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Editoriale 1000cuori: Chi è Delio Rossi, il nuovo “profeta” del Bologna – 04 mag

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Che si viva in un’epoca dove la superficialità la fa da padrona lo si capisce facendo il nome di Delio Rossi: fatelo in un bar o in un circolo qualsiasi e la maggior parte dei frequentatori vi dirà “ah, quello che prese a schiaffi Ljajić”. E basta, tutto qui. Il fatto – stranoto – avviene il 2 maggio del 2012: la Fiorentina è con l’acqua alla gola, sta cercando di evitare una retrocessione non preventivata e che alla fine non arriverà per un soffio, Rossi siede sulla panchina viola da sei mesi e fa quello che ogni allenatore ha il diritto e il dovere di fare visto che di solito è lui a pagare. Sostituisce Ljajić, che lo offende e in serbo ne ha anche per la sua famiglia, lui non ci vede più e lo prende a schiaffi. Finisce così l’avventura a Firenze per lui, e appunto per chi segue il calcio diventa semplicemente l’uomo di quell’episodio. Bene, Delio Rossi è ovviamente molto di più. E in un calcio che spesso finisce per premiare più la forma che la sostanza è naturale che sia rimasto abbastanza indietro rispetto a tanti giovani rampanti che ancora non hanno dimostrato niente. Lui giovane e rampante lo è stato, facendosi però la gavetta e dimostrando con i fatti di poter stare dove poi è effettivamente arrivato: oltre 600 panchine in carriera, più della metà in Serie A, una Serie B vinta infrangendo record e una Coppa Italia conquistata con la Lazio sono un curriculum mica da poco. 

Riminese, calciatore con una carriera persa nei meandri della Serie C – con picchi in B con la maglia del Foggia dal 1981 al 1983 – Delio ha il più classico dei cognomi qualunque ma non è certo un tipo qualunque: crede nello studio, nell’applicazione, nel tentare e poi nel riuscire. Crede nel rispetto, il motivo principale per cui nacque quel parapiglia con Ljajić che non è forse giustificabile ma che certo può essere capito, visto il carattere tutt’altro che facile del giocatore attualmente alla Roma, talentuoso finché si vuole ma con una visione del calcio abbastanza egoistica. Rossi smette di giocare a calcio a 29 anni, studia per un anno e poi si prende il patentino appena trentenne con molti onori a Coverciano. Inizia subito ad allenare, lo fa nelle serie inferiori, nella Promozione pugliese guidando il Torremaggiore: mancando la società di attrezzatura adeguata, per insegnare ai suoi giocatori certi principi tattici ruba la notte i birilli che l’ANAS usa sulle autostrade per i lavori in corso con il suocero che gli fa da palo, o almeno così dice la leggenda. Bravo è bravo, comunque, e questo è un fatto: dopo un anno ad allenare i giovani del Foggia, la squadra di cui è stato bandiera da giocatore e di cui ha finito per innamorarsi, lo chiama la Salernitana in Serie C. E mentre la situazione societaria è confusionaria, Rossi è bravo a guidare la squadra in Serie B superando indenne i play-off, dove sconfigge prima la Lodigiani e poi la Juve Stabia. Promossa in cadetteria, la Salernitana di Rossi – che era stato accolto con indifferenza e ora è un idolo – ben figura, arrivando al 5° posto e mancando la Serie A quindi per pochi punti. 

A Salerno Rossi mostra una capacità che poi mostrerà anche in altri frangenti della sua carriera, e cioè la capacità di valorizzare al meglio il materiale umano a disposizione: i leader di quella squadra sono il giovanissimo difensore Fresi – che finisce direttamente all’Inter – e la punta Pisano, capitano e istituzione del club nonché bomber designato. Dopo uno sfortunato ritorno a Foggia Rossi va al Pescara che ambisce alla Serie A, ottenendo un 6° posto che ci può stare ma non in un calcio isterico come il nostro: non viene confermato, torna a Salerno e capisce che è giunto il momento di fare le cose sul serio. Arrivano diversi giocatori di spessore come i fratelli Giovanni e Giacomo Tedesco e il giovane Marco Di Vaio in attacco, ed ecco che il 4-3-3 messo su dal tecnico da subito spettacolo: i tifosi erano in delirio appena hanno saputo del suo ritorno, figuriamoci quale sia il loro morale quando vedono la squadra volare. La promozione arriva alla sest’ultima giornata di campionato, pochi giorni dopo che una tragica alluvione ha ucciso oltre 150 persone a Sarno, paesino del salernitano. L’anno successivo non è facile ovviamente, e l’impazienza della dirigenza porta a un esonero e alla retrocessione dei campani in B, epilogo reso ancora più amaro dall’incendio ferroviario che finisce per costare la vita a quattro tifosi granata.

In seguito Delio Rossi ha allenato numerose altre squadre, inseguendo il gioco ma senza un dogma come modulo tattico, provando varie soluzioni e ottenendo risultati più o meno buoni. Più buoni che non, si direbbe guardando la sua carriera: dopo Salerno eccolo al Genoa, poi ci sono Pescara (male) e tre buone stagioni al Lecce, dove arriva con la squadra condannata alla B, non riesce a salvarla ma la riporta subito in A e viene infine sostituito da Zdenek Zeman, l’allenatore che più di tutti ne ha ispirato il lavoro e che considera come un maestro avendo appreso molto da lui ai tempi di Foggia, quando il boemo allenava la prima squadra e Rossi i giovani del vivaio. Nella stagione 2004/2005 è all’Atalanta, sostituisce Mandorlini e prende la squadra ultima in classifica portandola a giocarsi la salvezza con così coraggio e impegno che anche se infine la B arriva comunque il pubblico si alza in piedi e applaude, consapevole dello sforzo fatto. Una tale prestazione non passa inosservata, ed ecco che l’anno successivo Rossi è alla Lazio, dove rimane per quattro stagioni togliendosi il gusto di vincere una Coppa Italia e rifilando una quaterna storica – non era mai successo – alla Roma in campionato. Prima di Firenze e dell’episodio raccontato in apertura c’è Palermo, un presidente vulcanico come Zamparini che comunque di lui dirà che è il miglior allenatore (dei tantissimi) che ha avuto alle sue dipendenze, e non è cosa da poco. Se ne va dopo aver conseguito ottimi risultati e aver lanciato giovani come Javier Pastore, Ezequiel Muñoz, Josip Iličić e Armin Bačinović. Eccoci a Firenze, in una squadra dove troppe cose non vanno e dove sostituisce quel Mihaijlovic che oggi per molti è il nuovo guru ma che allora veniva considerato quasi un incompetente. L’ultima esperienza è a Genova sponda Sampdoria, ma dopo un buon inizio la squadra si affloscia e per i curiosi corsi e ricorsi storici che il calcio sa offrire viene sostituito proprio da Mihaijlovic, che si appresta a diventare l’allenatore del momento.

Cresciuto nella scuola tattica di Zeman, amante del bel gioco offensivo e di quei giocatori che sanno dare del “tu” al pallone, Delio Rossi non è però pragmatico e fondamentalista come il suo maestro, ma anzi riesce a distinguere bene il materiale umano che ha a disposizione. Noto per non effettuare cambi per forza e per la capacità di creare un gruppo nonostante sia poco incline al turn-over, come allenatore non rinuncia mai alla difesa a 4 in linea ma da lì in poi va a intuito suo, mentre come uomo non transige sul rispetto umano, che non gli manca nei confronti di chi si mostra pronto a darlo. Attento quindi anche ai valori umani e motivazionali, non è un caso che abbia vissuto i suoi maggiori successi quando si è trovato circondato da giovani di talento, pur se anche in questo caso differisce dal mentore Zeman per la capacità di non chiedere a qualcuno più di quanto possa dare. Sicuramente esperto, sicuramente di successo, Bologna per lui è un’occasione da non perdere per riprendersi un posto nel calcio che conta. Un posto che senz’altro merita, un posto che lo faccia ricordare per l’allenatore preparatissimo e la persona colta e onesta che è piuttosto che per un episodio figlio di un momento. Sotto le Due Torri ritrova Corvino, Fenucci e Di Vaio: le premesse per un futuro pieno di soddisfazioni ci sono tutte.

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