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Rinascere, come una fenice: intervista esclusiva a Beppe Signori

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“Associazione a delinquere finalizzata alla truffa e alla frode sportiva”: è questa la gravosa accusa che nel 2011, nell’ambito dello scandalo del calcioscommesse, vide coinvolti giocatori, dirigenti e varie società italiane, dalla Serie A fino alla Lega Nazionale Dilettanti. Inutile però pronunciarsi sul filone di indagini, dei molteplici processi e di tutto il marcio che questa storia ha portato con sé. Sulla lista degli indagati figurava anche il nome di Beppe Signori. Singolare, soprattutto perché il suo è uno di quei nomi che la gente era abituata a vedere su un qualsiasi tabellino dei marcatori, non su un registro che sarebbe presto finito nelle mani di un giudice. Dal palcoscenico di uno stadio a quello di un’aula di tribunale, l’ultimo decennio vissuto da Signori è stato un tormento, uno di quegli incubi che vivi inconsciamente ma che sai che non potranno mai diventare realtà.  Le storie ripugnanti, e soprattutto immorali, prima o poi finiscono: c’è voluto uno smodato arco di tempo, asfissiante, ma a febbraio e marzo scorso sono giunte, puntuali, le due assoluzioni, rispettivamente dai tribunali di Piacenza e Modena, perché “i fatti non sussistono”. Fine. Punto e capo. Si conclude un capitolo, orrendo, della storia personale di Signori. Poterlo intervistare mi ha donato quel senso di chi stava per ascoltare, in prima persona, una storia immensa: stupenda per cosa ha rappresentato in campo, pesante per ciò che gli è accaduto fuori.  A inizio intervista gli faccio la solita domanda, non per banalità ma per correttezza: una di quelle domande che, in certi casi, è doverosa. Come sta? 

“Ora sto meglio, sicuramente. Non conviene piangersi adesso, nemmeno dopo eventi di una tale portata. Bisogna cercare di ripartire. Sono stati dieci anni pesanti, gravi; adesso sto bene rispetto a tutto ciò che ho passato. E’ stato un bel macigno da portare sulle spalle”. Ride e sorride, con la spensieratezza che in pochi possono avere, soprattutto dopo aver passato una fase del genere. Come un tunnel, anche se in questo caso uno spiraglio doveva esserci per forza: “Era un periodo che doveva per forza terminare, con o senza prescrizione. Una storia, una brutta storia che doveva per forza avere una conclusione. Poteva finire in maniera diversa da quello che volevo, certo, ma comunque sarebbe terminata”. Rivivere e raccontare i momenti più delicati di questa vicenda è complicato, scovare il peggiore tra i peggiori ancora di più. Signori, però, non ha dubbi: “Il giorno dell’arresto, il giorno che ha aperto l’incubo. Ero in uno stato confusionario, non mi rendevo conto di cosa stava accadendo. Cercavo di ragionare e comprendere perché ero in quella situazione: non capivo in che modo potevo essere coinvolto. Mi ponevo domande ma non avevo risposte. Con il passare dei giorni ho iniziato a rendermi conto di quello che stava accadendo”. La luce in fondo al tunnel è arrivata lo scorso giugno: un periodo complicato, ma vissuto con le persone giuste al proprio fianco: “L’amore della famiglia, dei figli e degli amici è stato decisivo: tutta questa gente mi è stata accanto, sempre. Dall’inizio alla fine. Mi hanno aiutato molto ma hanno anche sofferto: per i miei figli è stata un’esperienza traumatica. Non dimentico i vari attestati d’affetto della gente comune e dei miei tifosi. Quando queste dimostrazioni arrivano mentre giochi è più facile, se giungono in determinati momenti hanno un sapore diverso”. Per gente che è rimasta c’è stata gente che si è allontanata: “Sapevo chi sarebbe rimasto al mio fianco e chi, al contrario, sarebbe andato via. Sono contento così, si sono autoeliminati”. Dall’assoluzione definitiva a un altro passo importante, decisivo soprattutto per chi, come lui, ha voglia di rimboccarsi le mani e ricominciare: la grazia del presidente della FIGC, Gabriele Gravina. “Un brutto nome, però è stato un bel momento. Un passo importante, anche perché credo di essere stato radiato in maniera un po’ leggera: sono stato uno dei pochi ad aver ricevuto questo trattamento, mi ha dato molto fastidio questo fatto”. Ripartire, ricominciare dall’inizio non è facile, soprattutto quando ti privano del tempo che ti spettava di diritto. Come si recupera questo tempo? Non si può. “Ormai mi è sfuggito, adesso non bisogna perderne altro. Tocca reagire facendo ciò che hai sempre amato. Voglio tornare nel mondo del calcio: può succedere tra un mese o tra un anno, chissà: l’obiettivo è questo. Se non dovesse accadere farò altro, di certo non starò qui ad aspettare”. Un decennio più tardi il mondo è cambiato: è cambiato, non si è evoluto. Son mutati i tempi, le persone: “Ho molta più pazienza, dieci anni sono lunghi da vivere, da aspettare e da affrontare. In questo periodo così lungo l’unica cosa che ti fa stare bene è la famiglia, devi aggrapparti alle certezze che la vita ti offre”

La prima parte dell’intervista è stata dura, profonda,  ma ciò che ha contraddistinto Beppe Signori nel corso di questa chiacchierata è stata la saggezza e la leggerezza, mai scontata, con cui mi ha raccontato uno dei momenti più oscuri della sua vita. Giusto quindi rispolverare momenti felici, tornando alla rinascita che ha vissuto a Bologna in uno dei momenti più complicati della propria carriera: “Sono arrivato in Emilia nel momento peggiore, sia fisicamente sia mentalmente. Ho cercato di resistere e affrontare i problemi al massimo. Era il mio modo di essere e di affrontare situazioni difficili, lo è sempre stato. Volevo dimostrare che molti si stavano sbagliando, mi sono preso una grande rivincita: sono riuscito a fare cose che in molti non pensavano”. E così è stato. Signori a Bologna rinasce, grazie anche a due figure che – per lui – sono state fondamentali: “Mazzoni e il presidentissimo, Gazzoni Frascara. Gazzoni mi ha voluto, avevamo un ottimo feeling, spesso scambiavamo opinioni. Con Mazzone ho avuto un rapporto padre-figlio, abbiamo subito trovato la sintonia giusta. Mi ha dato grandi responsabilità, avevo la fascia da capitano al braccio a testimonianza di come ha subito creduto in me. Il Mazzone in campo era simile a quello nella vita privata: a volte tranquillo, a volte si infuriava. Aveva grande esperienza e partiva da lì per riuscire a farci tirare fuori il 100%. Sono state due persone importanti per la mia carriera”. Ed è proprio sulla fascia da capitano che ritorniamo poco dopo: “L’ho sempre vista come una responsabilità enorme, dovevo essere un esempio ma non perché avevo la fascia o perché parlavo con gli arbitri: essere capitano significa avere atteggiamenti positivi e propositivi. Il primo ad arrivare al campo e l’ultimo ad andare via, cercavo di affrontare i problemi e risolverli, provavo a dare consigli positivi ai più giovani. Questa dovrebbe essere la figura del capitano”. Signori in Emilia ha trovato un ambiente perfetto, adatto a lui. Una grande chimica, quella trovata con i suoi compagni di squadra: “Molti di noi dovevano riscattare le ultime delusioni, tutti hanno cercato di dare il massimo. La squadra era completa e aveva grandi giocatori in ogni reparto. Purtroppo non abbiamo coronato il grande lavoro con una vittoria, ma comunque abbiamo raggiunto molti traguardi. Eravamo spensierati, l’ambiente non ti opprimeva e non pretendeva: ho avuto un buon rapporto con tutti, c’era una sintonia importante”. Così come l’armonia con la tifoseria: “Mi hanno sempre dimostrato un’immensa riconoscenza. Non a caso l’ultimo anno di carriera firmai in bianco perché mi sentivo in debito verso la città e i tifosi che mi hanno sostenuto nel peggior momento della mia carriera, appena arrivai. Era il giusto modo per ringraziarli. La rinascita al Bologna è stato uno dei momenti più belli della mia carriera, insieme alla vittoria della classifica cannonieri e il Mondiale. Il momento più brutto? Il trasferimento dalla Lazio alla Samp. E’ stato il punto più basso, sia a livello fisico sia mentale”.

Dal Bologna di ieri, il suo Bologna, a quello di oggi. Si ritorna alla gara dominata e vinta contro la Lazio: “E’ stata una grande risposta dopo una brutta prestazione. La squadra ha tutte le qualità per fare un ottimo campionato: bisogna avere equilibrio, nella stagione ci saranno momenti positivi e negativi ma il gruppo ha gli strumenti per fare bene”. Prima della vittoria con i biancocelesti, la squadra di Mihajlovic ha passato un momento complicato tra pareggi e sconfitte pesanti. Ingiusto, però, mettere in discussione il serbo: “Sinisa ha fatto un ottimo lavoro, ha cercato di dare un’identità alla squadra, e dopo 7 giornate ha raccolto 11 punti: l’allenatore viene giudicato sempre, ma il serbo ha creato un gruppo che gli sta dando risposte positive”. Un periodo complicato dentro e fuori dal campo, con l’addio di Sabatini inaspettato, secondo Signori: “Non me l’aspettavo, ma noi non possiamo capire e sapere certe dinamiche: conosco Sabatini, l’ho sempre apprezzato e stimato come professionista e come persona”. Il futuro dei rossoblù potrà essere importante, parole di Beppe-Gol: “La proprietà è solida e vuole fare le cose bene”.  Dal futuro dei rossoblù al suo futuro personale, magari di nuovo al Dall’Ara: “Un matrimonio si fa sempre in due, non dipende solo da me: abitando a Bologna ed essendo legato a questi colori mi piacerebbe, ma non voglio forzare nulla. Certe cose accadono perché è ciò che deve accadere, ora lascio decidere al destino”. “Il destino è quello che mescola le carte, ma siamo noi quelli che giocano”, diceva William Shakespeare: Beppe Signori, adesso, ha voglia di tornare a giocare.

 

 

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