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Bologna FC

Tanti auguri Bologna! – La nostra storia – Prima parte

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La storia è un contenitore. E’ lo spazio che archivia la nostra memoria. Fatta di eroi e di digiuni, di sogni e di pioggia. Di testa. Di cuore. Dei nostri occhi pieni di lacrime. E ancora pioggia. E ancora memoria. I tamburi battono. Buon compleanno, Bologna!

1909
Lo suggerisce la saggezza popolare, lo testimonia il Bologna: chi beve birra campa (più di) cent’anni. È alla Birreria Ronzani, infatti, che ha inizio la storia rossoblù. Il primo presidente è Louis Rauch, odontoiatra svizzero, coadiuvato dal vicepresidente Guido Della Valle. Capitano della nascente squadra è Arrigo Gradi. Dietro di loro, comunque, a gettare il seme del football in città è un giovane di origine boema, Emilio Arnstein, che ha già fondato a Trieste il Black Star Football Club. Arnstein, arrivato in città, cerca giovani con la sua stessa passione per il calcio, li trova ai Prati di Caprara e li convince al grande passo…

1910
Il capitano Gradi si presenta agli allenamenti indossando la maglia a quarti rosso e blu del collegio svizzero Schönberg di Rossbach, dove ha studiato, e quelli diventano i colori ufficiali del club. Nell’inverno del 1910, però, si decide di passare alle strisce verticali, mantenendo il rossoblù. Nasce così la maglia che ammiriamo ancora oggi.

1911
Un paio d’anni bastano per far venire l’idea che serva un campo “proprio”, interamente dedicato al calcio. E allora si abbandonano i Prati di Caprara (aperti ad altre discipline) e ci si trasferisce alla Cesoia: un modo come un altro per dirsi che si comincia a fare sul serio…

1912
Arrigo Gradi è tra i fondatori del club, è il primo capitano, ma soprattutto crede ciecamente nella “sua” creatura. Gioca attaccante, per quanto all’epoca i ruoli non sono ancora codificati come adesso, ma la sua carriera viene brutalmente troncata da un infortunio: lui molla la maglia, ma non… la pratica, restando all’interno del club contribuendo a scelte importanti (al termine della Prima Guerra Mondiale, sarà fra gli artefici dell’ingaggio del tecnico Felsner).

1913
Lo sterlino. 14 anni intrisi di storia rossoblù, in un appezzamento di terreno sorto sull’attuale via Murri, appena fuori Porta Santo Stefano. Terzo campo ufficiale dopo i dismessi Prati di Caprara e i terreni della Cesoia, lo Sterlino presentava una singolare peculiarità: un dislivello superiore al metro tra una porta e l’altra. Fu proprio questo particolare, nel 1922, a far propendere la FIGC per l’utilizzo del Motovelodromo di Via Pasubio in occasione della prima gara della nazionale giocata in città (2-2 contro la Svizzera). Intitolato, dal 1921, alla memoria di Angelo Badini, tragicamente scomparso l’anno antecedente, venne sostituito dal Littoriale (oggi Dall’Ara) nel 1927 e poi definitivamente demolito, a fini residenziali, nel 1969.

1914
La Grande Guerra bussa forte alle nostre porte, ma Rodolfo Minelli, il quinto presidente rossoblù, famoso rappresentante di liquori, resta concentrato sulle enormi potenzialità di questo sport e fa di tutto per aumentare la popolarità del club, attuando addirittura forme di marketing. “Fire and desire” ancora non c’è, però qualcosa comincia a muoversi…

1915-1919
L’imprenditore Arturo Gazzoni, che sfrutta industrialmente l’Antinevrotico De Giovanni e la polvere Idrolitina per l’acqua “pizzichina”, dopo aver lanciato le famose Pasticche del Re Sole contro la tosse diventa presidente onorario del Bologna nel periodo bellico e resterà in carica sino al 1919. Tanti anni dopo, un altro Gazzoni (Giuseppe) si andrà a sedere sulla poltrona presidenziale, ma questo è un altro capitolo della nostra avvincente storia…

1920
Emilio Badini. Capolista di una lunga graduatoria, oggi giunta a 52 componenti. Nato a Rosario, in Argentina, nel 1897, la mezzala Emilio Badini (fratello del già citato Angelo e dunque etichettato, come usanza dell’epoca, Badini II) fu il primo giocatore rossoblù a giocare con la maglia dell’Italia, convocato dalla commissione tecnica a capo della nazionale in occasione delle Olimpiadi di Anversa 1920. Siglando, peraltro, la prima ed unica rete in azzurro alla partita d’esordio contro la Norvegia. Due le presenze complessive a difesa – calcistica – del tricolore, prima del ritiro dal calcio datato 1921 a causa di noie fisiche.

1921
Con la crescita del movimento calcistico, prende piede pure in Italia un nuovo mestiere, quello di allenatore. Il Bologna ne sceglie uno bravissimo, Hermann Felsner. È in panchina dal 1920 e ci rimane sino al 1931, vincendo due scudetti e creando il mito dello squadrone “che tremare il mondo fa”.

1922
Debutta in prima squadra un ragazzino “fatto in casa” destinato a una luminosa carriera, Angelo Schiavio. Impossibile raccontarlo in poche righe. Ci provò Bruno Roghi, Maestro del giornalismo sportivo, così: “Fu il palleggio sicuro di Schiavio ad agevolare la sua azione di centravanti di sfondamento. Camminava e correva ondeggiando lievemente, sì che l’avversario non sapeva più da che parte prenderlo. Lo scatto pronto, autoritario. L’azione potente e veloce. Aveva un dribbling stretto, secco, imperioso. Il suo tiro era una fucilata”. Sarà Campione del Mondo nel 1934.

1923
C’è maretta, in sede, fino a quando non compare Enrico Masetti, che assume la presidenza risolvendo la crisi societaria scoppiata in seguito alle dimissioni del commissario Turri. Durante la sua presidenza, la squadra diventa una delle più forti in Italia, vincendo nel 1925 il primo scudetto. Subito dopo la conquista del titolo, lascerà la presidenza a Paolo Graziani.

1924
La finale persa. Il Bologna non ha ancora vinto alcun titolo, ma stavolta l’occasione è ghiotta. Al termine del Girone B della Lega Nord (tranquilli: Bossi non è ancora nato…), i rossoblù giocano lo spareggio con il Genoa, squadrone che ha dominato il Girone A. Niente da fare: i liguri vincono 1-0 all’andata e 2-0 (a tavolino, per le intemperanze del pubblico) al ritorno. Sarà per un’altra volta…

1925
Dal momento che il tempo è gentiluomo, l’occasione capita a stretto giro di calendario. Dodici mesi più tardi, infatti, le due squadre si trovano ancora una volta faccia a faccia: finale di andata a Bologna, 2-1 per il Genoa; ritorno a Genova, 2-1 per il Bologna; “bella” a Milano, 3-2 per noi, anzi no perché non viene omologato il gol-vittoria, insomma un gran casino, scende in campo il gerarca Arpinati (tifoso bolognese) e si rigioca a Torino, dove alla stazione – tanto per non farsi mancare niente – c’è pure una sparatoria fra le due tifoserie. Il risultato finale è 1-1, quindi tutto da rifare. Sì, ma se questi continuano a spararsi? Allora si va Milano in gran segreto, dove alle 7 di mattina del 9 agosto le squadre scendono nuovamente in campo a porte chiuse e il Bologna vince 2-0. Il bello è che lo scudetto, Schiavio e compagni, lo vinceranno superando l’Alba Roma – che ha vinto la Lega Sud – il 16 e 23 agosto (4-0 a Bologna, 2-0 nella Capitale), ma nessuno ci fa più caso: questo è e resterà “lo scudetto delle pistole”.

1926
Il Bologna ci prende gusto e per la terza volta consecutiva arriva alla finale “nordista”, dalla quale esce inevitabilmente la squadra Campione d’Italia. Stavolta, però, la Juventus ci nega il bis:2-2 a Bologna, 0-0 a Torino, 2-1 per i bianconeri nello spareggio a Milano…

1927
Il dado è tratto, il calcio ha preso piede e il Fascismo ne capisce l’importanza sociale. Il Bologna, grazie anche al tifo del gerarca Arpinati, ha un nuovo stadio, il Littoriale, che è poi quello dove ci ritroviamo domenicalmente pure oggi. L’inaugurazione è datata 29 maggio 1927, Italia-Spagna 2-0, mentre i rossoblù vi debuttano il 6 giugno contro il Genoa (1-0, per la cronaca gol di Martelli).

1928
Un pedaggio da pagare. Il sempre crescente consenso del Fascismo in Italia impone un passaggio di consegne… e di nomenclatura. In ossequio al processo di italianizzazione voluto da Mussolini il Bologna Football Club è costretto a cambiare denominazione in Bologna Calcio e confluisce nella società Bologna Sportiva, direttamente riconducibile al gerarca Leandro Arpinati di Civitella, primo podestà della città felsinea, tifosissimo rossoblù e, soprattutto, amico intimo del Duce. Un’amicizia che finirà con un’accusa di connivenza coi socialisti, il confino a Lipari di Arpinati e il passaggio di consegne all’imprenditore Renato Dall’Ara. Ma lo scopriremo dopo…

1929
Il Bologna, quindi, cambia ragione sociale. Alla guida della sezione calcio, Paolo Graziani viene sostituito da Giovanni Bonaveri, già segretario di Arpinati e alto funzionario delle Assicurazioni Venezia. Durante la sua presidenza, la squadra vince il secondo scudetto, due Coppe dell’Europa Centrale e organizza la prima tournée fuori Europa, in Sudamerica. La sua esperienza termina nel 1934, con lo scioglimento della polisportiva.

1930
Come dicono gli inglesi, “save the date”: 28 settembre 1930, fa il suo esordio con la maglia rossoblù, in Bologna-Triestina (6-1), realizzando una doppietta, Carlo Reguzzoni. Sarà la colonna portante dello squadrone “che tremare il mondo fa”, restando sotto le Due Torri per diciotto stagioni, vincendo quattro scudetti e due Mitropa Cup (la Coppa dell’Europa Centrale), una sorta di antenata dell’attuale Champions League.

1931
Arriva a Bologna Raffaele Sansone, uruguaiano naturalizzato italiano che formerà con Fedullo una formidabile coppia di interni. Fa un sacco di gol, ma ha un caratterino non semplicissimo, tanto che nell’estate del 1933 decide di tornare a Montevideo perché dice di avere nostalgia di casa (in realtà litiga per la cifra sul rinnovo del contratto…) e sarà Renato Dall’Ara, nel 1934, a convincerlo a rientrare a Bologna.

1932
Arriva il primo successo europeo e arriva nella maniera più bizzarra: senza giocare… Già, il Bologna si porta a casa la Mitropa Cup battendo nei quarti di finale lo Sparta Praga e in semifinale il First Vienna; niente finale, però, perché Juventus e Slavia Praga (le altre semifinaliste) vengono squalificate…

1933
Il settebello. La squadra che fa “tremare il mondo” ottiene spesso risultati roboanti. Noi ne vogliamo ricordare uno, datato 21 maggio 1933, Bologna-Casale 7-0, con doppiette di Ottani, Reguzzoni e Biavati, con “ciliegina” di Martelli II. Non tragga in inganno il nome dell’avversario, attualmente attivo a livello dilettantistico: il club nerostellato è nato lo stesso anno del Bologna e vince un titolo ben prima dei rossoblù (1914)…

1934
Industriale del settore tessile per niente interessato al mondo dello sport, Renato Dall’Ara assume la presidenza del Bologna probabilmente perché la politica gli consiglia di farlo per rinforzare i suoi affari, ma diventa il presidente più vittorioso della storia del club rossoblù. Fra il 1935 e il 1941 conquista quattro scudetti e il Trofeo dell’Esposizione a Parigi (1937), così come tanti anni dopo ha la felice intuizione di ingaggiare come allenatore Fulvio Bernardini. Muore il 3 giugno 1964 per infarto dopo una lite con il presidente dell’Inter Angelo Moratti, quattro giorni prima della vittoria dell’ultimo scudetto allo spareggio. Nel ventennale della morte, gli viene intitolato lo stadio Comunale.

1935
Arpad Weisz. Semplicemente, innovatore. Approdato in Italia come giocatore, vestendo le maglie di Alessandria e Inter, Arpad Weisz raggiungerà la massima fama grazie ai successi ottenuti da allenatore. Il suo credo tattico, che oggi definiremmo calcio totale, era frutto di un mix tra il pragmatismo della cultura pallonara della sua Ungheria e la fantasia del futbol urugagio, affinata in una trasferta annuale in Sud America. Sarà lui, approdato ai piedi di San Luca, a dare vita allo Squadrone che tremare il mondo fa.

1936
Ecco un altro italo-uruguayano di grande valore. Francisco Fedullo nasce a Montevideo, indossa la maglia della Nazionale uruguagia, poi sente il richiamo della terra natìa dei genitori (oltre all’odore delle Lire…) e arriva in Italia. Per lui, anche due presenze in Nazionale azzurra, ma soprattutto tre scudetti, due Mitropa e un Trofeo dell’Esposizione con la maglia rossoblù.

1937
Parigi, Trofeo dell’Esposizione, primavera del 1937. Sono otto le squadre che partecipano al torneo: Austria Vienna, Bologna, Chelsea, Lipsia, Olympique Marsiglia, Phöbus Budapest, Slavia Praga e Sochaux. I rossoblù si sbarazzano del Sochaux (4-1), dello Slavia Praga (2-1) e in finale travolgono il Chelsea (4-1: era la prima volta che gli “inventori del calcio” si… abbassavano ad affrontare formazioni straniere), tornando a casa con l’ambito trofeo.

1938
Quattro anni prima, l’Italia ha vinto i Mondiali in casa e molti hanno insinuato che il Duce non fosse estraneo al successo. Ma stavolta si gioca in Francia, l’ambiente è apertamente ostile agli Azzurri, eppure il risultato finale non cambia: l’Italia è Campione del Mondo! Tra i campioni, tre gioielli rossoblù: Amedeo Biavati, Michele Andreolo e Carlo Ceresoli.

1939
Sì, ok, andavano di moda gli italo-uruguayani, ma che male c’è se dal bastimento sbarca un campione del calibro di Hector Puricelli? Soprannominato “testina d’oro” per le sue ottime doti di colpitore di testa, che valsero ai rossoblù lo scudetto del 1939 e del 1941, nonché la classifica cannonieri negli stessi due anni, Puricelli è “portatore sano” di un mistero calcistico: in Uruguay, infatti, non ha mai segnato di testa, ma quando arriva a Bologna non sbaglia quasi mai un colpo. Che cosa è successo? Semplice: da noi scopre la bellezza di avere come compagno di squadra un’ala formidabile come Biavati, che gli pennella perfetti cross dalla fascia… Passato nel dopoguerra al Milan, continuerà a segnare con continuità. Sarà pure allenatore, ma mai a Bologna.

1940
Il Bologna prende la testa della classifica e pare avviato al bis, ma l’Ambrosiana Inter non molla e – forte di un filotto di otto vittorie consecutive – beffa all’ultimo tuffo i rossoblù. Ne riparliamo fra 24 anni, ma forse anche prima…

1941
Sesto sigillo. La vendetta (sportiva) non si fa attendere. Già la stagione successiva, Bologna e Ambrosiana Inter tornano a contendersi lo scudetto. La lotta prosegue fino al 30 marzo, quando i rossoblù radono al suolo i nerazzurri con un perentorio 5-0 nel confronto diretto, presentandosi sotto lo striscione d’arrivo con quattro punti di vantaggio sui rivali.

1942
Il successo, nella vita, dipende da fattori spesso imponderabili. Prendete Mario Montesanto, per dodici anni onesto calciatore rossoblù: diventa allenatore, la guerra non fa sconti, viene sospesa l’attività e quindi lui allena nessuno. Terminato il conflitto, esce dal giro e non vi rientrerà mai più: le chiamano “sliding doors”…

1943-1946
La pausa sgradita, quella che nessuno vorrebbe concedersi. Il calcio deve fermarsi, poi poco alla volta rialza il capo e lentamente riprenderà l’attività. Non ci sono vittorie da festeggiare: solo macerie da rimuovere e morti da piangere…

1947
A fare da anello di congiunzione fra il “prima” e il “dopo”, un campione dal caratterino particolare, Gino Cappello. Cresciuto nel Padova (lui è nato nella città del Santo), arriva a Bologna – dopo aver giocato pure nel Milan, che all’epoca è costretto a chiamarsi Milano – subito dopo Piazzale Loreto, e qui rimane fino al 1956. Undici anni a deliziare i tifosi rossoblù con le sue magate; anzi, dieci anni, perché uno lo salta per squalifica, avendo steso l’arbitro Palmieri con un pugno in occasione di un torneo tra bar (?!?). A lui, nel 1954, la Nazionale attribuirà la maglia numero 10; a lui, all’inizio degli anni Sessanta, la Federcalcio appiopperà una squalifica a vita per corruzione, troncandogli la carriera dirigenziale…

1948
I tifosi non giovanissimi lo ricordano in panchina il giorno dell’avventurosa salvezza acchiappata dal Bologna nel 1979 con il pareggio contro il Perugia. In realtà, l’avventura di Cesarino Cervellati con i colori rossoblù inizia alla fine degli anni Quaranta. Piccolo di statura, agile e veloce, la fascia destra è il suo regno: da lì fa partire deliziosi cross per il centravanti, pur senza disdegnare la conclusione personale (segnerà 88 gol in 320 partite). Appese le scarpe al chiodo, diventa allenatore, sempre rossoblù tranne una brevissima esperienza al Cesena.

1949
Ivan Jensen. Galeotte furono le Olimpiadi londinesi del 1948. La vittoria della Svezia di Gren, Nordahl e Liedholm, futuri componenti del Gre-No-Li che farà le fortune del Milan, e il contestuale bronzo della Danimarca mettono sotto gli occhi di tutti la crescita del movimento scandinavo, fino ad allora pressapoco periferico. I danesi, in particolare, impressionano tutti nella partita di Highbury contro l’Italia, e il Bologna rimane folgorato da Jensen, roccioso mediano e all’occorrenza difensore di proprietà dell’AB che verrà acquistato un anno dopo.

1950
Axel Pilmark. Galeotte furono le Olimpiadi londinesi del 1948, parte 2. È lo stesso Jensen a segnalare il profilo del compagno di reparto in Nazionale, tale Axel Pilmark del KB, antenata dell’attuale F.C. Copenhagen. I due profili contribuiranno a formare una rocciosa cerniera sulla mediana, fungendo da frangiflutti alla manovra avversaria fino al ritiro dal calcio di Jensen, datato 1956. È solo l’inizio di una lunga dinastia scandinava al servizio del Bologna, come vedremo negli anni successivi.

1951
José Garcia. Ovvero l’ennesimo membro della grande colonia uruguagia in rossoblù: al Bologna dal ’48 al ’55, per sei stagioni nel complesso, condite da 107 presenze e 16 goal. Vanta anche svariate presenze in nazionale, 21 (più 4 reti) e una stagione all’Atalanta, nell’annata ’55-’56, con cui chiude la sua esperienza italiana dopo gli anni sotto le Due Torri. Il collante ideale tra i Sansone e i Fedullo degli anni Trenta, e i tanti “albicelesti” dei decenni successivi…

1952
La grande paura. Il Bologna a rischio retrocessione? Sacrilegio, follia: ma nel difficile periodo post-bellico il disastro è dietro l’angolo. Quattro allenatori (l’inglese Crawford, Sansone, Galluzzi e l’ungherese Lelovics, già protagonista ad inizio anni Trenta) e un finale che fa temere il peggio: per fortuna però tutto finisce bene, grazie ad un giovanissimo Cervellati (autore di 14 reti) ed un Cappello che, quando vuole, è tra i migliori dello Stivale. Sedicesimo posto nella classifica conclusiva: peggior piazzamento della storia fino a quel momento. Va bè: in futuro ci sarà ben di peggio…

1953
La presa in Gipo. Dopo la paura dell’anno precedente, si rifà tutto da capo: dalla Roma ecco Gipo Viani in panchina, già calciatore dell’Inter negli anni Trenta. Il suo quadriennio in rossoblù farà rinascere il club, che negli anni di Gipo oscilla dal quarto al settimo posto, sempre comunque in posizioni d’alta classifica. Poi, quando i tempi sembrano maturi per il salto definitivo, ecco la chiamata che non si può rifiutare: quella del Milan, dove Viani vincerà due scudetti, arrivando anche ad un passo dalla vittoria in Coppa dei Campioni (sconfitto in finale dal Real). La storia di Gipo col Bologna avrà comunque un breve ritorno di fiamma nel 1968, quando sostituirà Carniglia nella seconda parte di stagione. Ultimo sussulto di un grande mister che purtroppo, solo un anno più tardi, si spegnerà per sempre: lasciando comunque un ricordo indelebile sotto le Due Torri.

1954
Gino Pivatelli. Una carriera di prim’ordine con una macchia a renderlo celebre ai posteri, almeno fino a quest’anno. Gino Pivatelli è per tutti lo sciagurato centravanti dell’Italia che non si qualificò, per la prima volta nella sua storia, alla Coppa del Mondo, colui che, complice uno scivolone a due metri dalla porta, fallì una chiara occasione da gol nella disfatta contro l’Irlanda del Nord. Eppure, l’attaccante veneto, approdato sotto le due Torri nella stagione 53/54, fece la storia del calcio bolognese e italiano, unico giocatore italiano (perlomeno, di nascita) a laurearsi capocannoniere del nostro campionato in tutto il decennio.

1955
Ezio Pascutti. Ma ha davvero bisogno di presentazioni? Eziolino Nostro, a Bologna dal ’55 al ’69, per la bellezza di 296 presenze e 130 reti, col record di goal consecutivi in campionato ( 10) battuto solo negli anni novanta da un certo Gabriel Omar Batistuta ( non proprio l’ultimo arrivato). Un pilastro rossoblù, protagonista dello scudetto del ’64, e non solo: terzo marcatore di sempre del Bologna, dietro gli irraggiungibili Schiavio e Reguzzoni. Un nome, una leggenda.

1956
Aldo Campatelli. Già giocatore rossoblù dal ’50 al ’53, fa il suo esordio in panchina nel ’56, raccogliendo la pesante eredità di Gipo Viani: nel suo unico anno come mister conquista un buon sesto posto, che però non gli vale la riconferma. Quasi a mo’ di sghetto se ne va dunque a Modena, e poi a più riprese all’Inter: dove lui, milanese di fede nerazzurra, si sarà certo sentito a casa. Ah, tra parentesi: in quella stagione ’56-’57 il Bologna, con Campatelli in panchina, batte la Juve in casa per 1-0. Perché a volte poi basta una stagione, o solo una partita, per entrare nella leggenda…

1957
Bernard Vukas. Il Dopo-Campatelli parla straniero: in panchina (prima Bencic, poi l’ungherese Sarosi, che bisserà il sesto posto dall’anno precedente) e in campo, con Bernard Vukas. Chi? Attaccante jugoslavo, punto fermo della sua nazionale, già bomber dello Spalato. E’ il colpo dell’estate ’57. Nei suoi due anni in rossoblù però farà solo 2 reti in 45 presenze. Un po’ poco, per quello che nel 2000 sarà eletto miglior calciatore croato di tutti i tempi: che nel ’59 tornerà a Spalato, rimettendosi a segnare valanghe di reti. E a guadagnarsi sul campo un titolo che, a pensarci, spetta davvero a pochissimi. Anzi, ad uno solo: cioè, in questo caso, lui.

1958
Humberto Maschio. Con un nome così, già parti avvantaggiato: figuriamoci se poi giochi anche bene. Humberto Maschio, classe ’33: terzo del trio degli “angeli dalla faccia sporca”, con Sivori e Angelillo, asse offensivo di quell’Argentina che nel ’57 trionfò nel Sudamericano vincendo tutti gli incontri. E proprio quell’exploit gli valse la chiamata del Bologna: dove in due anni, con la coppia Bencic-Sarosi in panchina, e Alfredo Foni poi, si distinguerà in positivo con 13 reti in 43 presenze. Per lui poi un proseguo di carriera in Italia tra Atalanta, Inter e Fiorentina: poi il ritorno in patria, dove diventerà allenatore, arrivando pure a fare il ct della sua amata Nazionale.

1959
Giacomo Bulgarelli. L’Onorevole, il Capitano, la Leggenda: chiamatelo un po’ come volete. Fatto sta che quando si parla di Giacomo Bulgarelli, si parla della bolognesità incarnata e discesa in campo. Questo per ben ben sedici lunghe stagioni: da quel primo campionato ’59-’60, quando l’allora mister Allasio lo gettò in campo neanche diciannovenne, fino al 1975, anno del suo ritiro. Da Portonovo di Medicina al trono di Bologna: con 488 presenze atte a renderlo il numero uno per partite disputate ( e 43 goal che non fan mai male). Semplicemente il Re: ora e per sempre.

1960
Luis Vinicio. La seconda di Allasio in panchina vede un bel rinforzo per il reparto offensivo: Luis Vinicio, già mattatore nel Botafogo (insieme ad un certo Garrincha), trascinatore del Napoli dal ’55 al ’60 e poi rossoblù nel biennio successivo. Per lui 11 reti alla prima stagione, in un campionato tutto sommato anonimo per il resto della squadra ( nono posto). Alla seconda mantiene una buona media-gol, con 6 centri in 17 presenze: poi vola a Vicenza, dove a 34 anni segnerà la bellezza di 25 reti. La miglior stagione in carriera, proprio in chiusura: poi una lunga carriera da allenatore, ma mai a Bologna.

1961
Fulvio Bernardini. Già Fuffo, romano de Roma, protagonista nelle due squadre della Capitale: da giocatore prima e da allenatore poi. Ma è a Bologna che farà il suo capolavoro da mister: lo scudetto del ’64, entrato di diritto nella leggenda, le cui basi verranno poste a partire dall’estate 1961, quella del suo arrivo. Qui, Fuffo, comincerà a mettere insieme i pezzi di una squadra destinata alla leggenda. Un altro mostro sacro, seppur della panchina: con un posto garantito nella Hall of Fame rossoblù. Nei primi, primissimi posti.

1962
La finale in Mitropa. E’ l’anno della cavalcata europea: nel girone eliminatorio i ragazzi di Bernardini si sbarazzano facilmente delle concorrenti ( Stella Rossa, Bratislava e Honved)e in semifinale hanno poi la meglio sulla Dinamo Zagabria. La finalissima è contro gli ungheresi del Vasas: che vincono 5-1 in terra magiara e limitano i danni al ritorno ad una sconfitta per 2-1. Per loro il terzo titolo: per il Bologna il rimpianto, ma anche la consapevolezza di avere una squadra in continua crescita. Che a breve, darà grossissime soddisfazioni…

1963
Così si gioca solo in paradiso. La stagione successiva è l’anticamera dello scudetto: passata alla storia per quel derby della Secchia stravinto per 7-1, e per una frase, a fine gara, già finita nei libri scolastici ( “Così si gioca solo in paradiso!”). Perché quella squadra è davvero di un altro livello e gioca un calcio spaziale: l’anno dopo ci sarà il meritato premio. Sofferto, e, sicuramente, non regalato…

1964
Giustizia è fatta. L’apoteosi, il trionfo: la prova che, forse, la vita non è così ingiusta. E a volte premia chi se lo merita. Perché dopo un campionato del genere, in cui le han tentate tutte, pur di non farti vincere (scandalo-doping, giornali palesemente di parte), s’arriva allo scontro finale, quello dell’Olimpico: dove, dopo mesi di veleni, polemiche e compagnia, si giunge infine allo spareggio, l’ultimo atto. Di fronte il Bologna di Bernardini e l’Inter del Mago Herrera. Il resto è storia: anzi, leggenda. Col Bologna che diventa campione per la settima volta: nella maniera più epica e straordinaria possibile.

…e la storia non finisce qua…

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