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RS-Repubblica: Amarcord Colomba “I miei primi 40 anni di pallone” – 07 Mar

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Vi proponiamo l’interessante intervista a Franco Colomba uscita oggi su Repubblica Bologna fatta dal bravo (oltre che amico) Simone Monari.

Buona lettura.

“HO DIECI anni meno di Reja, 16 meno di Trapattoni, non vedo perché dovrei smettere di allenare”.
Seduto in un bar di piazza Malpighi, a cinquanta metri da casa sua, Franco Colomba, 59 primavere festeggiate a febbraio, non smette di guardare avanti, sebbene questi siano i giorni che coincidono con i suoi 40 anni da professionista nel mondo del calcio. Debuttò il 3 marzo del ’74 a Torino contro la Juve: lui e Pecci, entrambi del ’55.

La serie A prima di quel giorno l’avevano solo sognata. “Pesaola in settimana ci aveva fatto capire che qualcosa poteva succedere, poi, complice qualche infortunio, ci buttò dentro dal primo minuto. Era una di quelle partite che si danno per perse…”. Invece finì 1-1. Fu un ritorno a casa indimenticabile. A mezzanotte in via Oretti, dove abitava, non lontano da via Mazzini, suonò il campanello. “Era Don Cesare, il parroco di Santa Teresa del Bambin Gesù che mi voleva festeggiare. Nell’omelia di qualche giorno dopo parlò di me come del ragazzo che aveva esordito contro la Juve, ricordando che comunione e cresima le avevo fatte lì con lui. E mentre parlava vidi mia madre arrossireorgogliosa”.

CHI è l’allenatore che le ha dato di più.
“Nessun dubbio, Radice. Grande motivatore, all’avanguardia. Ricordo le sue cene al Bitone con gli scapoli. Io ero già sposato, ma ci andavo lo stesso. Faceva gruppo. Pesaola m’ha fatto debuttare, Cervellati m’ha dato spazio, Perani fu il primo a farmi titolare”.

E scoppiò il calcio scommesse.
“Presi tre mesi per comportamento sleale nei confronti della corte. Litigai con un giudice. Brutta pagina”.

Quell’1-1 con la Juve grida vendetta: il Bologna prese 5 punti, Madama la passò liscia.
“Non rivanghiamo. L’esperienza però m’è servita per valutare le persone che ti circondano e capire l’importanza del ruolo di giocatore d’esperienza, allenatore, dirigente, pure di educatore”.

Torniamo al Bologna del – 5.
“Con Radice diedi il 100%. Quella era una gran squadra, con qualche ritocco poteva puntare in alto, ma fu smantellata”.

E fu la B, poi persino la C, nell’83.
“Da capitano. Tremendo. E avevo detto no alla Roma. Incontrai Previdi, il ds, mi disse che Liedholm e Falcao mi volevano, da stupido, o da sentimentale, fate voi, non me la sentii, volevo riportare il Bologna in A. Invece fu il disastro. E lì finì il mio rapporto col Bologna”.

Qualche vita dopo, i Menarini la chiamarono ad allenare. Poi arrivò l’esonero di Porcedda.
“Una ferita enorme. Capii a Ravenna d’estate, pareggiando con Regno, Ingegneri ed altri ragazzi contro il Napoli di Mazzarri, che si poteva fare unabella stagione. Ma a fine partita Porcedda e Longo non vennero neanche a salutarmi. Non potevo condividere le cose che avevano in mente, volevano spendere soldi che non avevano. Lo intuii subito. Ma s’era andati verso l’esautorazione totale dei Menarini. Chiunque fosse arrivato sarebbe stato il benvenuto. E la città trasformò un puffarolo in salvatore della patria”.

Il suo vanto, aver lanciato Pirlo alla Reggina.
“C’era un progetto, una volta tanto. Mi confrontavo col club, mi ascoltavano. M’è successo di rado. Fu un bel periodo, erano quasi tutti giovani. Io che sarei quello che fa giocare solo i vecchi”.

L’errore più grosso?
“Accettare il Verona in C nel 2007, sbagliai e meritai l’esonero. Pensare che dovevo andare da Cazzola alle 2 del pomeriggio a firmare il contratto col Bologna. Alle 13 mi chiamò il ds Salvatori. ‘Il presidente ha cambiato idea, prendiamo Arrigoni'”.

Sta facendo fatica a trovare una panchina.
“Vero. L’ho aspettata in A, ho detto no a qualche B perché in A ho fatto le cose migliori. Non avere mai avuto un procuratore non mi ha aiutato. Ma non lo prendo certo ora e credo di poter dare ancora tanto, in panchina”.

Chi è oggi il miglior tecnico italiano?
“Ancelotti. Ha conoscenze importanti, è incisivo senza snaturarsi, l’avevano battezzato alla Juve come l’e-terno secondo invece è un grande numero1”.

Dei giovani in panchina che pensa?
“Dipende, di Montella e Conte non posso che dir bene, ma in A c’è anche uno come Ventura, che non è certo giovane eppure molto bravo. L’età non è tutto”.

Mancini?
“Un predestinato, aveva il calcio sotto la pelle, uno dei pochi giocatori di grandissimo talento che è diventato un grandissimo allenatore. Non avesse fatto quei 9 gol l’anno della retrocessione, in B ci saremmo finiti a metà stagione”.

Quarant’anni. E tanti amici che non ci sono più.
“Elenco purtroppo lungo. Ripenso a Buso, che fu mio vice a Reggio e a Napoli. Non era un 2°, era un primo dentro con lacune caratteriali che gli impedivano di essere un primo. Un grande studioso in un’epoca in cui il calciatore pensava solo a giocare”.

Bulgarelli?
“In camera avevo il poster suo, di Pascutti e di Rivera. Fu Giacomo a farmi l’assist a Foggia, aprile ’74, quando segnai il mio primo gol in A. E gli ultras pugliesi vennero a cercarmi in stazione, stavano retrocedendo ed io m’ero fatto un campo intero a festeggiare. Ma mica sapevano che era il mio primo gol. Giacomo è quello che mi riaccompagnava a casa a fine allenamento, che mi chiamò a Modena quand’era dirigente ed io a fine carriera. Amicizia vera, mogli comprese”.

Roversi?
“Il caro Tazio, la persona più buona sulla faccia della terra. Raccontava barzellette e rideva solo lui. E quando gliele raccontava un altro e magari eran brutte rideva lo stesso. Poi diceva: ‘che cagata’”.

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