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Italiano e il dialetto bolognese. Lettura (semiseria) dell’attuale momento del Bologna

Italiano e il dialetto bolognese. Lettura (semiseria) dell’attuale momento del Bologna attraverso alcune locuzioni dialettali che ci aiutano a definire quanto sta accadendo

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Parte oggi la campagna abbonamenti al Dall’Ara per la stagione 24/25 a Bologna
Stadio Renato Dall’Ara (Fonte immagine: Bologna FC)

Leggendo un commento sul nostro sito, relativo agli editoriali della serie “Lezioni d’Italiano”, in cui paventava anche lezioni di latino e greco, ho pensato che forse, potrebbe già bastarne una di dialetto bolognese per avere una lettura della situazione attuale. Ovviamente, una lettura ironica e dissacrante come solo il dialetto può essere. Non per ultimo, quello petroninano.

Sono ormai molti anni che sul nostro sito sono presenti articoli che richiamano locuzioni o parole del nostro dialetto, nella rubrica Alé Bulåggna, un tentativo di avvicinare il dialetto ai tifosi e magari contribuire al suo utilizzo. O quantomeno aiutare a fare in modo che non scompaia. Se siete interessati, andateli a rileggere.

Il Bologna da Motta a Italiano

Vincenzo Italiano sotto la Curva dopo Bologna-Atalanta (© Damiano Fiorentini)

Vincenzo Italiano sotto la Curva (Fonte immagine: Damiano Fiorentini / 1000 Cuori Rossoblù)

Mi sento di partire da quella che considero una grande verità non solo per il Bologna, ma in qualunque campo della vita. Bisogna sempre ricordarsi che “una vôlta l’êra una fòla”, cioè letteralmente che “una volta era una favola”, quando non addirittura che “una volta era una bugia”. La frase gioca sul fatto che tutte le favole tradizionalmente iniziano con la frase “C’era una volta”, concludendo poi che, appunto, si parla di favole. E interessante è anche il gioco di parole che nasce con “fòla”, che oltre a favola, può indicare anche una bugia.

Cosa significa questo? Significa che è abbastanza futile paragonare Italiano a Motta, o la rosa 2024/25 con quella 2023/24. Sono cambiate tante cose, non solo persone e idee, ma anche relazioni, forme fisiche e tanto altro ancora, che rendono vano il confronto. È normale farlo, ma è poco utile soffermarcisi troppo.

Differenze di rosa tra le due stagioni

Orsolini abbraccia Italiano dopo un gol

Orsolini abbraccia Italiano dopo un gol (Fonte immagine: Damiano Fiorentini / 1000 Cuori Rossoblù)

Spesso, oltre al tecnico, si è chiamato in causa anche il mercato, e la rosa. Sorvoliamo sul primo, ci sarebbero davvero troppe locuzioni da poter tirare in ballo, e soffermiamoci quindi sulla seconda, che poi sono in parte gli effetti del primo. E contiamo anche gli infortuni.

Possiamo benissimo dire, senza tema di smentite che, tra mercato e infortuni, Italiano non abbia “‘na chèrta ed tott i zȗgh”. Come potete ben capire, la locuzione richiama i giochi di carte, dove chi ha una carta per ogni gioco, è decisamente avvantaggiato nel corso della partita. Non penso ci sia bisogno di spiegare neanche che, in effetti, il nostro tecnico spesso abbia la coperta corta e non abbia certo una carta per tutti i giochi. Anzi.

Questo però non vuole neanche dire, come invece potrebbero pensare i più disfattisti, che il Bologna possa sembrare “al batagliàn ed Mlèra”. In questo caso, la saggezza popolare si appoggia ad un evento storico.

Pietro Pietamellara organizzò e guidò un battaglione in difesa della Repubblica Romana nel 1849, un gruppo di giovani e meno giovani, raccoltisi in tutta fretta e non preparati a quanto avrebbero dovuto affrontare, sebbene estremamente affiatati e motivati. Partirono in 900 circa, e 770 morirono in battaglia, tra cui lo stesso Pietramellara che oggi dà il suo nome a un tratto del nostro viale.

Ebbene, è chiaro ora il riferimento e il pensiero sul Bologna di oggi. Attenzione, quindi, se è vero che non abbiamo le qualità dello scorso anno (ma queste qualità abbiamo poi scoperto di averle in corso d’opera anche nel 2023/24), è anche vero che non abbiamo un gruppo solo affiatato, ma che non è pronto alla sfida. Forse siamo più in difficoltà con la Champions League, ma non con la Serie A. Per quella, siamo attrezzati più di altre formazioni.

Cosa può dire il dialetto bolognese del gioco del Bologna?

Remo Freuler in azione

Remo Freuler in azione (Fonte immagine: Damiano Fiorentini / 1000 Cuori Rossoblù)

Si torna all’allenatore quindi. E al gioco che questi sta dando al Bologna. Cosa possiamo dire utilizzando il dialetto bolognese del gioco del Bologna? Beh, anche in questo caso, dobbiamo cercare di restare lucidi, ma sicuramente almeno due locuzioni possono essere chiamate in causa.

La prima è certamente “lighér i can con el sulzézz”, cioè, legare i cani con le salsicce. Si capisce subito che è uno spreco di soldi inutile. I cani mangeranno le salsicce e saranno di nuovo liberi. Nel nostro caso, il Bologna crea, lavora, gioca, ma non segna. E non vince. E magari subisce gol e perde. O butta via la vittoria.

A mio parere, però, rende però maggiormente l’idea un’altra locuzione. Una che evidenzia ancora con maggior incisività come l’opera del Bologna spesso ricordi la punizione di Sisifo.

La frase, geniale nella sua semplicità, è insachèr la nabbia, cioè, cercare di imbustare la nebbia. Se conoscete un’altra attività faticosa e impossibile da portare a termine, suggeritecela. Ecco, a volte la sensazione nel vedere giocare il Bologna è questa. Un grande impegno destinato però al nulla.

La vera sfida dei prossimi giorni, perchè ormai è divenuta una necessità pressante, sarà proprio questa: rendere efficace il gioco che viene creato.

Responsabilità e scelte rischiose: Italiano le prende da sempre

Vincenzo Italiano (Fonte immagine: Damiano Fiorentini / 1000 Cuori Rossoblù)

Vincenzo Italiano (Fonte immagine: Damiano Fiorentini / 1000 Cuori Rossoblù)

Di sicuro possiamo dire che il nostro tenico, Vincenzo Italiano, è uno che non rifugge le responsabilità. E un petroniano del passato potrebbe dirvi quindi che Italiano sappia purtèr i còpp, portare i coppi. I coppi, quindi il tetto della casa, li portano (reggono) i muri portanti dell’edificio, e quindi il riferimento è a chi si prende la responsabilità di sostenere la famiglia.

Non solo. Italiano è anche uno che fa scelte particolari, così come le faceva anche Motta, e quindi è qualcuno pronto a “ciapèr el bôtt e i quattréin”. Traducibile in italiano come ottenere le botte e i soldi, questa locuzione significa che si è pronti a rischiare, e che si mette in conto che si possa ottenere un guadagno o perderlo. Nel nostro caso specifico, Italiano crede nel proprio calcio, e per questo è pronto a rischiare e a ottenere quello che la propria scelta comporta. Nel bene e nel male.

La speranza è che il dialetto, a un certo punto, torni ad aiutarci. Sì, perché se è vero che fino ad oggi abbiamo ottenuto meno di quello che probabilmente abbiamo meritato, è anche vero che “chi n s atänta stänta”, modo bolognese per dire che chi non rischia, non ottiene nulla. Speriamo che la ruota giri, e che anche per il Bologna di Italiano inizi la raccolta di quanto meritato.

Dialetto bolognese e situazione del Bologna: sia come sia, dobbiamo restare uniti

La Curva Andrea Costa/Bulgarelli

La Curva Andrea Costa/Bulgarelli (Fonte immagine: Damiano Fiorentini / 1000 Cuori Rossoblù)

Come da motto del rossoblù, “We are One”, dobbiamo comunque essere uniti. Anche perché, come ricorda sempre il nostro dialetto, a “ciapèr la rózzla” ci si mette poco. Inanellare risultati negativi che creino problemi è purtroppo possibile, ma lo è anche il contrario. Iniziare a ottenere risultati, potrebbe portare ad ottenerne altri.

In ultima, sempre citando il nostro dialetto, ecco la nostra esortazione: “Dai Bulåggna, lîvet t î cén!”.

La frase “lîvet t î cén” letteralmente vuol dire “alzati che sei basso”, ma ha una doppia valenza figurativa. Viene infatti usato non per prendere in giro l’altezza di qualcuno, ma per incitarlo.

In un caso, viene utilizzato per chi si inciampi e/o cada (fisicamente o figurativamente). A questi viene detto “lîvet t î cén” come augurio di ripresa, per sollecitarlo a rialzarsi.

Nel secondo, viene utilizzato per consigliare a qualcuno di farsi avanti, e di provare a prendersi quanto si merita. “Lîvet t î cén” diventa un modo per ricordare che solo alzandosi, metaforicamente, si può essere notati e quindi ottenere visibilità.

Ecco che quindi la nostra esortazione, così come la frase in sé, prende più di una valenza. “Dai Bulåggna, lîvet t î cén!”, non è solo un augurio e una esortazione per la nostra squadra, ma lo diventa anche per tutti i nostri concittadini che sono stati colpiti dall’alluvione.

“Dai Bulåggna, lîvet t î cén!”

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