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Il Punto sul Bologna – Ceto medio – 1 feb
Per gli economisti è una categoria che va pian piano assottigliandosi. Eppure, a guardare la classifica del campionato italiano di serie A, sembra essere quella più corposa. Si sta parlando del Ceto medio; quello che calcisticamente comprende attualmente le squadre che vanno dal Torino (a quota 31 punti) al Sassuolo (che di punti ne ha 24). Si tratta di nove squadre che possiamo definire come le attuali concorrenti del Bologna per puntare alla colonna sinistra della classifica e che con gran probabilità lo saranno anche per le prossime stagioni.
È un punto basico per capire quanto sia attuabile e quali possano essere le difficoltà nell’ambizioso ma pragmatico piano di Joey Saputo. La differenza però (e questo è bene che sia il più chiaro possibile) non dipenderà solo dagli investimenti specifici in particolari giocatori. E questo aspetto non va per nulla trascurato. Perché immaginare che il nostro amato Bologna possa fare il salto di qualità solo comprando giocatori è errato, proprio perché i giocatori sono per natura un’incognita. Un fattore, tra l’altro, ripreso anche da molti giornali di economia, ai primi ingressi di società calcistiche in Borsa; ad esempio, il Financial Times definì la questione «un affare ad alto rischio, perché un goal può segnare la differenza tra promozione e retrocessione modificando radicalmente le prospettive commerciali di una squadra». Aggiungendo poi che «Non tutti i club hanno la stessa capacità manageriale di trasformare le vittorie sportive in successi commerciali».
Un giudizio definitivo, dunque. Un giudizio, come detto, avallato anche dal Sole 24 ore che, poco più di un anno fa, riteneva la quotazione in Borsa un investimento disastroso perché eccessivamente soggetto alla «volubilità dei risultati sportivi e all’umore dei tifosi-shareholders». Tifosi che più laicamente chiameremo in questo caso clienti.
Sebbene riferito esclusivamente alla quotazione, sembrerebbe una sentenza negativa per chi vuole investire in questo settore. Quasi un suggerimento al nostro Saputo. Tuttavia, sempre nello stesso articolo economico redatto da Marco Bellinazzo si trova la frase che cambia il prospetto depotenziando le nostre ansie. Perché, si legge sempre nello stesso articolo, se la società (in questo caso, il nostro Bologna) «è collegata a un progetto industriale credibile e con un patrimonio solido, non limitato alla rosa degli atleti, allora il discorso cambia e goal e rating non sono così incompatibili come sembrerebbe a prima vista».
Ecco, è proprio questo il tema. Un tema che, a calciomercato chiuso, dovrebbe diventare “IL” tema quando parliamo della squadra che amiamo. Saputo lo disse appena arrivato in Italia: “Qui si guarda unicamente l’aspetto sportivo – affermò – noi ragioniamo in altro modo”. E “l’altro modo” è quello che viene attuato con regolarità in società Si sta parlando della crescita del valore patrimoniale della società che investe in strutture (vedi Stadio e Centro tecnico) e si adegua ai passi lenti dell’adeguamento economico che vorrebbe dire almeno bilanciare economicamente le uscite con le entrate. I quasi cento milioni di euro messi da Saputo in circa tre anni delineano con chiarezza la faccenda.
Dunque, al momento, facciamo parte del ceto medio. E lo diciamo a denti stretti e con fatica, vista l’aristocrazia del blasone rossoblu. Però, anni di disagio, ci avevano portato ad impoverire ed impolverare le nostre ambizioni. Anche durante la presidenza Gazzoni, l’immagine che oggi a mente fredda riusciamo a scorgere è quella di un gran bel Bologna ma che difficilmente avrebbe potuto competere a lungo con le grandi. Proprio perché chi vive nel ceto medio, se non struttura una strategia e pianifica un programma, difficilmente potrà fare il salto di qualità. Perché si rischia la sindrome del “One shot”, che in gergo diventa “Una botta e via”.
Ma noi tifosi del Bologna, tolta l’Età dell’oro che è durata fino ai primi anni settanta, per la prima volta guardiamo con serenità ed ambizione il futuro. Saputo ci disse “Entro dieci anni, saremo tra le grandi”. Ne son passati già tre e tutti e tre in crescita. E questo già ci distingue dal resto del ceto medio.
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