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Il Punto sul Bologna – A mo’ di gambero

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A volte, mi sembra di essere uno di quei rompicoglioni che giravano per città e villaggi, nell’alto Medioevo, a preannunciare la catastrofe dell’imminente domani. E come loro, sono convinto di avere ragione. E come loro, mi sbaglio. Spesso, le due cose si avvalgono del principio di causa-effetto e vanno di conseguenza l’una all’altra.
Ma una cosa mi differenzia dai primi: loro avevano terrore del futuro, io del passato. Attenzione, però: non del passato che rende tradizione a una comunità. Bensì ho paura di quella ruggine già vista che ossida i meccanismi. Gazzoni, Saputo, Fabbretti, Guaraldi, Baggio, Ulivieri; poco importa, i nomi arrivano e passano. Ma quella vigliacca voglia di sentirci migliori degli altri ce l’abbiamo dentro. Costi quel che costi. C’è sempre uno che è più fesso di noi: l’attore che recita male, il politico incapace, il medico insipiente, il meccanico ignorante. E, nello stesso modo, guardiamo Destro, Donadoni, Bigon…Saputo.
Tuttavia, con l’arrivo di Tacopina avevo percepito una ventata di aria fresca: “Manteniamo le tradizioni, ma puntiamo al futuro”. Sintetico e giustamente paraculo. E poi Saputo e il suo sorriso rassicurante. E quello che pensavo allora, ancora lo penso. Perché ritengo la ventata nordamericana, una questione salutare e imprescindibile dal nostro futuro.
Poi quella scritta: WE ARE ONE che marchia indelebilmente ciò che siamo. O, meglio, ciò che potremmo essere. Ed è lì che risiede il “progetto” rossoblù che tutti dovrebbe accomunare. Uno slogan che non può essere legato ai risultati, quel senso di unità deve prescindere dal vincere o dal perdere. Altrimenti aveva ragione l’imberbe Stefano Accorsi, tanti anni fa, nella pubblicità di un gelato: Du’ gust is megl’ che Uan!”
Allora, forse, dovremmo fare un passo indietro tutti, a cominciare da chi scrive. Forse solo azzerando le nostre ambizioni, possiamo riscoprirci tutti dalla stessa parte. Un po’ di anni fa, pur essendo virtussino, ho molto ammirato quel senso di unità che c’era nei ragazzi fortitudini che non si lamentavano di non riuscire mai a vincere. Anzi (e lì risiede il confortante colpo di genio della Fossa) ci scherzavano sopra con cori e risate. Uno spirito impagabile e, davvero, confortante. E lo fu così tanto, per me cinnazzo, che lo feci mio. Perché è in quel modo che si riesce ad andare oltre i mala o bona tempora che siano. È in quel modo che ci si sente tutti ONE.
In conclusione, da quei tempi, mi son ripromesso di non insultare chi veste i colori per cui tifo. Anche se mi dovesse risultare antipatico o poco funzionale ai miei scopi o alla mia visione del mondo. E sono sereno, anche se perdo. Altrimenti sarei stato juventino. E invece no, io sono Minuzzaglia. E sono orgoglioso di esserlo.
Ripartiamo con un passo indietro, dunque. Dalla dirigenza alla tifoseria, dall’Informazione a chi legge. Hai visto mai che, a mo’ di gambero, facciamo anche dei passi avanti?

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