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Le storie di Almanacco: Renato “Il Mitico” Villa – 17 feb

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Iniziamo oggi una nuova rubrica, Le Storie di Almanacco. E sarà proprio Andrea “Almanacco” Pelacani, scrittore e supertifoso rossoblu, a raccontarci, con cadenza quindicinale, storie di personaggi rossoblu, resoconti “temporali” che abbracciano il loro ieri ma anche il loro oggi, per non perdere la memoria di chi ha scritto pagine, alle volte memorabili, della nostra squadra e società.  Si parte con una storia quasi dei giorni nostri: Renato”Il Mitico” Villa. 


C’è un omino piccolo così, che torna sempre tardi da lavorare… con dentro un sogno da realizzare”… La storia di Renato Villa sembra proprio iniziare in questo modo, come una fiaba di Andersen riscritta con le parole di Lucio Dalla.

E’ la storia del brutto anatroccolo diventato cigno… anzi Mitico… ma andiamo per gradi..

Partiamo da una cittadina della campagna lombarda, incastonata tra le province di Cremona e Brescia, chiamata Castelleone. Da queste parti, dall’autunno alla primavera la nebbia molto spesso si taglia a fette senza poterla mai spalmare sul pane e in certe mattine d’inverno il gelo pettina e pela le orecchie… Qui, ogni mattina un ragazzo che ha già superato la ventina, dalla chioma castana tendente al biondo, provvisto di leggera stempiatura, di piccola taglia ma dalla corporatura robusta, si sveglia presto per andare al lavoro in una fabbrica di camicie e solo quando le luci delle sera hanno il sopravvento si dirige, borsa a tracolla e armato di tanta volontà, verso il campo del paese…

Energici scatti, generose pedate inflitte ad un incolpevole pallone di cuoio, contrasti senza esclusioni di colpi nella speranza di realizzare il sogno di diventare finalmente un calciatore professionista.

Il giovane Renato ricopre il ruolo di difensore tuttofare, la sua rapida falcata gli consente tuttavia di avventurarsi nelle aeree avversarie alla ricerca del gol, cosa che peraltro gli riesce con moderata continuità. Ma il lavoro, quello “vero”, quello che permette di arrivare a fine mese e mantenere la famiglia (è sposato con due figli piccoli), ha senza dubbio la precedenza. In questo momento i sacrifici mattutini prevalgono.. soprattutto se le formazioni in cui milita il ragazzo nel corso degli anni si chiamano Soresina, Pergocrema e Omas Pontevico… formazioni semidilettantistiche, fuori dai confini del mondo professionistico.

Il passaggio all’Orceana, la squadra della cittadina di Orzinuovi che milita in serie C2, pare essere un punto di arrivo. Ma non per lui.. massima applicazione, perseveranza e tenacia sono le parole che compongono il suo grido di battaglia quando scende in campo. Ne diviene anche il magazziniere, per giunta.

La costante abnegazione messa a disposizione sul terreno di gioco non tarda ad essere notata da un certo Luigi Corioni, Gino per gli amici, cummenda bresciano doc e patron dell’Ospitaletto, soprattutto conosciuto nel calcio che conta per essere il presidente in carica e il proprietario del Bologna, tornato da un paio di stagioni in serie cadetta dopo la caduta agli inferi della C.

Corre l’autunno del 1986 e la campagna di riparazione volge ormai al termine. Il Bologna di Guerini necessita di un difensore esperto e rapido e in gran segreto giunge a Casteldebole il buon Renato, sulle prime spacciato per amico del Presidente quel tanto che basta per aggirare le critiche della stampa e tamponare i mugugni generici da parte della tifoseria.

Al tecnico rossoblu bastano un paio di allenamenti per capire di che pasta è fatto… nella partitella d’esordio contiene infatti senza troppi affanni sia Pradella che Marronaro, i due punteri titolari. Ma ciò che colpisce di più è lo stacco di testa, davvero prodigioso per uno alto un metro e settanta ma che quando salta pare abbia le molle nascoste fra i tacchetti. Tipo Chobin, il saltellante personaggio del fortunato cartone animato giapponese. Alla luce di questo primo positivo riscontro, Guerini lo inserisce subito negli undici nella trasferta di Lecce per controllare da vicino l’insidioso Oscar Tacchi, non proprio l’ultimo arrivato. Villa se la cava benone, e da quel momento il posto da titolare non glielo toglie più nessuno, malgrado l’andamento altalenante della squadra.

Quando in primavera i rossoblu precipitano nei bassifondi della classifica, sostituire Guerini è un atto quasi dovuto. Sulla panca felsinea tocca all’esperto e vecchio tifoso Gibì Fabbri, capace di riportare in un battibaleno nell’ambiente quella serenità smarrita ormai da mesi e raggiungere la tanto agognata quota salvezza senza troppi affanni.

Nella testa di Corioni tuttavia frulla già da un po’ un’idea meravigliosa.. quella di affidare la guida tecnica della squadra al conterraneo e quasi semisconosciuto ai più Gigi Maifredi – il nuovo profeta della zona che fa facendo faville in quarta serie sulla panca dell’Ospitaletto – e di portare in maglia rossoblu un manipolo di suoi fedeli discepoli, tra cui il portiere Cusin, il centrale De Marchi, il laterale Monza. L’idea diventa presto realtà. Una sorta di vera e propria rivoluzione, sotto l’egida di Eraldo Pecci a far da chioccia in campo a questo nuovo gruppo di baldi e semisconosciuti giovani. Si registra anche il ritorno a casa di Fabio Poli, il fantasista di fascia originario di Montefredente, località dell’Appennino bolognese.

Ma anche stavolta, come con l’arrivo di Villa, l’entusiasmo della piazza si assottiglia un bel po’ e rasenta lo zero. Gli abbonamenti sottoscritti sono al minimo storico. Lo scetticismo è di casa e i nasi distorti sono in maggioranza. Invece, dopo i tre schiaffoni subiti a Lecce nel match d’esordio in campionato inizia la marcia trionfale della Maifredi band. Spiccano ben presto un forte affiatamento tra i reparti in un modulo a zona ben organizzato e caratterizzato da pressing asfissiante e manovre rapide. Pecci sale in cattedra ad insegnare calcio e Marronaro si scopre goleador implacabile, mentre Renato Villa – piazzato nel ruolo di centrale al fianco di Ottoni poiché l’elegante DeMa è fermo ai box causa grave infortunio ad un ginocchio – diventa il leader incontrastato della difesa e si destreggia in recuperi prodigiosi, stacchi imperiosi e chiusure da applausi. E perché no, trova la via della rete in un paio di circostanze. A Taranto, nel sabato prepasquale, firma la rete dello 0-3 con una bella percussione partendo da lontano. Contro la Triestina in casa, Maifredi (che già lo aveva allenato ai tempi dell’Orceana e ne conosce ampiamente le caratteristiche) decide di schierarlo a sorpresa con il numero nove sulle spalle e la fiducia è subito ripagata con la rete del raddoppio (la gara terminerà poi 4-2) con un colpo di testa in tuffo degno di un bomber affermato. Il Bologna vince il campionato cadetto e torna in serie A.

La favola di Villa diventa dunque leggenda, e lui diventa Mitico per tutti e tutta Bologna. La paternità del nomignolo viene attribuita a Lucio Dalla e una squadra di basket dilettantistica si iscrive al campionato proprio con il nome di “Mitico Villa” in suo onore. La curva gli attribuisce un coro personalizzato costituito dal suo soprannome ripetuto più volte e addirittura un altro, riprendendo le note di un noto allegro di Mozart, lo considera meglio di Pelè, con toni ovviamente sarcastici.

Quando ho l’occasione di vederlo per la prima volta da vicino, durante la “caccia all’autografo” al termine dell’allenamento a Casteldebole, rimango impressionato dalla circonferenza spaventosa dei suoi polpacci. Una muscolatura degli arti inferiori fuori dall’ordinario, da vero culturista. Diventa facile per me equipararlo ad una sorta di Braccio di Ferro al contrario, senza cappello, pipa e tatuaggio vistoso sull’avambraccio, ma con gambe ipertrofiche destinate ai salvataggi più improbabili. Chissà se anche a lui ingurgita spinaci come arma segreta, magari nascosti dentro i pantaloncini….  

Il resto è storia nota. Nonostante il debutto da incubo nella massima serie (sei sconfitte nelle prime otto gare), Villa non risente certo del salto di categoria. Attaccanti avversari arginati al meglio, non importa se di fronte c’è Van Basten o Careca anziché Edy Bivi o Garlini, oppure Maradona o Gullit invece di Maiellaro o Palanca. Con applicazione e mestiere si può annientare chiunque. In maniera decisa ma generalmente corretta. Non ricordo falli plateali o espulsioni per entrate criminali. Lui la pagnotta se la guadagna sempre, anche quando i risultati della squadra non sono dalla sua. Si parla addirittura di una possibile convocazione in maglia azzurra da parte del C.T. Azeglio Vicini e non sono solo fantasie giornalistiche. Circola voce che alcuni emissari del tecnico della Nazionale lo abbiamo più volte visionato. Purtroppo non spicca per l’eleganza espressa in campo. Il suo fisico tozzo non lo aiuta di certo e qualche detrattore lo definisce “sgraziato” nei movimenti. Questo diventa un grave limite per chi lo vorrebbe con i colori del cielo addosso. E’ un uomo di sostanza, più che di forma, che mira soprattutto all’efficacia delle sue azioni. Ma l’estetica lasciamola agli artisti o alle donne davanti ad uno specchio in una boutique di grido.

Prima una salvezza agguantata con i denti poi l’anno successivo giunge per i rossoblu un’insperata qualificazione alla Coppa Uefa. Raggiunta anche grazie alle reti di Renato, contro l’Udinese (gol del pari al Friuli) e il Genoa al Dall’Ara, entrambi negli ultimi minuti del match, sfruttando la sua velocità e capacità d’inserimento nelle aree, reminescenze di quando si dilettava nelle serie inferiori divertendosi ogni tanto nel ruolo di prima punta.

Il Bologna ritorna in Europa ma Renato e la città salutano Gigione, destinazione Juve. Al suo posto subentra il Professor Scoglio, due persone agli antipodi sotto il profilo caratteriale e nelle idee da applicare nella gestione di un gruppo. Villa diventa una sorta di capoclasse secondo le strane regole a cui l’insegnante di Lipari fa riferimento e i risultati non arrivano nonostante l’inserimento in rosa della stella magiara Lajos Detari. Via Scoglio e dentro Radice, ma la squadra manifesta carenze e lacune in tutti i reparti, candidandosi con largo anticipo per la retrocessione in B. Le soddisfazioni principali della stagione giungono dalle Coppa Uefa. I derelitti rossoblu terminano l’avventura europea infrangendosi contro lo Sporting Lisbona solo ai quarti di finale, ma eliminando con prodigiosi recuperi nelle gare di ritorno tra le mura amiche, rispettivamente, gli Hearts of Midlothian di Edinburgo e gli austriaci dell’Admira Wacker. Proprio contro la formazione scozzese, Villa mette a segno in mischia la sua prima e unica rete nelle competizioni continentali, ma per certi aspetti fondamentale perché consente di ribaltare il risultato dell’andata e permette ai rossoblu di superare il turno.

La stagione termina come era iniziata, ovvero male e la serie cadetta diventa presto un’amara realtà. Esce di scena Corioni, sotto le spinte della contestazione della piazza, e i vertici societari tornano a parlare il dialetto bolognese. Una triade composta dagli autoctoni Gnudi e Gruppioni, con la collaborazione del cremonese Wanderlingh, tutti quanti reputati capitani d’industria, sono i nuovi padroni del vapore, ma il sodalizio regge da Natale a Santo Stefano (l’imprenditore di origine belga si defila in fretta mentre i primi due resta in sella), complice una campagna acquisti piuttosto dispendiosa che non trova riscontri in campo (troppi ingaggi onerosi per giocatori già avviati sul viale del tramonto) e una gestione societaria per certi versi poco limpida.

Torna Maifredi, ma l’esperienza negativa con la Vecchia Signora lo ha segnato in modo irreversibile. Il feeling con la città non decolla come negli anni passati, così come i risultati della squadra, molto al di sotto delle aspettative. La vittoria a Piacenza grazie ad un tiro dalla distanza di Villa non inchioda di certo l’uomo di Lograto sulla panca. Via Gigione dunque, ma l’iniezione di belvaggine da parte di Sonetti serve giusto per traghettare la squadra verso una salvezza tranquilla e nulla più.

L’avventura di Renato Villa in maglia rossoblu finisce qui, dopo duecentotrenta battaglie condite da sei reti, spirito di sacrificio e ardore agonistico sprigionati all’infinito, con il cuore gettato sempre oltre l’ostacolo. E anche più in là.

Gianni Morandi gli ha dedicato la canzone “Uno su mille”. Sì, solo uno su mille ce la fa ad entrare per sempre nel cuore dei tifosi, senza commettere fallo.

Ma solo chi è davvero Mitico, può.     

(Foto Gazzetta.it)

   


  


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