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Bologna

Grandi Pensieri di Mattia Grandi

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Alla giornata numero trenta del massimo campionato di calcio italiano ho due certezze: il Bologna è nettamente la compagine più scarsa del torneo ma si salverà grazie alle sfighe (ed ai demeriti) altrui. Incomprensibile l’allineamento astrale attraverso il quale un’ammassa di cozzaglia, solo per comodità appellata squadra, inanellando figure di cioccolato in giro per lo stivale occupa il quart’ultimo posto in classifica. Non c’è una logica, la spiegazione razionale è catalogata alla voce “fondoschiena”. Un retrobottega che potrebbe concretamente collocare la salvezza in serie A a quota trentuno, massimo trentadue punti, la più bassa della storia delle galassie calcistiche. Scrutando il calendario ed inscenando il peggior catenaccio difensivo, i felsinei, superate di rigore le colonne d’Ercole cagliaritane, hanno nelle proprie corde quattro, cinque punti. Con il penta points ci si salva, dietro faranno meglio in termini di punti netti ma pagheranno il gap odierno: Chievo, Bologna, Catania, Sassuolo, Livorno a metà maggio. Fine della profezia. Questo per allentare la tensione sull’attualità serale che porta il vergognoso Bologna di Verona, sponda Chievo, ad uno dei punti più bassi della storia moderna. Umiliati per l’ennesima volta da una diretta concorrente per la corsa alla salvezza: cinque punti nella cascina rossoblu, quattordici nelle aie degli avversari attraverso l’analisi degli scontri diretti. C’è da stare allegri. La disfatta di Chievo mostra una formazione tecnicamente e qualitativamente improponibile nella massima serie, un allenatore incapace di valorizzarne le già modeste valenze ed una società che raccoglie i frutti del suo dissennato operato. Il tutto  condito dall’assenza di una (o più) figura in grado di indicare una rotta nel mare in tempesta. Situazione che legittima un gigantesco alibi di comodo comune. I giocatori sono scarsi, beh ma è cosa nota. L’allenatore non ci capisce più una mazza, beh ma poveretto con quell’organico, gli hanno venduto anche Diamanti. Qualcuno ha avuto il coraggio dopo il successo casalingo con il Cagliari, una botta di culo pazzesca, di informarsi sull’entità del premio salvezza. Qualcuno dopo la batosta di Livorno voleva fermarsi un paio di giorni in Versilia. Qualcuno si è lamentato del ritiro a Coverciano e al Calzavecchio. Qualcuno addirittura imputa le colpe di tutto alla stampa che, a onor del vero, qualche cagata l’ha fatta. La più grossa? Quello di coprire l’operato dirigenziale per troppo tempo fino a scendere dal carro dei potenti a giochi ormai compromessi. E allora la colpa di chi è? Di chi, in assoluta malafede, ha smembrato una squadra con una costanza maniacale e metodica da serial killer. Nel silenzio assordante di tanti, non di tutti. Sapete perché in un angolino recondito dell’anima mi urta l’eventuale salvezza del Bologna? Perché qualcuno si sentirà autorizzato a fare la morale, perché qualcuno si sentirà legittimato a chiedere il premio salvezza. Ancora una volta sarà la verità ad essere insabbiata, fino alla prossima puntata, fino a quando non ci saranno più tre squadracce dietro. Perché non lo compro io il Bologna? Perché non ho i soldi e, non avendoli, evito di prendere per il ruzzolo una tifoseria, una città sportiva e me stesso. Populismo? No, balle roteanti da mesi.

Mattia Grandi          

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