Bologna FC
Il Punto sul Bologna – Uozzamerican
Fino a qualche anno fa, mi occupavo di internazionalizzazione delle imprese. Cioè di come una qualunque azienda italiana sia costretta ad inserirsi nel mercato internazionale per sopravvivere. Nel calcio italiano, invece e a parte alcune (poche) realtà come la Juventus (oggi Cristianizzata, o Ronaldata se preferite), questo fattore non sembrava essere un punto di interesse. Poi tutto è cambiato: statunitensi, canadesi, asiatici… I soldi arrivano da fuori. Anzi, meglio: i soldi si vanno a pescare fuori e non solo con corpose sponsorizzazioni.
Il Bologna fino ai tempi dell’ultima retrocessione, faceva parte della larga fascia di disinteressati a questo punto. Poi l’epifania sotto le due torri di Saputo Joey. E tutto è cambiato. A esempio, quel concetto di patrimonializzazione dell’azienda e quella parola, “consolidare”, che fa parte di un mondo imprenditoriale a cui non eravamo abituati, calcisticamente parlando. Questo cambiamento nazionale e locale di intendere le cose trova una sacca di resistenza in chi, per divertirsi, intende il pallone semplicemente come un pallone che rotola nel campo e che crea sommo gaudio tra gli spalti. Volenti o nolenti, è un modo passato di intendere il calcio. E noi bolognesi, ci caschiamo con tutti e due i piedi in questo “trabocchetto”. Esiste, però, una ragione per questo cadere: l’ultima volta che si vinceva lo scudetto accadeva poco più della metà del secolo scorso. Così tanto tempo fa che, per una parte consistente del pubblico rossoblù, varcata una certa soglia temporale, quasi non esistono più le differenze tra il Bologna del ’37 e quello del ’64, tra Angelo Schiavio e Giacomo Bulgarelli, tra lo “squadrone che tremare il mondo fa” e lo “squadrone che RItremare il mondo fa”.
Insomma, il tempo logora perfino i ricordi e c’è bisogno di far divenire quei giocatori “miti per costellazioni”. Ma l’immagine di quella forza che il Bologna rappresentava non è mai svanita. Purtroppo per noi, però, è anche l’immagine di un calcio diverso; per certi versi, eroico e romantico. Volgarmente: i soldi non avevano ancora impresso la propria orma determinante su questo mondo, lasciandolo di fatto alla propria epica e mitologia. Come detto, è un mondo percepito come uno spazio remoto nel tempo. Prima dell’avvento delle multinazionali in questo mondo. Prima della santificazione commerciale del prodotto/calcio. Prima della diffusione tecnologica e capillare. Molto prima di far divenire la conferenza stampa di Ronaldo alla Juventus uno show mondiale. Prima che la “pilla” diventasse il codice comunicativo tra essere viventi. Semplicemente, prima. Molto prima.
E noi tifosi rossoblù siamo lacerati tra l’imprinting di una “roba enorme” e la quotidianità di una “roba piccola” (così odiosa quando qualche collega della stampa ci definisce “squadra provinciale”).
In questo passaggio terrificante, c’è un signore che viene dal Canada, che pensa di essere un socio di minoranza (una specie di divertissement) e che si ritrova in un batter di ciglio ad essere chairman, che capisce che in questo “passaggio” sono necessari i dindi sonanti e che firma gli assegni. In due parole, che ci prende per mano per aiutarci. E noi lì, sofferenti e innamorati, a non intendere del tutto che: senza Saputo, ci saremmo confrontati con Bari e Cesena.
Ma i tempi cambiano. Il “sol dell’avvenire” è un sole diverso. Oggi ci sono gli smartphones. La fibra. Il web. Le conferenze stampa fatte in inglese (con quello splendido “british TH” che da noi diventa altrettanto peculiare e strepitosa “Z affilata”). Oggi, c’è Saputo. Oggi si entra nella modernità.
E anche noi ci affacciamo a vita nuova: “Polizia der Cansas siti…orrait orrait…”
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