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Il Punto sul Bologna – Miracolo a Milano

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Nulla si crea, nulla si distrugge: tutto si trasforma. La legge che dà vita alla biologia moderna (ma non solo) è facilmente applicabile al nostro Bologna. Perché quello che è accaduto a San Siro ha tutte le caratteristiche di una trasformazione. Non di un radicale cambiamento.
Mi spiego meglio. Il mercato di gennaio del Bologna non è stato enfatico (come lo fu per il Sassuolo, quando in un inverno prese 8/9 giocatori) bensì funzionale. In particolare, l’innesto di Soriano e il successivo cambio di allenatore possono sensibilmente rappresentare suddetta trasformazione. Non è cambiato l’impianto intero, ma la sua organizzazione. Mihajlovic è l’architetto e Soriano il capo cantiere di questa ristrutturazione del Bologna.
Comunque, l’impressione che se n’è ricavata è di grande soddisfazione, per il popolo rossoblù. La squadra è parsa da subito (e in particolare per tutto il primo tempo) compatta e fiduciosa dei dettami del neo mister. Ha giocato con grande intensità, mettendo forte pressione alla costruzione della manovra nella fase bassa degli avversari. Un lavoro molto bene eseguito e molto ben continuato dallo stesso Mihajlovic quando, in sala stampa post partita, ha ribadito il concetto: “Se non battiamo il Genoa, non serve aver battuto l’Inter”. Questa chiosa è decisamente significativa. Perché dà il senso all’opera dell’allenatore che dovrà lavorare sulla personalità della squadra. “Credere in se stessi” o è un principio filosofico applicabile e funzionale oppure è “fuffa”. Certo è che vedere Poli correre per novanta minuti, è un segnale. Palacio che si spende senza affanno in corsa e parole (con arbitro e compagni) è un segnale. Pulgar che sembra aver dato colore ad una stagione in realtà opaca, è un segnale. Dijks che cerca in continuazione di saltare l’uomo a San Siro, è un segnale. E tra loro, Soriano (perdonerete se divento noioso) a tenere le fila unite di questi “nuovi” giocatori, gli stessi di prima.
Se questo servirà a salvare la baracca ancora non lo sappiamo. Servirà continuità e crescita dell’intensità. Ma pur non sapendo se sarà sufficiente questa trasformazione, certo è che sia necessaria. Non c’era un secondo in più da perdere. E non c’è neanche ora. Non c’è più un metro da concedere. Di là il burrone.
Ma siamo ancora in tempo. Il vero “miracolo” a Milano è quello lì: aver ridato la speranza a un popolo. In appena novanta minuti.

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