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Sinisa e Mancini, amicizia vera. Ma su Soriano…

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Le vicende personali di Mihajlovic le conosciamo. Un combattente nato, venuto da lontano, che ha attraversato anni tribolati per il suo paese in cui in famiglia, e anche nella sua, si combatteva una guerra parallela a quella della Jugoslavia in disgregazione. Per questo, e ce ne fossero, Sinisa non fa parte di quello stuolo di ciarlatani fatti con lo stampino, dove bisogna seguire il passo della rieducazione sportiva, dove occorre rispettare tutti, parlar bene di tutti e andare in conferenza stampa con il mazzo di fiori. No, Sinisa non è così, e la stampa ne giubila. Come non poter apprezzare chi ad ogni chiacchierata della vigilia ti fornisce un titolo per l’indomani? 

Tanto premesso, e chi scrive se ne prende la responsabilità, non si può gradire al 100% l’uscita all’indirizzo del CT della nazionale Roberto Mancini, reo di aver “dimenticato” in tribuna Soriano per le tre partite che hanno coinvolto la nazionale contro Irlanda del Nord, Bulgaria e Lituania. In primis, ricapitoliamo quanto detto da Mihajlovic nella conferenza che precede Bologna-Inter: “Se fosse stato molto attento alle vicende del Bologna, Mancini non avrebbe portato Soriano per fare tre tribune. Non mi attendevo zero minuti in tre gare: lui è il miglior centrocampista italiano e non mi è parso giusto. Averlo saputo, era meglio se fosse rimasto con noi: non mi è piaciuto, parlo da allenatore del Bologna e da amico di Mancini. Tre tribune contro… chi? E dagli soddisfazioni, ha fatto nove gol, tanti assist. Fallo giocare. Se io fossi stato Soriano l’avrei mandato a quel paese: con tutto il rispetto per la nazionale e Mancio”.

Facile intuire cosa possa pensare un tifoso, che i suoi beniamini li tiene sotto l’ala. Certo, i numeri di Soriano sono innegabili e scritti nero su bianco. Ed è normale che qualsiasi persona che abbia a cuore le sorti del Bologna, e veda un proprio giocatore convocato in azzurro, cosa che non capita tanto spesso, abbia il piacere di vederlo giocare. Ciò che non si condivide è la perentoria uscita nei confronti di un collega e di un amico, certamente: insieme nella Sampdoria post scudetto dal 1992 al 1997, e di nuovo compagni poco dopo alla Lazio e anche in panchina, da vice di Mancini all’Inter, Sinisa ha dato il via insieme a lui la sua carriera di coach. Pertanto, in queste parole di critica, vere e sincere, c’è forse della dietrologia: il collega e amico sarà stato certamente informato, o chissà che non ci sia stato un chiarimento in privato. Ma non si può crocifiggere Mancini per quanto accaduto.

Perchè? Innanzitutto si gioca in undici, i convocati sono tanti e alcune chiamate in nazionale servono anche a far respirare l’atmosfera del gruppo e il contesto completamente diverso di una nazionale rispetto a una squadra di club. In più, quel “dargli soddisfazione” crediamo non possa essere il metro corretto di una valutazione: Mancini, che ha eguagliato Lippi nei risultati utili consecutivi e ha risollevato una nazionale disastrata dopo le macerie del Mondiale mancato nel 2018, potrà avere un carattere spigoloso ma di certo sa come si allena e che scelte vanno prese. L’atteggiamento di Mihajlovic è compensibile nel momento in cui adotta la diligenza del buon padre di famiglia: difende un proprio giocatore pubblicamente, atteggiamento da lodare. Ma quel “io me la sarei presa”, non contribuisce a quel clima di serenità o di rispetto che tanto vogliamo alimentare. Non c’è bisogno di alcun giocatore che se la prenda, non ha bisogno l’Italia, che viaggia verso Euro 2020, di far entrare tensione e diatribe fomentate da esterni. La cosa è scivolata via semplice, anche in virtù del rapporto che lega i due, e manco c’è bisogno di specificarlo. Ma quella diligenza del buon padre di famiglia resta valida nel momento in cui ci si ferma a rispettare le decisioni altrui. La nazionale non è roba di Mihajlovic, che non gradirebbe certamente interferenze all’indirizzo del suo club. Lasciamola a Mancini, che ben sta lavorando. Qualsiasi decisione possa prendere.

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