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ESCLUSIVA: Diego Costa prima di Bologna- Fiorentina

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L’INADIEGUATO prima di Bologna-Fiorentina
La neve e Tazio
Bologna-Fiorentina sotto la neve mi dà occasione e spunto di parlare di Tazio Roversi. Il biondo era un difensore puro, poco propenso alle proiezioni offensive. Nel 1969, era il 9 novembre, segnò uno dei pochissimi gol personali proprio alla Fiorentina. I viola erano andati in vantaggio per primi, alla mezaz’ora del primo tempo, con Maraschi. La reazione del Bologna era stata immediata, ma ancora la Fiorentina aveva trovato in apertura di ripresa il modo di allungare con Chiarugi. Pareva un match segnato. Eppure nel giro di 4′ alla mezz’ora. Prima Muiesan, il centravanti preso dal Bari con cui aveva vinto la classifica cannonieri di B riapre il conto (75′) poi appunto “il biondo” ci regala un grido di liberazione con un tiro cross che finì sotto l’incrocio opposto. Due a due, battute taglienti e pallate di neve. Questo era il “derby dell’Appennino”. Altro che veleni. 
Tazio, lo dice la parola stessa, veniva dalla “terra del campione”, Nuvolari. Mantovano di Moglia, semplice e sincero, sorridente e arguto. Il mio personalissimo ricordo. Gli chiesi un autografo che era ancora in Primavera, capitò in tribuna nel corso di una partita del torneo De Martino, quello delle Riserve. Feci indignare una tifosa amica di mia zia: chiedi la firma anche ai bambini, sibilò indignata. 
La storia di Tazio mi ha regalato un’ampia rivalsa. “Io sono quel ragazzino che ti ha chiesto per primo l’autografo” gli dicevo quando lo incontravo. E lui rispondeva con uno dei suoi sorrisi buoni. Era buono Tazio. Soffrì quando l’epurazione di Conti non lo risparmiò, spedendolo a chiudere la carriera a Verona. Un pendolare. Appese le scarpette al chiodo cominciò a occuparsi di calcio giovanile. Non solo. Secondo di Cadè, guidò la prima risalita immediata dal purgatorio della serie C. Ci sapeva fare, teneva unito il gruppo. 
Con Gazzoni presidente, guidava una squadra allievi ricca di qualità quando dovette dare le dimissioni. Interpretammo con ingiusta malizia quei giorni (ma ci riconosciamo le attenuanti generiche, visto che Gazzoni preferì Venturi a Fogli) quando ci fu detto che Tazio non faceva più parte del settore giovanile. 
Lo chiamammo al telefono. “Tazio, dì la verità, ti hanno fatto un torto? Guarda che me lo devi dire, se le cose stanno così scoppia il casino”. La risposta fu chiara e piena di pudore. “No, il presidente non c’entra: io anzi lo ringrazio”. Ci rsparmiò il dolore della verità. Era capitato che Tazio avesse avuto un malore negli spogliatoi, primo segnale del male che poi lo avrebbe ucciso. Si consolava pensando che i ragazzini erano appena entrati in campo: meno male che non hanno visto… Il timore di turbarli all’improvviso, in un’altra manifestazione della malattia era stato più forte del suo amore per il calcio. Senza esitazioni avvisò il Bologna e si fece da parte. In silenzio. Da grande uomo.
Decise di allenare la sua anima, forte di una fede assai più forte del male che lo stava consumando. Al “Bellaria”, dove era ricoverato nell’ultimo periodo della sua vita, ricordano ancora come andasse a consolare, lui che era alla fine, tutti gli altri ammalati. Portando loro il sorriso, il coraggio e la consolazione. Se n’è andato a 52 anni, Tazio, ma la sua criniera scintilla ancora al sole come quando marcava Gigi Riva. E la neve che scende, e il derby dell’Appennino, ci riportano a quella prodezza di Tazio l’arcigno difensore. Che vola sulla fascia e infila l’incrocio opposto. Quel biondo ha firmato la nostra anima col suo autografo di coraggio. 
Diego Costa

 

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