno, positività nell’ambiente, e carica i tifosi;
  • Giovani, e ancora di più giovani del proprio vivaio, aumentano la fidelizzazione dei tifosi nei confronti del club;
  • Tanti giovani valorizzati, portano visibilità alla società, che inizia ad essere osservata dall’esterno con occhi differenti attirando quindi l’interesse di calciatori, osservatori, procuratori, che aiutano a mantenere questo circolo virtuoso.

Anche questo è un punto che il Bologna sta sviluppando da anni. E che tra alti e bassi, ha dato e sta dando i suoi frutti. Facciamo un esempio come già per gli altri blocchi: fare crescere (tra Bologna e prestiti) Ravaglia non sia stato forse creare un valore aggiunto?

Freuler e Ravaglia Napoli-Bologna 2023-24 ©Bologna Fc 1909

Freuler e Ravaglia Napoli-Bologna 2023-24 (© Bolognafc.it)

I giovani, una strada difficile ma impattante

Non sarà passato inosservato il fatto che ogni volta che abbiamo citato qualcosa che ha a che fare con il campo, abbiamo richiamato i giovani e le giovanili. La qualità delle giovanili e di tutti quelli che ci lavorano attorno è fondamentale per qualcuno che voglia fare impresa nel calcio.

Anche i grandi club europei come Barcellona, Manchester, Real Madrid e altri ancora, crescono alcuni dei propri fenomeni in casa, acquistandoli a suon di milioni già dalle giovanili. Avere giovani forti e pronti per la prima squadra, crea un circolo vizioso positivo, che può aiutare in tanti modi, dentro e fuori dal campo.

Dieci anni di Saputo: fare impresa nel calcio

In ultima analisi cosa possiamo dire? Beh, possiamo dire che la società di Saputo sta seguendo una logica imprenditoriale che si rifà abbastanza chiaramente a quelle che tante aziende produttive seguono nel mondo già da tempo.

Come già detto, e come ricordiamo nuovamente, stiamo facendo un paragone ardito e un po’ improprio, ma contiamo di avervi fatto capire meglio il perchè di una serie di scelte della società rossoblù.

Anche il non confermare alcuni prestiti della passata stagione può rientrare in questa ottica. Se il costo di un giocatore che ormai si è affermato difficilmente salirà ancora, è forse meglio spendere la stressa cifra (o molto meno nel caso di Kristiansen e Miranda) per qualcuno che potenzialmente può vedere aumentare il proprio valore.

Certo, di contro c’è il rischio di acquistare un giocatore meno pronto e che non conosce l’ambiente, invece di uno pronto e confidente. Ma siamo sempre lì, è un rischio preso con una logica d’impresa a lungo termine. E il Bologna sta ragionando in questa ottica. É evidente. E avere la giusta dirigenza, è fondamentale.

Fenucci, Sartori e Saputo - ©Bologna Fc 1909

Saputo con Sartori con Fenucci (©Bologna FC 1909)

Impresa e sport: idee inconciliabili?

Eccoci alla domanda finale. Fare impresa e fare sport, sono due idee inconciliabili? Beh, la risposta non è semplice, e forse in realtà non esiste, perchè dipende da come si affronta il problema. Come sempre.

Se ci si ferma ai numeri, alle logiche di lean production o di qualunque altra natura di stampo imprenditoriale, si sta sbagliando. Ed ha pienamente ragione chi dice che Saputo e la sua società, per anni, non hanno tenuto in giusto conto il risultato sportivo.

Dall’altro lato però, non è possibile neanche guardare solo quello. Certo, i tifosi devono guardare quello, ma i dirigenti e la società non possono fermarsi lì. É quindi comprensibile che la società cerchi di non fare dei passi più lunghi delle gambe e che voglia anche capitalizzare quanto venga investito.

Chiamando in aiuto i latini, possiamo dire che in medio stat virtus, cioè che la virtù sta nel mezzo. É fondamentale stabilizzare la società e farla camminare con le proprie gambe, ma che se non vi sono risultati sportivi congrui con le aspettative, non si innesca quel circolo vizioso che parte dai tifosi e dalla visibilità nazionale e internazionale e che può portare a miglioramenti importanti anche economici per la società stessa.

In breve: Saputo deve fare impresa, ma deve anche fare calcio. E in questi dieci anni possiamo dire abbia fatto entrambi, sebbene con alti e bassi. Ma la visione c’è, ed è a lungo termine.

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