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Forcing – Ammazza, Mihajlovic, se ci vedi lungo…

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La dirigenza ha deciso: via Pippo Inzaghi, autore di una stagione a dir poco deludente, e dentro – dopo varie consultazioni – Sinisa Mihajlovic. L’unico obiettivo è quello di dare una scossa forte alla squadra, rimaneggiata dagli scarsi risultati (anche se aspettati da molti…), assumendo un allenatore la cui foto la puoi trovare nel dizionario sotto la voce “grinta”. Annus domini 2015: il Milan del penultimo Berlusconi, il 16 giugno, accoglie il tecnico serbo a Milanello.

Partiamo subito da un fatto chiaro e tondo: i rossoneri, quattro anni fa, erano una squadraccia. Cioè, sia presi singolarmente, sia visti nel contesto, la banda di Inzaghi (adornata dai vari Honda, Cerci, Bocchetti, Armero, Essien)non poteva fare altro che arrivare decima. L’unico che si è salvato, grazie ai sedici gol in campionato, è stato Menez. Erano tempi in cui a Casa Milan si tirava la cinghia, i “colpi del condor” sul suono della sirena (stile Ibrahimovic e Robinho) erano lontani e si cercava la via per entrare in Europa dalla porta di servizio, la Coppa Italia, ovviamente nemmeno mai avvicinata.
Inevitabile il cambio di rotta, un po’ come è successo quest’estate a Bologna: Donadoni, dopo il famoso litigio col tifoso a Casteldebole, non era più ben voluto dalla maggior parte dei supporters, nonostante la salvezza fosse sempre assicurata a inizio campionato. La dirigenza, allora, ha voluto buttarsi su Inzaghi, sia perché salita sull’onda dell’entusiasmo del gran campionato del Venezia, sia perché il suo era un “nome forte”, di quelli che senti e pensi “Wow, Pippo a Bologna!”. Una volta risvegliatisi dal sogno, si affronta la cruda realtà: così hanno fatto a San Siro, così hanno fatto sotto la Maratona.

I rossoneri di Mihajlovic concludono il campionato al settimo posto, perdono la finale di Coppa Italia per un gol di Morata e Sinisa fa una fine addirittura peggiore di Inzaghi, terminando il suo percorso il 12 aprile, dopo una sconfitta con la Juve. Al suo posto arriva Brocchi, ma in Curva Sud gli umori non sono certo dei migliori: inutile esonerare un allenatore quando ha in mano una squadra nemmeno da Europa League, sperando che aleggi nelle zone alte di classifica soltanto perché si chiama “Milan”.
Eppure, anche se in forma diversa rispetto a quella che sta vivendo adesso, il signore seduto in panchina ha lasciato sicuramente il segno: su tutti, Donnarumma.
Insieme a Menez, anche Diego Lopez – certamente non aiutato da una difesa impresentabile – aveva degnamente figurato l’anno precedente, ma, dopo i primi gol evitabili, la goccia che fa traboccare il vaso arriva al momento del gol di Baselli: il Milan pareggia 1-1 a Torino, il portiere spagnolo viene attaccato e Sinisa, senza troppi pensieri, lo “panchina” in favore del ’99. Risultato? Sempre titolare, in Serie A, fino all’infortunio del match contro l’Udinese. Ammazza, se ci vede lungo…
Un altro esempio? Basta ricordare queste parole: “Presidente, lei lo compri a questa cifra. Se poi lo rivenderà a un prezzo minore, io le darò i soldi che servono per raggiungere quelli spesi”. Si parlava di un ventenne Alessio Romagnoli, allenato da Sinisa nel 2014/2015 alla Sampdoria. Risultato? Capitano della squadra dopo l’avventura di Bonucci. Ammazza, se ci vede lungo….

Sembra passata una vita, è – effettivamente – passata una vita, ma le qualità del tecnico sono state messe in discussione sempre meno. A Bologna come a Milano ha voluto subito fare di testa sua, ben consapevole che sarebbe stata la strada giusta: “Presidente, portami Lyanco ed Edera, che poi ci penso io”, sembra abbia voluto dire, con quei due acquisti, arrivati in terra felsinea senza troppi applausi o contestazioni. Dopodiché, ha stabilito le gerarchie, votando i suoi 12 titolari (l’unico ballottaggio, a meno di infortuni, è Dzemaili-Poli, no?) e abbinando alla voce “nuove scoperte” quella di “chilometri percorsi”, nemmeno fosse Cristoforo Colombo. Risultato? Bologna (quasi) salvo, con una media punti – nelle ultime giornate – che lo fanno schizzare in testa alla mini-classifica. Ammazza, se ci vede lungo…

Il calcio, come la vita, è fatto di cicli. Il caso ha voluto che il tandem Inzaghi-Mihajlovic si spostasse, verso sud, di poco più di 200 km dopo quattro anni. Il primo, come spesso gli succedeva in campo, è stato ancora colto in fuorigioco (per carità, tutti hanno le annate storte, non siamo qui a criticare Pippo); il secondo, invece, poteva accadere che alla prima punizione il pallone sfiorasse il palo, ma alla seconda…

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