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Stadio – Intervista a Giovanni Sartori: “Con Sinisa è stata una conoscenza troppo breve. Motta? Mi incuriosiva parecchio”

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Insieme all’amministratore delegato Claudio Fenucci, al dirigente sportivo Marco Di Vaio e al ct Thiago Motta, Giovanni Sartori costituisce il gruppo dirigente del Bologna. L’ex calciatore e allenatore 66enne, oggi responsabile dell’area tecnica della società rossoblù, è considerato uno dei migliori dirigenti sportivi italiani. L’esordio in cabina di regia avviene nel 1989, quando l’allora presidente del Chievo Luigi Campedelli intuisce il potenziale di Giovanni come tecnico e lo affianca come secondo di Gianni Bui; qualche anno dopo, nel ’92, è il figlio di Campedelli, Luca, a promuovere Sartori nel ruolo di dirigente sportivo. A questo punto, Sartori diventa uno dei principali artefici del “Miracolo Chievo”: nei ventun’anni anni passati come dirigente sportivo dei clivensi, Sartori riesce a portare il piccolo borgo veronese alla promozione in serie A. In seguito, Sartori trascorre otto anni all’Atalanta, al fianco di Gian Piero Gasperini; poi, nel 2022, passa al Bologna e ora il club sta vivendo un ottimo momento di forma. E’ per questo che su Stadio Ivan Zazzaroni lo definisce “uomo delle tre favole”. Però non finisce qui: Giovanni Sartori è noto anche per avere un ottimo fiuto per i giocatori di talento (“Senza i buoni giocatori un tecnico non va da nessuna parte“).
Di seguito riportiamo alcuni spezzoni dell’intervista.
Hai avuto un inizio singolare. “Tanto più singolare se consideri che comincio a settembre del ’92 e pochi giorni dopo, il 15, muore Luigi Campedelli. Gli subentra Luca, ventiquattro anni, decide di proseguire sulla strada del padre. Giovanissimo lui, giovane io”.
Il primo agosto 2014 passi all’Atalanta. Una sorta di tradimento. “Per il Chievo avevo rinunciato a proposte importanti anche da club di prima fascia. Per anni aveva deciso il cuore, poi sono successe cose e ho accettato l’offerta dell’Atalanta”.
Possiamo parlare di Mihajlovic? “Io Sinisa l’ho vissuto troppo poco. Ho firmato per il Bologna a fine maggio e Sinisa l’ho incontrato per la prima volta a inizio giugno. Ci siamo confrontati su tante cose, su Cambiaso, su Ferguson, poi c’è stato il nuovo intervento al quale si è dovuto sottoporre e per quaranta giorni è rimasto in ospedale. Solo qualche contatto telefonico. C’era fiducia, vedrai che tornerà, mi ripetevano a Casteldebole. La nostra è stata una conoscenza troppo breve”.
Come siete arrivati a Thiago Motta? “Faccio 66 anni a fine mese ma sono ancora curioso come un bambino. Thiago Motta mi incuriosiva parecchio. L’avevo seguito allo Spezia perché lì avevamo tre giocatori dell’Atalanta, inoltre trovavo interessanti Nzola e Kiwior. Ero rimasto colpito dal calcio che faceva, coraggioso, propositivo. Ho mandato uno dei miei collaboratori a seguirlo per una settimana e mi sono fatto un’idea precisa”.
Era la prima scelta, dopo l’addio a Mihajlovic? “E’ stata una scelta presa collettivamente. Thiago è un grande lavoratore e un grande comunicatore, molto diretto e deciso con la squadra, arriva subito ai ragazzi”.
Il Bologna è in corsa per un posto in Europa in una stagione segnata dal dominio quasi imbarazzante del Napoli. “Che gioca un grande calcio, è un piacere vederlo. Le altre big stanno deludendo, sotto le prime sei, sette c’è un notevole appiattimento. Un lavoro eccellente lo sta sviluppando il Lecce, lo davano tutti per spacciato e invece si è rivelato di valore”.
E’ possibile valutare il valore oggettivo di un calciatore? “Ci si può avvicinare grazie agli strumenti di cui disponiamo oggi. Ma poi, certo, possono influire altri fattori quali le tendenze del mercato, l’abilità degli operatori ecc.”.
Un grande rimpianto? “Drogba, l’avevamo già preso all’Atalanta. Saltò per un’inerzia”.
Ancelotti, Allegri, Mourinho e Conte: a chi va la tua preferenza? “Sono per il calcio di intensità e aggressività. Venti per cento ai primi tre e il restante quaranta a Conte”.
 
(Fonte: Stadio, Ivan Zazzaroni)

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