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Giacomo Bulgarelli, una bandiera che sventolerà per sempre – 12 feb

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Se ne è andato esattamente sei anni fa. Retoricamente si potrebbe dire “ultimo simbolo di un calcio che non c’è più”, ma forse non lo si ricorderebbe nel giusto modo. “Ultimo simbolo di un Bologna che non c’è più”, ecco, forse sarebbe più adeguato. Perché Giacomo Bulgarelli, straordinaria mezzala classe 1940, per quelle strane e magiche casualità che il pallone sa raccontare avrebbe potuto essere grande ovunque – nelle grandi squadre metropolitane, nella Nazionale – ma fu campione vero proprio a Bologna, nel Bologna di cui è stato più di ogni altro giocatore passato, presente e futuro il simbolo. Sedici stagioni, 486 partite tra campionato e coppe, il giocatore nella storia ad aver indossato più volte la maglia rossoblù. Campione, capitano, leader dai modi garbati, Bulgarelli infilò per la prima volta la maglia del Bologna che era un ragazzo e la sfilò per l’ultima che era un uomo. Un campione vero. Quando è scomparso Gianfranco Civolani, una delle memorie storiche rossoblù, disse che “se ne è andato il migliore”, per una volta, non era una semplice frase di circostanza. Che Giacomino, il migliore, lo è stato davvero. E dagli torto. Non bastassero le centinaia di gare giocate con il rossoblù addosso, si tenga presente il come le giocò: esordio da “cinno”, il padre che minaccia di toglierlo dalla squadra perché toglie tempo allo studio, lo stesso che lo ha iniziato però al pallone a sei anni, per calmare un bimbo troppo vivace. Va come deve andare, Bulgarelli fa il suo esordio all’ala nel 1959, poi si sposta mezzapunta a ridosso dei Mondiali di Cile ’62 e fa il botto: forse perché nel mezzo del campo contano più i piedi della corsa, e lui non è che sia una scheggia si dice. Forse. O forse perché al centro sei nel mezzo del gioco, decidi tu, incidi se hai carattere e intelligenza. Bulgarelli segna 8 reti, va ai Mondiali ma da riserva, gioca solo l’ultima gara, inutile, una vittoria per 3 a 0 contro la Svizzera griffata comunque da una doppietta. A 22 anni, mica male! 

Torna a Bologna ed ecco il sorpresone che gli ha fatto quel geniaccio di Dall’Ara, il suo presidente: in Germania ha scovato e ingaggiato una mezzapunta che gioca nell’Augsburg in seconda serie, e nel tempo che avanza – si dice – fa il camionista. Si chiama Helmut Haller e forse solo Dall’Ara lo sa, ma è destinato a diventare uno dei più grandi giocatori di sempre del Bologna. Comunque, sarà lui la nuova mezzala del Bologna, e davanti ci sono Pascutti e Nielsen, non due qualsiasi. Quindi? La soluzione è arretrare. Bernardini lo piazza nel mezzo del gioco, coadiuvato da Fogli. Giacomo è perplesso: sa fare gol, vuole fare gol. Ma “il Dottore” è uno che ci vede lungo. Non segnerà più molto, Bulgarelli, ma cosa conta? I gol li farà fare, entrando ancora di più nel vivo del gioco e diventando l’anima del Bologna. Che “gioca come in Paradiso” principalmente perché c’è lui, a dettare il ritmo, a vedere gli inserimenti, a stabilire i tempi: è qui che si scopre il Bulgarelli “vero”, fantastico palla al piede ma anche duro nei contrasti, fiero e gagliardo come l’aspetto – i capelli con una perfetta riga da un lato, la faccia da bravo “ragasso” – non lascerebbe intuire.
E quella dopo è la stagione calcistica 1963-1964: e tutti a Bologna sanno come va a finire. Nel campionato precedente i rossoblù sono partiti bene, hanno entusiasmato ma poi un calo fisico e nervoso li ha portati ad un quarto posto forse meritato. In questa stagione però non ce n’è per nessuno: il Bologna parte forte, non fortissimo, a metà torneo insegue il Milan, poi quando passa a condurre scoppia l’assurdo scandalo di un doping presunto, assunto dalla squadra, alla quale vengono sottratti punti e serenità proprio quando si stava involando verso il traguardo finale. Ma Bologna non vuole smettere di sognare, ed è qui che la città reagisce unita e compatta, una cosa che Bulgarelli sempre ricorderà quando parlerà della sua scelta di vita a tinte rossoblù: i giornalisti bolognesi agitano le acque, insinuano dubbi, spingono a controlli più attenti. Il complotto – perché di questo alla fine si tratta – viene smascherato, i punti tolti vengono restituiti ma qualcosa si è perso per strada, e l’Inter di Herrera, la Grande Inter, si rifà sotto, sorpassa il Milan e aggancia proprio il Bologna. A fine campionato nerazzurri e rossoblù sono a pari punti, è necessario uno spareggio. Purtroppo le scorie dello scandalo-doping non hanno toccato solo la squadra, ma anche le coronarie del presidente Dall’Ara, che muore qualche giorno prima di vedere il suo Bologna ancora campione. Perché il Bologna, è ovvio, lo spareggio lo vince: chi è succeduto a Dall’Ara sarebbe anche per accettare un titolo ex aequo, in quegli attimi concitati, ma non Bernardini. Si giocherà e si vincerà, ordina. E si gioca. E si vince: 2 a 0, gol di Fogli e Nielsen. 7 giugno 1964, una data che entra per sempre nelle “Date” dei bolognesi. E si, l’Inter era stanca per via della finale di Coppa Campioni da poco disputata – e vinta – però alla fine va come deve andare, vince chi lo merita. Il resto della carriera di Bulgarelli è mito: un altro Scudetto non arriva più, è impossibile, e del resto Giacomino lo sa e a fine carriera lo dirà più volte e senza mezzi termini. Quel Bologna aveva disturbato, aveva già fatto troppo vincendo quell’anno, impossibile ripetersi e non solo per la bravura degli avversari. In ogni caso, ogni stagione “l’Onorevole Giacomino”, come lo chiama dalla torre di Maratona il megafono del capo dei tifosi rossoblù Gino Villani, migliora sempre più.

Sarebbe il leader della scompaginata Italia che si presenta ai Mondiali del 1966 indecisa se basarsi sul gioco del Bologna o su quello dell’Inter: il CT Fabbri alla fine opterà per una via di mezzo che non convince nessuno, la Corea del Nord elimina gli azzurri grazie al gol di un carneade e tutta la colpa viene fatta ricadere su di lui, su Giacomino, uscito malconcio dopo una mezz’ora. Lascia i compagni in inferiorità numerica, dicono i giornali del nord, come se queste cose non capitassero. Non doveva giocare, ribadiranno, e c’è da scommettere che se lo avesse fatto, se fosse mancato, lo avrebbero accusato di essere scomparso proprio quando serviva. Le sostituzioni? Ancora non esistono, le inventeranno per i Mondiali successivi e in azzurro i primi protagonisti di questa regola saranno Rivera e Mazzola, i registi di Milan e Inter, quelli che ne prendono il posto in azzurro. Rivera, primo Pallone d’Oro nella storia italiana, e Mazzola, figlio del grande Valentino: due campioni veri, forse dalla classe persino superiore a quella di Bulgarelli, ma che rispetto a lui non hanno la stessa insuperabile capacità di giocare per la squadra, di esserne il perno, il fulcro, l’anima. E si, la Nazionale è un’ombra nella carriera del grande Bulgarelli: appena 29 partite, 7 reti e una medaglia di bronzo agli Europei del 1968 ai quali ha contribuito giocando appena una gara contro la Romania durante le qualificazioni. La sua ultima gara azzurra la gioca a 27 anni: un po’ per colpa di Mazzola e Rivera, un po’ per i numerosi infortuni che lo colgono, un po’ per la Corea e molto perché insomma, gioca nel Bologna. E certo, è un po’ strano che Balotelli, a 25 anni e senza aver dimostrato nulla, lo abbia già superato in quanto a presenze azzurre. Segno dei tempi che cambiano, forse anche dei valori.

Che non è più quello dove ha esordito, quello che inseguiva la grandezza di un tempo: la morte di Dall’Ara ha cambiato tutto, ma finché resiste Bulgarelli rimane un Bologna più che dignitoso, che non retrocede, che anzi vince due volte la Coppa Italia. E Giacomo resistere resiste, arretra ancora la sua posizione, gioca da libero, non vuole arrendersi mai, sempre più bandiera, anche quando sembra rimanere l’unico a giocare a calcio mentre tutti giocano a pallone. Si ritira a 35 anni, una vita nel Bologna, unico grande amore nonostante negli anni siano arrivate offerte importanti anche da altre squadre e sia già cominciata l’epoca che vende i suoi campioni – Pecci, Fogli – e che cala sempre di più. Si ritira, Giacomino, e con lui si ritira anche l’anima della squadra, poco da dire.  Diventa dirigente, ma uno così può lavorare lontano da Bologna? No, infatti, e quando si accorge che il calcio è sempre meno “il suo calcio” capisce che è meglio fare l’opinionista, campo nel quale si dimostra così bravo da finire addirittura nei videogiochi: sua è la voce che commenta la serie “FIFA” insieme a Massimo Caputi, la voce di un ragazzo che è stato ragazzo senza la televisione. Conseguenza logica, verrebbe da dire: la sua voce alla playstation, lui che per Gigi Simoni era il cervello del Bologna del 1964, “un calcio da playstation, che sfiorava la perfezione.”


Quando muore è un dolore per tutti, un lutto cittadino. Ha 68 anni, è malato da tempo, ma nessuno si rassegna alla cosa, perché Bulgarelli è una di quelle figure che pensi che ci saranno sempre, per sempre. Ancora oggi è facile per molti tifosi chiedersi “cosa ne penserebbe Giacomino”, di questi anni, di Diamanti capitano che scappa in Cina a metà stagione, di Guaraldi e di Zanetti, degli americani, del nuovo stadio che per fortuna non si farà, che lui non avrebbe voluto, che “è il Dall’Ara lo stadio del Bologna”, e sta dove deve stare. Uno così sarebbe senz’altro piaciuto a Joe Tacopina, personaggio moderno ma dai modi antichi, attento alle tradizioni, al quale ogni bolognese avrà già spiegato nei dettagli chi fu Giacomo Bulgarelli, il re di Bologna, l’ultima grande bandiera. Perché di campioni la storia del calcio e del Bologna sarà stata piena, e non si può mai dire cosa riserverà il futuro. Ma una sola cosa è certa come la fedeltà di questo grande campione ai colori rossoblù: di Giacomo Bulgarelli ce n’è stato – e ce ne sarà – soltanto uno. E se è vero che non muori davvero finché qualcuno si ricorda di te, allora si può essere sicuri di una cosa, e cioè che l’ultima bandiera del Bologna sventolerà per sempre.

Onorevole Giacomino, salute.

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