Bologna FC
Quel giorno in cui Pecci aiutò Maradona a dipingere la Cappella Sistina
Eraldo Pecci ha avuto una carriera lunga e fortunatissima. Ha sempre militato in squadre prestigiose, ma che potremmo definire di seconda fascia: Bologna, Torino, Fiorentina e Napoli. Eppure, con il suo talento e la sua fantasia calcistica, ha sempre guidato queste squadre nell’ottenere dei risultati importanti. Ottenere successi con squadre non abituate a vincere aumenta enormemente i meriti.
C’è un momento particolare, però, che ha consegnato questo grande giocatore alla leggenda dello sport: il passaggio a Diego Armando Maradona nel calcio di punizione a due nell’area di rigore della Juventus. Però, andiamo per gradi:
Con il Bologna
Il 23 maggio del 1974 il Bologna di Pesaola disputò a Roma la Finale di Coppa Italia contro il Palermo (squadra che militava allora nella Serie B). Pecci subentrò nella ripresa ad Angelo Rimbano. Il Palermo era già in vantaggio per un gol di Magistrelli. Il risultato rimase 1 – 0 per i rosanero fino al 90′, quando in seguito a una rimessa laterale la palla arrivò a Bulgarelli che subì un fallo. Forse fu un rigore un po’ generoso, ma diede l’occasione a Beppe Savoldi di agguantare l’1 -1. La partita finì, poi, ai calci di rigore e il rigore decisivo toccò proprio al diciottenne Eraldo Pecci, che lo realizzò assegnando al Bologna la seconda (e per ora ultima) Coppa Italia.
Verso la fine della carriera, Pecci tornò al Bologna per costituire il vero uomo d’ordine del calcio champagne di Luigi Maifredi, in tempo per prendersi la soddisfazione del ritorno in Serie A nel 1987/1988.
Con il Torino
Nel 1975 passò al Torino e al primo anno con i granata, grazie anche a un centro campo fortissimo formato da Pecci, Zaccarelli e Patrizio Sala, vinse lo Scudetto, il primo dopo 27 anni dall’ultimo vittoria e dalla tragedia di Superga.
Quel Torino era una squadra fortissima. La formazione era la seguente: Castellini, Santin, Salvadori, Patrizio Sala, Mozzini, Caporale, Claudio Sala, Pecci, Graziani, Zaccarelli, Pulici.
Con la Fiorentina
Dopo sei anni al Torino, nel 1981, Pecci pensò che fosse giunto il momento di cercare nuovi stimoli con una nuova squadra. Insieme a Ciccio Graziani passò, quindi, alla Fiorentina.
Il Campionato 1981/1982 fu un anno importantissimo: vide, tra gli altri eventi importanti, il ritorno in campo di Paolo Rossi con la maglia della Juventus (almeno per le ultime tre partite di campionato prima di entrare nella leggenda ai Mondiali di Spagna 1982), il debutto a 16 anni in Serie A di Roberto Mancini e, ahimè, la prima retrocessione in Serie B del Bologna. Quell’anno però il successo sfumò a Cagliari il 16 maggio del 1982, quando la Fiorentina allenata da Giancarlo De Sisti si fermò sullo 0 – 0, mentre la Juventus passò a Catanzaro per 1 – 0 con un rigore dell’irlandese Liam Brady.
La formazione tipo della Fiorentina di quell’anno era: Giovanni Galli, Cuccureddu, Ferroni, Casagrande, Vierchowod, Galbiati, Daniel Bertoni, Pecci, Graziani, Antognoni, Massaro.
Con il Napoli
Il dato ricorrente di quegli anni era che le squadre che volevano diventare vincenti avevano bisogno di un centrocampista dai piedi buoni che desse ordine e fantasia. Nel 1985/1986 la squadra che stava cercando di diventare vincente era il Napoli di Maradona. Pecci, allora, passò al Napoli, dove raggiunse Daniel Bertoni, suo compagno dei tempi della Fiorentina.
Quel Napoli, a dire il vero, non era ancora una squadra vincente. Infatti, avrebbe concluso il campionato solo al terzo posto, dietro Juventus e Roma. Lo Scudetto, il primo della sua storia, lo avrebbe vinto l’anno successivo, quando Pecci era già tornato al Bologna in Serie B. La formazione tipo del Napoli di Ottavio Bianchi di quell’anno era: Garella, Bruscolotti, Carannante, Bagni, Ferrario, Renica, Daniel Bertoni, Pecci, Giordano, Maradona, Celestini.
Ricordo in maniera particolare la partita di domenica 20 ottobre 1985 Napoli Verona 5 – 0. Ero al San Paolo e ricordo ancora tutti i cinque gol di Giordano, Bagni, Maradona, Bertoni e Pecci. Il terzo gol di Maradona fu un capolavoro balistico da quasi trenta metri che con un pallonetto sorprese il portiere Giuliano Giuliani, visibilmente sorpreso da quel gol apparentemente impossibile. La sorte, poi, avrebbe voluto che Maradona e Giuliani sarebbero stati compagni di squadra nell’anno del secondo scudetto del Napoli nel 1990.
Quella domenica, comunque, mi godetti di persona l’unico gol di Eraldo Pecci con il Napoli. Fu la prima volta in cui io, quindicenne timido e introverso, esplosi di gioia per lo spettacolo a cui assistevo e mi ritrovai ad abbracciare sconosciuti che festeggiavano quella partita accanto a me.
Il gol capolavoro di Maradona
Ma veniamo all’episodio che abbiamo descritto nell’introduzione e interpretato in maniera magistrale dal disegnatore Alberto Celeste nella foto di copertina dell’articolo. Era la domenica 3 novembre del 1985, appena 15 giorni dopo il gol capolavoro di Maradona contro il Verona. Al San Paolo veniva a giocare la Juventus, la squadra che avrebbe poi vinto il Campionato. Era il 71′ e Scirea commise un fallo da gioco pericoloso su Bertoni. Non c’erano gli estremi per il calcio di rigore, ma solo per un calcio di punizione a due. La barriera della Juventus era a meno di cinque metri. Passarono circa due minuti tra proteste e richieste di una distanza regolamentare, ma poi Maradona si arrese e disse: “Va bene tiro! Tanto gli faccio gol lo stesso!”. Nel momento in cui Pecci passò la palla a Maradona era ormai il 73′. Erano passati due minuti dall’assegnazione del calcio di punizione.
Ma qui ci fermiamo e lasciamo che sia lo stesso Eraldo Pecci a raccontare quella punizione. In una intervista rilasciata al sito “calciomercato.com” il centrocampista ha voluto salutare così il campione argentino, il giorno dopo la notizia della sua morte:
“Riposa in pace amico. Mentre dipingevi la Cappella Sistina, ovvero la punizione alla Juve, io ti ho portato un tubetto di colore e tutti si ricordano di me in quel momento più che per tanti anni di carriera, perché tutto quello che tu facevi era magico e irripetibile e coinvolgeva un mondo, il nostro mondo, il calcio. Tu sei il Calcio”.
Non ci è dato sapere se la storia si ricorderà di noi. Di Eraldo Pecci, invece, sicuramente si ricorderanno tutti quelli che hanno avuto la fortuna di vederlo giocare sui campi di calcio. In particolare, i tifosi del Bologna si ricorderanno la vittoria della Coppa Italia nel 1974 e la promozione in Serie A nel 1988. I tifosi del Torino si ricorderanno per la straordinaria vittoria dello scudetto del 1976. I tifosi della Fiorentina, con un po’ di rammarico, si ricorderanno dello scudetto sfumato all’ultima giornata nel 1982. Tutto il mondo sportivo, però, si ricorderà di Eraldo Pecci perché portò “un tubetto di colori” mentre Maradona dipingeva la Cappella Sistina, ovvero perché passò la palla a Maradona nella più incredibile delle punizioni tirate nella storia del calcio mondiale.
Il fatto che questa immagine sia stata evocata proprio da Pecci la rende ancora più preziosa, dimostrandone, oltre al talento calcistico, una grande profondità di spirito e una altrettanto grande sensibilità umana.
Un enorme ringraziamento voglio rivolgere ad Alberto Celeste, che, appassionatosi all’episodio, spero anche per l’entusiasmo con cui gliene ho parlato, ha voluto realizzare un disegno nato dalla sua perizia grafica e, soprattutto, dalla fantasia immaginifica di Eraldo Pecci, fantasista in campo e nella vita.
Amedeo Gargiulo
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