Seguici su

Bologna FC

Le Due Metà: Francelino Matuzalem – 22 feb

Pubblicato

il


Le Due Metà prova a raccontare, da un punto di vista diverso, quella che è stata la carriera di calciatori che hanno vestito la casacca del Bologna  e della squadra che i felsinei affronteranno durante il weekend. Un racconto, una storia magari già sentita ma affrontata con occhi differenti: questo è l’obiettivo che questa rubrica si prefigge.

Bologna – Genoa. Trasuda storia. Da tutti i pori. Da tutti i portici. Da tutti i porti.

Bologna – Genoa è la sfida tra chi, nel più recente passato, ha avuto più delusioni che gioie, chi ha dovuto legarsi ed aggrapparsi a Capitani Coraggiosi (Marco Rossi da una parte, Marco Di vaio dall’altra) per non sprofondare, per rimanere il più a galla possibile, per riuscire a non rimanere impantanate nella palude che è la zona retrocessione della Serie A. servono Capitani Coraggiosi, dicevamo, ma non solo.

Servono trascinatori, coloro che si caricano squadra e tradizione sulle spalla per portarla su vie meno accidentate, meno pericolose, più sicure. Laddove il sentiero è illuminato e non impervio.

Per Bologna – Genoa la scelta è ricaduta su un giocatore che in Serie A ha giocato tantissimo, con parecchie squadre, e ha da sempre avuto appiccicato addosso l’etichetta del cattivo, quello che “entra per fare male”. Brutta roba le etichette. Ti segnano. Ti condannano. Ti accompagnano per sempre, non hai modo di togliertele di dosso. E, spesso, ti rovinano la vita.

Natal, 1980. Siamo in Brasile. Dove, col calcio, o speri di sfondare, oppure devi già iniziare a guardarti intorno, consapevole che quello no, non sarà il tuo lavoro. Natal, dicevamo: un paese che conta quasi un milione di abitanti. Il Brasile è calcio. Il Calcio è vita.

E lo è anche per Matuzalem Francelino Da Silva, che nel Vitoria inizia a giocare a pallone, nel ruolo di centrocampista: disciplinato, piedi ottimi, è il carattere che va forgiato; troppo irruento, troppo aggressivo, si vede che ancora non sa tenere la bocca chiusa al momento giusto. È il 1997 quando Lui e la spedizione brasiliana Under 17 partono per l’Egitto, dove si disputarono i Mondiali giovanili quell’anno. Matuzalem vestiva la maglia numero 11; con la 10 Ronaldinho. Si portano a casa la medaglia d’oro e Matuzalem riesce a sbarcare in Europa, dove inizia a sgrezzarsi: Bellinzona, poi Napoli, Piacenza, Brescia (tappa fondamentale per la carriera del centrocampista brasiliano, che qui inizia realmente a crescere in modo significativo dal punto di vista tecnico e tattico). Poi, tappa obbligata, se sei brasiliano e sei nel pieno della maturità calcistica: Shaktar Donetsk, club che raccoglie e raccoglieva il maggior numero di giocatori provenienti dal paese verdeoro. 14 milioni di euro: tantissimi. Lucescu lo vuole, e la dirigenza lo accontenta. Poi Spagna, e, finalmente, di nuovo Italia, con la Lazio che lo accoglierà e lo terrà tra le sue file per parecchie stagioni, facendolo diventare perno del suo centrocampo (e anche molto di più).

Ma eccoci alla parte odierna dell’articolo. Capitolo Genoa: è il gennaio del 2013 quando il brasiliano, che ha da tempo raggiunto la maturità calcistica, decide di lasciare la Capitale, anche a causa di problemi che si erano creati con la Dirigenza biancoceleste. Ad accoglierlo, a braccia aperte, trova il Genoa: il Grifone, che ha da sempre fatto molto affidamento su giocatori di esperienza da affiancare a giovani promesse, ne fa un punto fisso della mediana, dalla quale Francelino non si sposterà mai più. Prestazioni eccelse che gli valgono i complimenti pubblici del Mister, più volte. Sembra essere rinato. Poi, a Genova, succedono cose strane. Rischi di affezionarti con poco. Basta un gol. Nel momento giusto. Nella partita giusta. E tutto il resto viene cancellato. Diventi parte del Grifone stesso. Non è facile da spiegare, non lo sarà mai. Non lo è per chi lo vede da fuori, figuriamoci per chi certe cose le ha vissute in prima persona: è il 14 aprile, sempre del 2013. Genova è in fermento, Derby della lanterna. Mancano 10 minuti, Genoa sotto di un gol: Matuzalem prende palla, un’occhiata a Romero e via, un pallone strano, un tiro-cross che si infila alle spalle del portiere argentino. Posizionato malissimo tra l’altro. Brasile – Argentina. Buffo. Sempre divertente ritrovare le vecchie rivalità di sempre.

Poi, l’infortunio l’anno dopo ha stravolto un po’ la carriera del brasiliano, che ha dovuto mettersi da parte, spegnere le luci del palcoscenico e chiudere l’armadietto, dopo averlo svuotato.

Le etichette, quelle no, quelle vengono con te: sei ancora un cattivo, sei uno che picchia. E i fatti,  purtroppo, danno ragione ai tuoi detrattori.

A Bologna, nell’estate del 2014 è caldissimo. Sia a livello di clima (non è una novità) che a livello calcistico: Bologna retrocesso, costretto a ripartire dalle proprie ceneri – o da ciò che ne era rimasto. Bisogna ricostruire una squadra quantomeno solida, che possa reggere la categoria e che riesca a risalire in Serie A, il più presto possibile. Da Genova si è liberato un armadietto; armadietto pesante. Pesante a livello di esperienza, di leadership, di peso all’interno dello spogliatoio. Armadietto che viene quindi spostato sotto Le Due Torri. Con dentro le etichette, ovviamente.

Numero 5. Mi piacciono i centrocampisti coi numeri bassi. Danno un senso di sicurezza che, magari non esiste nemmeno, ma se non altro te lo fanno immaginare, ti fanno sognare. Matuzalem, al Bologna, è l’Uomo giusto al momento giusto.

Non mancano ovviamente le critiche, spazzate via con un tempismo eccellente: “Ah, ma è vecchio”. “Ah, ma come a fa a giocare”. “Abbiamo preso un bidone, sempre squalificato sarà”. Le etichette tornano sempre a galla, sembrano non affondare. A Bologna, però, la gente ha la memoria corta, soprattutto su quello che lei stessa dice. Se ad inizio stagione “infamerà” un giocatore, e se lo stesso a fine anno risulterà tra i migliori del Campionato, state pur certi che loro diranno che sì, lo hanno sempre sostenuto. Che sì, lo hanno sempre detto che era uno buono. Che sì, sì, sì. E via andare.

Perché è questo il fatto. A 35 anni, in un campionato non facile dal punto di vista fisico e atletico come la Serie B Matuzalem è riuscito a farsi eleggere come uno dei migliori centrocampisti dell’intera cadetteria. Non da tutti. Devi avere un carattere forte e un piede educato. E soprattutto tata voglia di rimetterti in gioco. Quella sempre.

A Bologna Francelino si è dimostrato trascinatore come non mai, riuscendo a portare i rossoblù fino ai playoff e successivamente fino alla Serie A. record personale di partite disputate in stagione e tanti, tantissimi complimenti. E ora da Guerriero a papà giocatore, visto che si diletta con la maglia del Monterosi assieme al figlio. Al cuor non si comanda.

Le etichette, Francelino, è riuscito a lasciarle a Bologna. Dimostrando a tutti, una volta di più, che la redenzione è possibile. In ogni caso; in ogni ambito.

E riuscire a scusarsi, con il cuore in mano e un grosso groppo in gola, penso che comunque, sia la cosa più difficile per tutti. Soprattutto quando ferisci un amico.

Le etichette. Maledette. 

 

Le Due Metà: Francelino Matuzalem

 

 

Continua a leggere le notizie di 1000 Cuori Rossoblu e segui la nostra pagina Facebook

Lascia un commento

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *