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Il Bologna visto da Voi – L’8 azzurro di Giulio “il bolognese”

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Era fine giugno 1962, allora tifavo Milan, perchè  abitavo a Milano e perchè milanista era mio padre, poliziotto, che mi portava allo stadio gratis.
Però non è che mi piacesse tanto, non mi piaceva l’ambiente e sopratutto le spacconate dei mie compagni di scuola. Ma cos’altro potevo tifare? Inter? Peggio! La Juve? Per carità!
Ma in quel fine giugno del 1962 avvenne una cosa che mi cambiò letteralmente la vita.
C’erano i mondiali in Cile e durante la partita Italia Svizzera, rigorosamente registrata e in bianco e nero, notai il nostro numero 8 azzurro. (allora i numeri erano dall’1 all’11, e senza nome sulle spalle, non come adesso che ognuno ha il suo numero) Quell’8 fece due gol, non solo ma giocò da Dio. Chiesi a mio padre “Papà, chi è quell’8?” mi rispose “è Bulgarelli, gioca nel Bologna”.
Fu amore a prima vista, decisi all’istante di tifare Bologna e il giorno dopo quando andai all’oratorio a giocare, mentre i miei amici, per emulare i grandi campioni,  si facevano chiamare Rivera o Sormani i milanisti, Mazzola o Corso gli interisti e Sivori o Charles gli juventini,  io, tra le risate generali a crepapelle, volli essere chiamato Bulgarelli.
Avevo solo 13 anni.
Due anni più tardi, vissuti sempre da emarginato perchè tifoso del Bologna, vinsi lo scudetto ma prima di quel fatidico 7 giugno 1964, venni additato come dopato ed escluso dai giochi.
Per assurdo quel 7 giugno 1964 non esultai più di tanto perchè quel giorno mi dichiarai anche al mio primo amore. Avevo 15 anni, lo so che adesso a quell’età si fa già sesso, ma io mi dichiarai durante un gioco societario, quello dei difetti, dove uno deve dire al sorteggiato (in questo caso era la mia lei) che c’era uno che di lei diceva….. e lei doveva indovinare chi.  Io dissi tutto il bene che potevo e lei indovinò. Il tempo era proprio mentre c’era Inter Bologna all’olimpico. Seppi solo alla sera che avevamo vinto lo scudetto e festeggiai con un gelato.
I giorni dopo guardai un po’ di TV. Non c’era calcio a tutte le ore come adesso ma la cosa che mi colpì più di tutte  fu che i tifosi bolognesi rivestirono di rossoblu la statua più importante della loro città.
La cosa mi piacque tantissimo. Ne fui addirittura orgoglioso. Ma io cosa conoscevo di Bologna? Niente.
Decisi allora di conoscere la città, ogni anno i miei affittavano casa a Riccione, ci andavano in treno. Quell’estate feci i capricci e volli scendere a Bologna per visitare  la città, mia madre disperata perchè bisognava portare i bagagli al deposito  e mio padre con quell’espressione che diceva “ma cos’ho fatto di male per meritarmi un figlio del genere!”
La città mi piacque subito, il colore, i capannelli di gente e poi quei portici… a che serve avere un ombrello a Bologna? Poi alla stazione mangiammo le lasagne calde avvolte in un pacchetto di carta stagnola: Mai mangiato meglio!
Facevo allora l’Istituto per il Turismo, all’esame di maturità si portavano tutte le materie, non ero una cima ma in tecnica turistica ero il migliore della scuola, non della classe. L’esame di tecnica consisteva nel fingersi una guida turistica e di parlare di un monumento. I miei compagni parlarono di Firenze, Roma, Vaticano, Parigi.
Ricordo ancora l’espressione  delusa e scoraggiata del mio prof quando iniziai ” Buon giorno, mi chiamo Giulio, sono la vostra guida, visiteremo oggi la Basilica di San Petronio a Bologna”
Ma come, con tutti i monumenti che ci sono in Italia e in Europa, sto’ qua va a scegliere S. Petronio!
Per assurdo parlai molto di più dei miei compagni che avevano monumenti piu importanti.
Quando partii militare per Roma pensai di conoscere sicuramente qualche bolognese, magari anche tifoso.
Invece niente. Calabresi, pugliesi, sardi, lombardi, veneti ma bolognesi niente.
Conobbi sotto le armi la donna che ora è mia moglie e nel 1984 successe un altro fatto che mi permise di considerarmi un po’ bolognese:  andai con moglie e figlia di 4 anni, loro in vacanza e io per lavoro, alle isole Canarie. Ci fu un terribile incidente, il pullman dove eravamo noi insieme a molti impiegati dell’ospedale S.Orsola di Bologna (autentica coincidenza) precipitò in un burrone. Ne parlarono anche al telegiornale. Io, con la testa sanguinante, con la figlia ferita e moglie con gamba rotta, fui il primo a essere soccorso. Appena medicato, affidata la figlia alla madre, mi prodigai per gli altri feriti bolognesi, offrii assistenza nella sala medica come interprete e come assistenza psicologica.  Mia moglie mi disse che probabilmente non l’avrei fatto se quegli sventurati fossero stati di un’altra città. Non lo so.
Ma da allora mi sento un po’ bolognese e infatti qui, tutti in paese, mi chiamano “il bolognese”, convinti che io sia non solo tifoso del Bologna ma anche di  Bologna. E io non l’ho mai smentito. 

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