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La Repubblica – Anno 1920, il Bologna più forte del virus

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Luca Baccolini, dalle colonne di La Repubblica, ci racconta come esattamente cento anni fa Bologna e l’Italia si trovarono ad affrontare un’altra pandemia, quella di Spagnola. All’epoca il nostro paese era appena uscito dalla Grande Guerra e la pandemia di Spagnola aveva raddoppiato il numero delle vittime di quella catastrofe; il calcio italiano rischiò di sparire ma così non fu per la forza di alcuni grandi presidenti come quello del Bologna, Cesare Medica. Genovese, industriale del caffè e dello spettacolo, il 15 marzo 1920 fece un annuncio storico: acquistò il terreno su cui sorgeva il campo dello Sterlino: <<indispensabile – spiegò quel giorno – perché il Bologna possa perseguire lo scopo di sua costituzione>>, qualcosa di lungimirante per l’epoca, e tutt’oggi contemporaneo.

 

10 lire. Un Bologna ferito, sei soci e sette giocatori erano morti tra guerra e pandemia, si trovava in quei giorni a dover fare i conti anche con un campo fatiscente, convertito addirittura in suolo edificabile. Arrivò in quel momento l’intuizione di Medica, per poter dare continuità al progetto si sarebbe dovuto investire sul campo. Dopo aver  raccolto 10 lire a testa da i venticinque soci della società anonima cooperativa, si presentò in federcalcio per richiedere l’ok al progetto. Ok che però non arrivò per dubbi di lucro sui fini dell’iniziativa: all’epoca condizioni non accettabili per un sodalizio dilettantesco. Modica, aggiustò il tiro e, anticipando di 90 anni Giovanni Consorte, creò la società Bologna Sportiva, un’operazione di fund raising senza precedenti che si rivelò decisiva per l’acquisto del campo sportivo. Il Bologna potè contare su un capitale di 70803 lire che lo portò ad avere uno degli impianti più moderni d’Italia durante la pandemia più letale del secolo e, sopratutto, gli permise di rigenerarsi e mettere le basi per la squadra che da li a quattro anni avrebbe poi vinto il primo scudetto della propria storia.

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