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Il punto sul Bologna: Eros e Thanatos – 29 nov

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Alla fine di ogni partita, la nostra reazione è immediata, come se ci fosse caduto del caffè bollente sui pantaloni. E Bologna – Atalanta non aveva ancora fatto a tempo ad essere omologata che subito uno tsunami di commenti si è riversato sulla piazza virtuale delle opinioni. Ed è venuto fuori di tutto, perfino il rimpianto per Giaccherini e Diawara che sono due vicende chiuse e metabolizzate. Eppure, una frangia di pensiero continua a rimpiangere ciò che non abbiamo, la classica erba del vicino. E in alcuni casi, in alcuni commenti, appare anche chiaro la qualità del vegetale, senza essere esperti di botanica. Provando a dare un senso a tutto ciò, bisogna però fare uno o due passi indietro. L’anno scorso, di questi tempi, la squadra aveva alla quattordicesima giornata 13 punti e componeva, insieme a Carpi Verona, il trittico ideale per la zona retrocessione. Ad oggi i punti sono 16, tre in più dunque e con la zona retrocessione distante di ben nove unità dal Pescara, terzultima. Situazione differente, dunque e, soprattutto, migliorata, in comparazione ai tempi.

Ma c’è un altro punto interessante da notare: la distanza dalla decima (che rappresenta il limite della classica colonna a sinistra) nel 2015/2016 era la Lazio che ci superava di sei punti che diventano poi otto dall’Atalanta, nona. Quest’anno, invece, la zona ambita è lontana di appena di tre punti (il Genoa), 4 dalla Fiorentina e 5 dall’Inter che è ottava. Con gli otto punti della stagione precedente, in questa si raggiungerebbe la settima posizione ad un punto (dunque tre partite) da Torino e Napoli. Per dirla in due parole: il fattore crescita è chiaro e costante. Ma per aiutare questa lettura, mi sembra giusto aggiungere un altro dato fondamentale. E voglio parlare dello strepitoso (senza essere ironici) Torino. Una delle più belle realtà di questo campionato. E c’è un motivo per cui cito i granata. Quest’anno è caduto un decennio da quando, il 12 luglio 2006, Urbano Cairo aveva acquistato all’asta fallimentare per 1 milione e 411.000 euro il marchio del “vecchio” Torino. E dopo dieci anni, eccolo lì, al sesto posto, ad una partita dal gotta delle “europee”.

Piccolo appunto: tre punti più del toro ce li ha l’Atalanta quella che certo non è il Real Madrid ma che veniva comunque dalla batosta inflitta alla Roma, seconda in campionato. Ma torniamo a Cairo; l’editore piemontese ha impiegato dunque dieci anni per raggiungere l’obiettivo di un progetto. Un progetto che, tra l’altro, ha visto la squadra soffrire per tre anni, nel cuore del suddetto decennio, in serie B con un quinto, un ottavo ed un secondo posto che le valse poi la promozione. Questi sono i tempi che ci vogliono. E, guarda caso, sono gli stessi che ci dissero (e nella particella pronominale includo davvero tutti, dai tifosi all’intero mondo dell’informazione e della comunicazione) subito dopo l’acquisizione del nostro amato club da parte del signor Joey Saputo (e l’ultima affermazione, immaginatela detta in posizione orante). La società aveva espresso questi numeri.

Ora: da quale frenetica sverzura siamo colti in questo momento? La primavera è lontana. Cos’è questa irrequietezza erotica, fatta di pulsioni e spontaneità? Opinioni in orgasmo ed infuocate invettive? Perché questa costante e noiosa ricerca dell’amante perduta? Perché sgranare il rosario di nomi dei vari Ramirez, Diamanti, Diawara appunto, quando ce li abbiamo in casa i nostri idoli. O non è questo l’amore? Non si ama chi hai vicino, senza rimpianti di memorie perdute? Oppure ci manca anche Savoldi? In conclusione: se ci dovesse mai capitare una défaillance, diamoci la speranza della pasticchina blu, prima di evirarci.

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