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Polvere di stelle: DIEGO ARMANDO MARADONA – 4 feb
EL PIBE DE ORO
Probabilmente, chi nega a Diego Maradona la pari dignità tecnica con gli “assoluti” Pelé e Di Stefano, non gli perdona di avere infranto un tabù del calcio moderno: la preminenza del collettivo. Quando i riccioli e il minuscolo fisico tozzo di questo elfo del pallone fanno irruzione sulla scena, alla fine degli anni Settanta, il calcio mondiale ha metabolizzato la lezione olandese: il gruppo prevale sull’arte del singolo, l’atletismo fa aggio sulla fantasia. Quando però “El Pibe de Oro” (il bambino d’oro) nel 1986 leva al cielo una Coppa del Mondo conquistata quasi da solo, alla guida di una ciurma di mediocri, gli stereotipi finiscono in soffitta.
Diego Armando Maradona nasce a Lanus, sotto il segno della povertà, il 30 ottobre 1960. A nove anni è un prodigio di coordinazione ed entra tra le “cebollitas” (cipolline), i virgulti dell’Argentinos Juniors.Due anni dopo, il 28 settembre 1971, una sua performance come raccattapalle virtuoso del palleggio nell’intervallo di una partita strappa gli applausi del pubblico e la prima citazione su un giornale (il “Clarin” di Buenos Aires, che ne storpia il cognome in «Caradona»). Debutta in A il 20 ottobre 1976, contro il Talleres, e venti giorni dopo, 1′ 11 novembre, è già doppietta, al San Lorenzo. Da lì all’eternità, il suo destino non conosce le mezze misure. Conquista la massima grandezza a suon di gol, grazie a un piede sinistro con cui potrebbe ricamare al tombolo e che invece usa a modi spicci come un rasoio.
Lo scatto e la serpentina sono un tutt’uno, fermarlo in corsa è impresa disperata, il tiro conosce traiettorie beffarde, le punizioni sono missili dalle parabole maligne. Nel 1978 il Ct Menotti lo porta ai Mondiali come mascotte, per risolvere i suoi problemi nutrizionali. Ne uscirà un atleta dalle larghe bande muscolari, 1,69 per 70 chili, dalla forza fisica esplosiva.
In cinque stagioni all’Argentinos mette insieme 166 partite e 116 reti. Vince il titolo mondiale juniores nel 1979 e l’anno dopo passa al Boca Juniors per 10 miliardi. Una stagione sola, 40 partite, 28 reti e il titolo metropolitano, e un nuovo carico di miliardi lo traghetta al Barcellona. In due stagioni, 36 partite e 22 gol: un’epatite virale, una frattura di tibia e perone e molte polemiche gli rendono la vita impossibile, nonostante una Coppa e una Supercoppa di Spagna. L’estate del 1984 lo porta a Napoli. In sette stagioni vince due scudetti, una Coppa Uefa, una Coppa Italia, una Supercoppa italiana e un titolo di capocannoniere. Nel 1986 conquista il mondo e nel 1990 sfiora il bis contro la Germania. Dopo, nulla sarà più come prima. Schiavo della cocaina e squalificato per doping, fugge dall’Italia la sera di Pasqua del 1991, con alle spalle 188 partite e 81 reti in campionato. Arrestato per droga in patria, riprende a giocare nel Siviglia (25 partite e 4 gol), poi sarà al Newell’s Oid Boys (3 e zero gol) e, da disoccupato, ai Mondiali 1994, dove si presenta tirato a lucido e in gran forma, ma inciampa di nuovo sul doping. Rientra nel Boca nel 1995, dopo una parentesi da allenatore (Deportivo Mandiyù e Racing Avellaneda). Le sue tre stagioni al Boca si chiudono, con 27 partite e 7 reti, su una nuova squalifica per doping. Il 24 ottobre 1997 gioca la sua ultima partita.
Carlo Felice Chiesa
(Calcio 2000 n°21)
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