Bologna FC
Tanti auguri, Bologna! – La nostra storia – Seconda parte
La storia è un contenitore. E’ lo spazio che archivia la nostra memoria. Fatta di eroi e di digiuni, di sogni e di pioggia. Di testa. Di cuore. Dei nostri occhi pieni di lacrime. E ancora pioggia. E ancora memoria. I tamburi battono. Buon compleanno, Bologna!
1965
Harald Nielsen. Tra i protagonisti della Scudetto, e di quella super squadra, c’è ovviamente Harald Nielsen: detto Dondolo, in barba alle origini danesi. Attaccante rossoblù dal ’61 al ’67: dove segna 81 reti in 157 presenze ( 21 l’anno dello scudetto, in doppia cifra per ben cinque stagioni di fila). Bene anche nella stagione successiva allo scudetto, dove nonostante il sesto posto, ed un campionato per lo più deludente, si segnala tra i migliori della rosa. Un mostro sacro del pallone, e della storia rossoblù: un altro con un posto garantito nella Hall of Fame di tutti i tempi.
1966
Helmut Haller. Un’altra leggenda dello Scudetto: definito un tedesco “atipico”, in quanto amante del divertimento e della vita notturna. Non che questo gli fosse d’intralcio sul campo: dove le 48 reti in 180 presenze parlano per lui. Nel ’65-’66, alla prima di Scopigno in panchina, va per la seconda stagione in doppia cifra: poi, due anni più tardi, il passaggio al nemico. Quella squadra in bianconero dal nome impronunciabile, dove giocherà gli ultimi anni di carriera: con la certezza, comunque, che sotto sotto il suo cuore sia sempre e soltanto rimasto rossoblù.
1967
Marino Perani. Un altro Nome con la N maiuscola: al Bologna dal’60 al ’74, con 61 reti in 296 presenze. Tra i protagonisti dello scudetto, e non solo: pilastro per tutti gli anni Sessanta, sia con Bernardini, Scopigno, che dal ’67 Carniglia (e tutti gli altri). Conta pure quattro apparizioni in Nazionale (e rete contro la Bulgaria proprio al “Comunale” di Bologna). Appese le scarpette al chiodo, sarà poi anche allenatore: ad inizio anni Ottanta anche del suo Bologna. Prima come mister delle giovanili, poi della prima squadra: per i primi mesi del ’79, e per tutta la stagione successiva poi. Con una salvezza raggiunta senza troppi patemi (oro colato, per quegli anni…)
1968
Fogli e Janich. Due mostri sacri della difesa: inamovibili nel Bologna scudettato. Entrambi per più di un decennio in rossoblù: sopravvissuti anche ai tanti cambi di allenatore di quell’annata ’67-’68, con Carniglia prima, il Viani bis poi, e Cervellati alla fine. Quinto posto, e l’addio: direzione Milan per Fogli, dopo 285 presenze e 6 reti in rossoblù. Per Janich, invece, ancora tre anni in rossoblù: per la bellezza di 294 presenze totali. Poi una stagione alla Lucchese, e il ritiro definitivo: apice di una carriera super, condita anche da diverse presenze nella nazionale maggiore ( come anche Fogli).
1969
Beppe Savoldi. Mister due miliardi: amato e poi odiato. E viceversa. La sintesi perfetta del Bologna post-scudetto: cioè del progressivo livellamento verso il basso. Il Primo Beppe: devastante, nei suoi sette anni in rossoblù. Anche se ci mette un po’, prima di esplodere: poi, apriti cielo. Una delle poche gioie d’inizio anni Settanta: con cui si vincono ben due Coppe Italia. Poi l’addio: perché il Napoli ha fatto l’offerta che non si può rifiutare. Alla società e al calciatore: che passa ai partenopei, spezzando il cuore ad un’intera città. Poi il ritorno, cinque anni dopo: ma è una breve, brevissima parentesi. Perché lo Scandalo del Totonero rovina tutto: squalifica e addio definitivo. Eppure, nonostante tutto, rimangono le 85 reti in 201 presenze: con cinque stagioni in doppia cifra. Più le 11 del ’79-’80: semplicemente, il primo Beppe-Goal. Il più amato: e odiato. Scegliete voi…
1970
Edmondo Fabbri. Come cancellare l’onta della fallimentare spedizione del Mondiale ‘66, della sconfitta contro la Nord Corea e del gol del dentista (che poi dentista non fu) Pak Doo-Ik? Semplice: vincendo.
Al termine di un campionato senza infamia né lode, con la storica vittoria del Cagliari di Riva e un anonimo decimo posto per i rossoblù felsinei, va riconosciuta al tecnico di Castel Bolognese la capacità di guidare il gruppo fino alla vittoria del girone finale di Coppa Italia, prima coccarda tricolore vinta dalla società nella sua storia grazie alla doppietta di Savoldi nell’ultima e decisiva gara contro il Torino.
1971
Bruno Pace. Figlio dei fiori più dedito alla pace che alla guerra (come si evince dal cognome), talento del Bologna post-scudetto, dal ’66 al ’72, con 112 presenze e 5 reti. Poi, il ritorno da mister: nell’84-’85, in serie B. Noto per i suoi scherzi dentro e fuori lo spogliatoio, e anche per il carattere estroverso: un personaggio unico e non allineato. Come non ne fanno più…
1972
Bruno Pesaola. Dopo Fabbri, ecco Pesaola: già mister di successo a Napoli e Firenze. Allenatore nel quadriennio ’72-’76, e nel biennio ’77-’79: figlio di emigrati in Argentina, ma cresciuto di fatto in Italia. Vincitore della seconda Coppa Italia della storia rossoblù, quella controversa del 1974: ma sempre un trionfo rimane. Detto il “Petisso”, il piccoletto: di statura, forse. Non certo per la qualità espressa in panchina.
1973
Bob Vieri. Mezz’ala di classe, dalle geniali invenzioni: al Bologna dal ’72 al ’74 (in tempo per far nascere il primogenito Bobo sotto le Due Torri), poi, dopo una parentesi in Canada, eccolo di nuovo in rossoblù per due anni, per il totale di 38 presenze e 3 reti. Salutata in via definitiva la Grassa, eccolo in viaggio dall’altra parte del mondo, in Australia: che di fatto spiega la cittadinanza australiana del figlio minore (che ha giocato pure in nazionale). Padre d’arte, ma anche ottimo giocatore: che certo, è stato superato dall’allievo. Il sogno, cioè, di ogni genitore.
1974
La coppa rubata. Nella mente dei tifosi palermitani più datati, ancora oggi il nome dell’arbitro Gonella, recentemente scomparso, rievoca brutti ricordi. È il 90’ di Bologna – Palermo, finale di Coppa Italia 1974, con i secondi in vantaggio per 1-0. Sugli sviluppi di un fallo laterale, il direttore di gara concede un rigore ai rossoblù per un dubbio contatto in area tra Bulgarelli e il difensore Arcoleo. Savoldi non perdona, e sarà ancora il dischetto degli 11 metri, dopo i tempi supplementari, a sancire la vittoria del Bologna, nell’ultimo trofeo conquistato dal sodalizio felsineo.
1975
Eraldo Pecci. Eraldone di Romagna, ma simbolo rossoblù a più ondate: tra ’75 e ’77, dove esplode dopo la trafila delle giovanili, e nove anni dopo, nel 1986, quando torna a farsi carico del Bologna in serie B, conducendolo presto verso la massima serie. Centrocampista dalla battuta pronta, nel senso dell’umorismo, poi scrittore, editorialista e commentatore televisivo: semplicemente, Eraldo Pecci.
1976
Franco Cresci. Simbolo rossoblù degli anni Settanta e in generale del periodo post-scudetto: al Bologna dal ’68 al ’79, con 404 presenze e sette reti, settimo giocatore per numero di apparizioni. A fine carriera, appese le scarpe al chiodo, allena diverse squadre dell’hinterland: dal San Lazzaro al Crevalcore, fino all’Imolese e alle giovanili del Castel San Pietro. Insomma: milanese di nascita, ma certamente bolognese d’adozione.
1977
Stefano Chiodi. Bolognese di Bentivoglio, classe ’56, tira i primi calci al Progresso, in quel di Castelmaggiore: il Toro lo adocchia, ma per fortuna il padre, tifoso rossoblù, lo indirizza ai colori giusti. Dal ’75 al ’78 indossa la maglia della sua città, segnando 18 reti in 75 presenze. Poi la parentesi al Milan, quella alla Lazio ed infine il ritorno sotto le Due Torri: dove si avvia alla fine di un’onesta carriera. Nel 2009, purtroppo, un male incurabile lo porta via a soli 53 anni.
1978
Franco Nanni. Chi? Una perla di storia, che è giusto ricordare: detto Bombardino, per via dei suoi tiri da fuori area. Nella Roma laziale, non a caso, un derby vinto negli anni Settanta porta il nome de “Lo scaldabagno di Franco Nanni”, per via di una sua bomba imparabile. In rossoblù tre anni, dal ’75 al ’78: dove si segnala per una rete decisiva, proprio contro la sua ex squadra, per salvare un Bologna spacciato, che troverà nel Bombardino il suo salvatore. Che ovviamente, sotto le Due Torri, avrà sempre un posto nel cuore dei veri appassionati.
1979
La rimonta impossibile. Non sono anni indimenticabili quei fine settanta, in casa Bologna: salvezze ottenute all’ultimo, il più delle volte non meritate (e per così dire “spintanee”). Un esempio? Quella stagione ’78-’79: dove al capezzale di una squadra spacciata si succedono tre allenatori. Il redivivo Bruno Pesaola, il sempiterno Marino Perani, e infine il Cesarino Nostro, Cervellati. Che all’ultima giornata ha praticamente un piede in B: per fortuna sua il Vicenza fa harakiri a Bergamo, e il Perugia, in vantaggio a Bologna con doppietta di Bagni (anni dopo ds rossoblù) lascia via libera ai rossoblù, che ottengono il 2-2 e la salvezza in un match al limite dell’inverosimile. E’la terza salvezza in extremis: qualche anno dopo, poi, arriverà tutto in una volta il conto da pagare…
1980
Tommaso Frabbetti. Prima storica retrocessione in B, e non solo: anche quella in C, senza passare dal via. Cos’altro c’è da aggiungere, per non assegnarli il premio di peggior presidente della storia? Chi non è d’accordo parli ora: o taccia per sempre.
1981
Roberto Mancini. Il talento di Jesi arriva a Bologna poco più che bambino a 13 anni e mezzo, e all’età di 16 anni Tarciso Burnich gli regala la prima presenza in massima Serie contro il Cagliari il 13 settembre. In prima squadra quell’anno gioca 30 partite su 30, segnando la sua prima rete nel 2-2 contro il Como, la prima di 9, che lo consacrano miglior marcatore della squadra.
Al termine della stagione 81/82 lascia non per volere suo i colori rossoblù: una separazione che ha fatto molto male ai tifosi, ma anche e soprattutto al giovane Roberto, che non ha mai dimenticato quei colori.
1982
La prima retrocessione in B. Al termine di una stagione disastrosa, in cui i rossoblù totalizzano soltanto 23 punti, il Bologna retrocede in cadetteria, tra le lacrime dei tanti tifosi bolognesi giunti ad Ascoli per l’ultima di campionato, per la prima volta nella storia del Club: un fallimento.
1983
La prima retrocessione in Serie C. Dopo la disastrosa retrocessione in B, il Bologna riesce a fare peggio la stagione successiva, scivolando addirittura in Serie C, al termine di un’annata in cui non venne risparmiato neppure quel Giacomo Bulgarelli che era stato scelto dal Presidente Frabbetti come general manager, che affiancava il direttore sportivo Carlo Montanari. In panchina c’era Alfredo Magni che aveva fatto vedere ottime cose alla guida del Monza, ma che dopo 9 partite venne esonerato a favore di Paolo Carosi. Anche quest’ultimo però durò molto poco, precisamente 14 match totalizzando appena 13 punti. Al suo posto arrivò Cesarino Cervellati, che anche a causa di una confusione societaria quasi surreale, che culminò con le dimissioni di Frabbetti a febbraio, non riuscì a trovare la quadra.
Il 12 giugno 1983, al termine di un Bologna-Monza terminato 2-2, il Club felsineo retrocesse in Serie C tra gli insulti e le proteste della gente (poca) accorsa al Dall’Ara.
1984
Il presidente con il foulard, Giuseppe Brizzi. Già con precedenti nel mondo del calcio (era stato presidente dell’Hellas Verona per una stagione) assunse la presidenza il 15 aprile Nonostante cerchi di sanare i debiti e di pagare gli stipendi arretrati, la situazione è ormai fuori controllo e il Bologna retrocede in Serie C. Nonostante questa doppia retrocessione in due anni, Brizzi fa una campagna acquisti eccelsa per la categoria e il Bologna riconquista la Serie B. Ma la squadra non mantiene le aspettative e si salva nelle ultime giornate di campionato e alla fine cede la presidenza a Luigi Corioni. Pochi anni dopo, nel gennaio 1986, venne accusato di falso in bilancio e appropriazione indebita nel periodo quando lui era presidente del Bologna.
1985
Marco Macina. Il gemello diverso di Roberto Mancini, forse con più classe, stando alle testimonianze dell’attuale CT dell’Italia. Prodotto del vivaio bolognese, l’ala nativa di San Marino torna in quella Serie A appena assaggiata a Bologna dopo essere sceso, in maglia rossoblù, negli inferi della C1. È il Milan, dopo le parentesi di Arezzo e Parma, a credere in un talento sregolato, più avvezzo alla vita notturna della grande città che ad una carriera da predestinato, che va sfumando in un anticlimax dato dalle appena 5 presenze in massima serie, dai prestiti in provincia ed infine dal grave infortunio che lo costringe di fatto al ritiro nel 1987, tornando in campo solo tre anni dopo per celebrare la nascita della nazionale sammarinese.
1986
Gino Corioni. Dall’86 al 92 patron rossoblù, è ricordato come il Presidente che portò il Bologna a giocarsi l’Europa, con in panchina il conterraneo Luigi Maifredi. Prima la promozione in Serie A dopo due tentativi, poi la salvezza e in seguito la qualificazione in Coppa Uefa.
Al termine della stagione 90/91 però, in seguito alla retrocessione in Serie B, l’imprenditore bresciano si convince a vendere al trio Gnudi-Gruppioni-Wanderlingh, e di cominciare la sua nuova avventura alla guida dell’amato Brescia.
1987
Gigi Maifredi. A Bologna arriva nella stagione 87/88 da completo sconosciuto ma con la società che ha grande fiducia in lui e che segue tutte le sue indicazioni sul mercato, comprando giocatori con poco appeal e con scarsa esperienza. La stagione però è un successo, e la cavalcata trionfale porta alla vittoria del campionato cadetto, condita da un calcio champagne che portava il bomber Marronaro a segnare a ripetizione (21 gol).
In Serie A prima raggiunge la salvezza, poi l’anno successivo compie il miracolo, portando i rossoblù all’ottavo posto valido per la qualificazione alle coppe europee.
“Calcisticamente, un genio. Fuori dal campo, un asino” si autodefiniva Maifredi un anno fa…
1988
Renato Villa. “Il Mitico” è stato ed è uno degli idoli della Piazza rossoblù. Un giovane della Curva che ce l’ha fatta ad arrivare sul campo del Dall’Ara. Se dici Mitico pensi subito a Villa, e il soprannome acquista importanza se si pensa che gliel’ha dato non un tifoso qualunque, bensì Lucio Dalla che era pazzo del Mitico Villa.
Fondamentale sul campo e amato in città, con un legame quasi viscerale con i colori rossoblù: “Corioni sembrava intenzionato a vendermi, i tifosi del Bologna scrissero su tutti i muri della città: ‘Il Mitico deve restare’. Lì capii che mi volevano davvero bene”.
1989
Giancarlo Marocchi. Una zazzera bionda che si intravede tra i pendolari del regionale Imola – Bologna, di un ragazzotto che fugge letteralmente dall’istituto di ragioneria per dirigersi alla stazione dei treni e raggiungere il campo d’allenamento. Giancarlo Marocchi fa parte di quel nucleo di giocatori provenienti dalla provincia bolognese ed emersi, non senza sacrifici, nella squadra principale della città capoluogo. Centrocampista dai sette polmoni e idolo di una tifoseria che si sente tradita dal passaggio, nella stagione 88/89, all’arcinemica Juventus, poi abbandonata per un finale carriera presso il vecchio amore rossoblù. L’unico, secondo quanti hanno avuto modo di conoscere la sua fede calcistica.
1990
Marco De Marchi. Arrivato da giovanissimo nel 1987, divenne addirittura Capitano. Quella fascia voleva dire tanto per lui, che la onorò al meglio ricoprendo le orme del Suo vero Capitano, cioè quell’Eraldo Pecci a cui Marco è sempre stato legatissimo.
De Marchi fu uno degli artefici della cavalcata dalla C alla Coppa Uefa, che fu un ottimo trampolino di lancio per il difensore, che andò poi alla Juve, senza mai fare quel salto di qualità decisivo per conquistarsi il posto da titolare. Torna al Bologna nel 1993, dove appunto diventa capitano in Serie C1. In 3 anni arriva la promozione in massima serie, sempre con De Marchi con la fascia al braccio. Nel 1997 lascia il Bologna dopo una stagione non esaltante.
1991
Lajos Detari. Il talento ungherese arrivò a Bologna da superstar, dopo l’ottimo Mondiale messicano e confermò le attese nella prima amichevole giocata al Dall’Ara contro il Napoli delle meraviglie, con un tiro devastante all’incrocio dei pali che fece strabuzzare gli occhi ai tifosi dal cuore rossoblù e non solo. Il coro personalizzato “Per vincer la partita, non c’è nessuno problema, se c’è Detari gol-Detari gol-Detari gol” lo fece diventare ben presto l’idolo della Curva, anche se il talento alle volte non basta. Il carattere fortemente burrascoso e i tanti problemi fisici bloccavano un po’ sul nascere le sue straordinarie doti tecniche, che a Bologna sicuramente ancora si ricordano…
1992
Kubilay Turkyilmaz. 3 anni in rossoblù per il turco-svizzero, che ha lasciato un bel ricordo sotto le Due Torri, anche se quegli anni dal punto di vista dei risultati furono tutt’altro che soddisfacenti. Con il Bologna retrocede in B il primo anno, poi in C il terzo, realizzando 15 reti in 62 partite. “A Bologna non sono mai stato meglio. Sono state tre stagioni fantastiche per me, un po’ meno per la squadra anche per i molti problemi societari”.
1993
Dopo la caduta, Giuseppe Gazzoni. Uno dei presidenti più amati della storia del Bologna, sicuramente uno dei più decisivi per le sorti del Club rossoblù. Nel 1993, dopo il fallimento della gestione precedente, rileva il titolo sportivo iscrivendo la società al campionato di serie C. In 3 anni approda in massima serie, per poi conquistare anche uno splendido successo europeo come la Coppa Intertoto e la semifinale di Coppa Uefa nella stagione 98/99.
Nel 2005, in seguito alla retrocessione, decide di vendere la società ad Alfredo Cazzola. 9 anni dopo viene nominato da Joe Tacopina, presidente onorario della società rossoblù.
1994
Marco Negri. Indossa la maglia rossoblù in due periodi ben distinti della sua carriera: la prima volta nel 1993-94, dove colleziona 24 presenze condite da 8 reti. La seconda invece, nella parte conclusiva della stagione 2001-2002, faticando però a trovare spazio.
Attaccante completo, raggiunge l’apice della sua carriera in Scozia tra le fila della storica squadra protestante di Glasgow: i Rangers. Oltre il Vallo di Adriano, Marco segna a raffica e diventa per tutti “Moody Marco”, il lunatico. Il 23 agosto del 1997 realizza una cinquina contro il Dundee United (andatevi a rivedere il terzo, sombrero e contro sombrero al difensore prima di battere il portiere con un preciso pallonetto) per poi chiudere quel campionato col titolo di capocannoniere in tasca dopo aver segnato 32 reti in 29 partite. 5° posto nella graduatoria finale della Scarpa d’oro e convocazione in Nazionale azzurra dietro l’angolo. Poi purtroppo, il tremendo infortunio rimediato alla retina dell’occhio durante una partita di squash che lo costringe ad un lungo periodo d’inattività, indirizzando inevitabilmente la sua carriera verso un finale anticipato.
Oggi Marco è un tecnico preparato e molto apprezzato. Oltre che una persona sempre disponibile con cui è veramente un piacere parlare di calcio.
1995
Renzo Ulivieri. E’ lui il tecnico della doppia promozione dalla C alla A, ed è sempre lui a ottenere la migliore prestazione dei rossoblù in campionato dalla fine degli anni 60, con un settimo posto in classifica e una semifinale di Coppia Italia, purtroppo persa nel finale.
L’ultimo anno sotto le Due Torri è contrassegnato dal tira e molla con Roberto Baggio, con la discussione che raggiunge l’apice quando il Divin Codino viene lasciato in panchina contro la Juventus, con lo stesso Baggio che decide di lasciare il ritiro. Nel 1998 lascia le Due Torri per accasarsi a Napoli in Serie B, per poi tornare a Bologna nel 2005, anche se con scarsi risultati.
1996
Giorgio Bresciani. Acquistato dal Bologna, che lo preleva dalla Reggiana, contribuisce alla risalita in Serie B dei rossoblù, dopo la retrocessione in C1. Viene confermato anche nella serie cadetta, in cui realizza 4 gol, tra cui la storia rete contro il Chievo che vale la matematica promozione in massina serie.
1997
Kenneth Andersson. Un luogo comune in persona: svedese alto, occhi azzurri, possente e…macchina da gol. Oddio: non che a ogni tiro la palla fosse entrata, ma intendiamo soprattutto della sua importantissima presenza nello sfornare assist.
Arrivato l’anno precedente, Andersson – insieme a Kolyvanov – contribuisce alla rinascita definitiva dei rossoblù, dopo l’inizio dell’era Gazzoni. Alla fine della stagione 1996-1997, il Bologna termina con un ottimo settimo posto e perdendo la semifinale di Coppa Italia, ai danni del Vicenza (poi vincitore del torneo).
Una volta spiccato il volo, il gigante svedese tenta fortuna alla Lazio, dove rimane solamente da agosto a novembre 1999. Dopodichè, torna sotto le Due Torri, finendo la stagione prima di andare al Fenerbahce. Il tabellino totale recita 114 presenze e 33 reti.
1998
Roberto Baggio. Ripartiamo dal ruolo di uomo assist di Andersson: grazie a lui, infatti, il Divin Codino vive il primato personale di gol (22 in 30 gare, nella stagione 1997-1998).
L’unico anno di Baggio in terra felsinea è piena di aneddoti: arrivato “per sbaglio” – visto che solo un esperto Carlo Ancelotti poteva rifiutare il suo arrivo, avendo già Zola in rosa – e acquistato per 5,5 miliardi di lire dal presidente Gazzoni (il quale, addirittura, assicura le sue gambe per 10 miliardi del vecchio conio), il giocatore che l’Italia non può odiare trascina il Bologna fino alla qualificazione alla Coppa Intertoto. Quell’anno, però, è anche costellato dalle incomprensioni con Ulivieri, del quale, Baggio, scrive nella sua autobiografia che non lo volesse in squadra perché invidioso della sua fama. Fatto sta che la convivenza si incrina totalmente quando, a gennaio, il calciatore veneto non viene convocato per la partita con la Juventus, scappando così dal ritiro. Sebbene i tifosi si schierano dalla sua parte, e assumendo il ruolo da capitano, Baggio prepara le valigie e, in estate, si dirige verso Milano, sponda nerazzurra.
1999
Dall’Intertoto a Marsiglia. Quanti di voi c’erano, al Cotroceni di Bucarest, il 25 Luglio del 1998? E quanti di voi soffrivano nel vedere il Bologna sotto 3-1, in inferiorità numerica, schiacciato a difendere quel gol fuori casa che, in virtù del 2-0 del Dall’Ara, avrebbe consegnato la speranza di accedere al turno successivo della Coppa Intertoto? E soprattutto, quanti di voi avrebbero immaginato un’annata in giro per l’Europa, visitando Genova, Chorzow, Lisbona, Praga, Siviglia, Lione ed infine Marsiglia, col settore ospiti gremito come non mai di tifosi rossoblù, sognando quella finale di Mosca sfumata allo scadere? L’ultima, forse l’unica, grande cavalcata europea di una squadra che fece sognare una città intera.
2000
Francesco Guidolin. Un arrivo in punta di piedi, da subentrato a stagione in corso, un addio forse condizionato da un’infelice frase ripresa dalle telecamere durante un Bologna – Juventus terminato con il gol del 2-2 siglato da Camoranesi in zona Cesarini, a poche tornate dal termine della stagione. Il tecnico di Castelfranco Veneto divide il pubblico di stanza al Dall’Ara, fonte di una netta separazione tra quanti lo ritengono tra i migliori tecnici transitati per Bologna negli ultimi anni e quanti, invece, ricordano ancora con livore quel “città di merda” pronunciato all’atto del cambio di Locatelli. Dati alla mano, però, è la sua squadra ad aver ottenuto il miglior piazzamento nel nuovo millennio…
2001
Julio Ricardo Cruz. Nicola Ventola, Igor Kolyvanov, Kennet Andersson e Giuseppe Signori, questo il parco attaccanti del Bologna appena entrati negli anni duemila. Ma un giocatore sudamericano attira l’attenzione degli addetti ai lavori rossoblù, così approda alla corte di Guidolin un semi sconosciuto Julio Ricardo Cruz, centravanti di cui tanto bene si sentiva parlare e che si era ben comportato nella sua terra natia, l’Argentina. Per il tipo di calcio che si giocava in Italia gli viene chiesto di calare di peso, lui segue le direttive dell’allenatore e diventa fondamentale per il Bologna, segnando e facendo segnare. Fino al suo addio, che avverrà nel 2003, quando si accaserà all’Inter. Un attaccante che ricorderemo sempre con affetto per quanto ha dato ai nostri colori, anche in virtù del suo hobby: Julio Cruz, detto “El Jardinero”.
2002
Giuseppe “Beppe Gol” Signori. Fuori Roberto Baggio, dentro Giuseppe Signori. Così inizia questa storia d’amore, magica, dove la speranza è il fuoco alla base di tutto. Quella speranza che Bologna riesca a rigenerare anche lui, giocatore dal talento cristallino, ma fragile. E così accade: BeppeGoal ritorna a splendere, andando quasi ogni stagione in doppia cifra, con l’apice raggiunto nella stagione 2002-2003, con la finale di Coppa Intertoto, persa contro il Fulham per 5-3 in favore degli inglesi. Le punizioni di una potenza inaudita, le tante giocate sopraffine, tra cui quel sombrero al difensore con fucilata di mancino all’incrocio dei pali… “Prendi il palo, la traversa, Beppe Gol, Beppe Gol! Tira giù la porta, tira giù la porta, facci un gol, facci un gol”!
2003
Renato Cipollini. Nasce a Codogno nel 1945, e nella sua lunga carriera da portiere difende i pali di Fiorentina, Empoli, Spal, Brescia, Como, Atalanta e Inter. All’ombra del Duomo, vince una Coppa Italia ed un Campionato, diventando poi al termine della sua carriera di calciatore un dirigente sportivo. Gira in primis le piazze di Modena e Ferrara, riscontrando apprezzamenti da vari fronti per la bontà del suo lavoro. Giunge a Bologna nel 2002, succedendo a Giuseppe Gazzoni Frascara e diventandone Presidente fino al 2005, anno in cui il Bologna retrocederà in Serie B.
2004
Igli Tare. Bologna chiama, Carletto Mazzone risponde. E si sa, quando un allenatore cambia squadra, spesso si porta dietro i “fedelissimi”. Questo è il caso di Igli Tare, che approda in rossoblù nella stagione 2003/2004, rimanendo per due stagione sotto le due Torri. Entrato nei cuori dei tifosi rossoblù, non per le sue doti da goleador, ma per l’abnegazione che aveva sul terreno di gioco. Segnerà un goal pesantissimo nel derby spareggio di andata contro il Parma nel 2005, che verrà poi reso inutile dalla sconfitta nella partita di ritorno contro i ducali.
2005
La Grande Truffa. Calciopoli. Vi dice niente questa parola? Una trama fitta sotto la superficie, che ha orchestrato per anni i campionati calcistici della penisola, indirizzando le gare verso la direzione desiderata. Una stagione, quella del 2005, cominciata sotto i migliori auspici per i rossoblù: quindici partite con una sola sconfitta ed un momentaneo settimo posto. Ma un’ombra si proietta sopra il Bologna, che nel girone di ritorno ottiene solamente undici punti, dovendo scontrarsi per la salvezza contro il Parma. Al Tardini un goal di Igli tare fa sognare i tifosi, ma al ritorno la doccia fredda: le reti di Cardone e Gilardino ribaltano il risultato dell’andata, il Bologna è in Serie B. Ma se ai tempi ci fosse stato il VAR…
2006
Alfredo Cazzola. Riparte dalla Serie B il Bologna, che dopo le dimissioni di Cipollini e l’uscita di scena di Gazzoni si ritrova senza un timoniere. Ma all’orizzonte si profila una sagoma nota, quella di Alfredo Cazzola. Nato a Bologna nel 1950, è stato proprietario della Virtus Pallacanestro dal 1991 fino al 2000, portandola a vincere tutto, andando poi a ricoprire anche il ruolo di presidente della LBA (Lega Basket A) dal 1998 al 2000. Alfredo accompagnerà i rossoblù dalla B alla A, cedendo poi la società a Renzo Menarini una volta raggiunto l’obiettivo della promozione nella massima serie.
2007
Massimo Marazzina. Nel 2006 esplode come una bomba a mano Calciopoli, scandalo che vedrà la retrocessione della Juventus in Serie B, ricchissima in questa stagione di squadra blasonate, come Bologna, Genoa e Napoli, oltre ai bianconeri. Ed è qui che le strade del bomber di provincia Massimo Marazzina e del Bologna si incontrano. Una carriera da giramondo quella dell’attaccante di Lodi, che ha sfiorato anche Inter e Roma, senza che sbocciasse mai l’amore. Sotto le due Torri si conquista il favore del pubblico, segnando goal in quantità, otto nei primi sei mesi del 2007, mentre nella stagione successiva contribuirà con le sue reti a trascinare i rossoblù nuovamente in Serie A.
2008
Marco Di Vaio. Prima giornata della Serie A Tim 2008/2009, Milan-Bologna. In uno stadio Meazza gremito per salutare il nuovo campione di rossonero vestito (tale Ronaldinho Gaucho), ritorna fra i grandi il Bologna. E lo fa nel migliore dei modi, guastando la festa al Diavolo delle stelle: la bomba di Ciccio Valiani da trenta metri all’incrocio dei pali è la ciliegina su una torta dolcissima, fatta della stessa sostanza di cui sono fatti i sogni. Sogni che, se tifi rossoblù e sei a Milano a tifare i tuoi colori, hanno un nome ed un cognome: Marco Di Vaio, che con un mancino da biliardo, su sponda di Amoroso, consegna il pallone al fondo della rete alle spalle di Abbiati. Un bellissimo sogno ad occhi aperti che continuerà sino al 2012, quando l’attaccante nato a Roma lascerà l’Emilia per approdare in Canada.
2009
Sinisa Mihajlovic. Ha vinto quasi tutto da calciatore e, terminata la sua carriera da giocatore, ha voluto cimentarsi con quella da allenatore. Subentrato a Daniele Arrigoni, Sinisa Mihajlovic non ha lasciato un ricordo felicissimo fra le vie di Bologna: alla prima avventura in solitaria su una panchina di Serie A, ottiene solo quattro vittorie, che sono spedite nell’oblio dalle nove sconfitte e dagli otto pareggi. Otto pareggi totali per il serbo, di cui cinque consecutivi, che gli sono valsi il soprannome di “Mister X”. Non proprio un appellativo memorabile per un personaggio sportivo dalla bacheca ricca come la sua.
2010
Adailton. Juventus – Bologna, 27 Settembre 2009, 1-0 per i padroni di casa. In una delle scenette da bar tanto care al nostro Direttore, un tifoso giura di essere pronto a divorare i suoi stessi testicoli se il giocatore appena sceso in campo segnerà il gol del pari. Non siamo in grado di raccontarvi la reazione del sostenitore al momento in cui, sul cross di Giacomo Tedesco, Adailton devia in rete il pallone che vale l’1-1. Per l’esperto attaccante brasiliano sarà una stagione da incorniciare, con 11 reti realizzate, la tripletta dell’ex al Genoa e qualche grande pennellata su calcio di punizione. E, sulla coscienza, anche i maroni di uno spettatore televisivo.
2011
Gaston Ramirez. Talentino prelevato dal Penarol, approda alla corte di Franco Colomba nel 2010 ed è subito amore a prima vista. Classe ’90, esordisce con la casacca rossa e blu addosso il 26 Settembre contro il Catania, riempiendo gli occhi dei tifosi con le sue giocate di grandissima qualità. Proprio contro i siciliani la decide lui al ritorno con una fucilata dai 35 metri, all’ultimo respiro regala il pareggio ai suoi contro il Cagliari grazie ad un tiro al volo che si insacca sotto la traversa. Questo e tanto altro era il “Nino” Ramirez, giocatore di indiscutibile talento, poi persosi nei meandri della foltissima ed oscura boscaglia calcistica di questi anni.
2012
Stefano Pioli. Nato a Parma nel 1965, Stefano Pioli, dopo le premesse non proprio positive che lo accompagnano, arriva sotto le due Torri. Nella sua carriera da calciatore ha vinto una Coppa dei Campioni ed un campionato italiano, continuando poi la sua strada nel mondo calcistica in panchina. Esonerato dal Palermo dopo il fallimento nella rincorsa alla Champions League, il primo anno sulla panchina felsinea è trionfale: 50 punti in 33 gare, con otto gare consecutive senza conoscere sconfitta. Un’avventura iniziata al meglio e conclusasi nel peggiore dei modi: uno strappo tra lui e la dirigenza che non si cucirà mai, lo porterà all’esonero nel Gennaio del 2014, all’alba dell’ultima caduta dei rossoblù.
2013
Alessandro “Alino” Diamanti. 10 Novembre 2010: il Brescia pareggia 1-1 con la Juventus. Poco importa del marcatore dei bianconeri, perché tutti, all’uscita dallo stadio, hanno in testa solo la prodezza a cui hanno appena assistito, in un loop che non conosce fine. L’esterno perfetto di Alino Diamanti, che dopo quella prodezza viene accostato a tante big, salvo poi approdare al Bologna. Che grazie alle sue giocate condurrà ad un nono posto nel 2012, divenendone capitano l’anno successivo, dopo aver conquistato la finale dell’Europeo ed aver realizzato il rigore decisivo contro l’Inghilterra in semifinale.
2014
L’ultima onta. La squadra che ben aveva figurato nelle ultime stagioni viene smantellata, pezzo per pezzo, al fine di risanare le casse in rosso di una società allo sbando e di una gestione scellerata. Ultimo in ordine cronologico, Alessandro Diamanti, ceduto a mercato ormai scaduto in Cina, come beffa finale ai sogni rossoblù. Esonerato Pioli a Gennaio, è Davide Ballardini il capro espiatorio, colui che accompagnerà in questa lenta agonia i tifosi rossoblù, fino all’ultima partita della stagione: Bologna-Catania 1-2. Serie B, conti in rosso, rischio di fallimento: il Bologna ad un passo del baratro, ancora una volta si è sputato sulla storia.
Ma per l’ultima volta.
2015
Joe Tacopina. La resurrezione del Bologna ha due nomi e cognomi, il cui primo artefice è senza dubbio Joe Tacopina. Nato a New York nell’Aprile del ’66, acquisisce il Bologna nell’Ottobre del 2015, capitanando una cordata di cui fa parte anche Joey Saputo. Ottenuta la promozione nella massima serie con i rossoblù, per alcuni contrasti con il magnate canadese si dimette dall’incarico di presidente dei felsinei, ripartendo da Venezia la stagione successiva, con cui riconquista la Serie B dopo dodici anni.
2016
Joey Saputo. Un viaggio lungo 64 anni, concluso con una cittadinanza onoraria, il pianto ininterrotto di papà Lino nel raccontare la storia della sua partenza e quelle più contenute di un emozionato Joey. Perdonateci, tifosi rossoblù, se l’istantanea che vogliamo raccontare per la stagione 2015/16 è quella di una famiglia di migranti che fa ritorno a Montelepre, nel palermitano, e si commuove nel raccontare di avercela fatta, con l’orgoglio di avere le proprie radici in Italia. Senza le quali, probabilmente, oggi non avremmo Joey Saputo alla guida del Bologna. E forse, non avremmo neanche un Bologna Football Club 1909…
2017
Simone Verdi. Arrivato sotto le due Torri come eterna promessa, Simone Verdi si è ritagliato uno spazio sempre più importante sul terreno di gioco e nel cuore dei tifosi rossoblù. Nativo di Broni, il talento scuola Milan ha incantato gli spettatori del Dall’Ara con giocate incredibili: dalla prodezza balistica realizzata contro la Sampdoria, ai due goal su punizione contro il Crotone, realizzati con due differenti piedi. Ma la gemma più bella l’ha regalata a bocce ferme: il suo rifiuto al Napoli nella sessione di trasferimenti invernale. Un gesto che va oltre i soldi ed oltre lo sport, per ricambiare l’affetto di una piazza intera, innamorata del proprio numero 9.
2018
Federico Santander. Dopo l’addio di Simone Verdi, la campagna acquisti estiva del Bologna ha creato più di qualche malumore. Soprattutto l’arrivo di un attaccante paraguaiano dal Copenhagen, pagato ben sei milione, tale Federico Santander. Giunto a Bologna incerottato dopo un infortunio, ha svolto parte della preparazione aggregato alla squadra, entrando a pieno regime solo nel mese di Settembre. Ha faticato all’inizio, ma dopo essersi sbloccato con le due reti a Roma ed Udinese, sembra aver finalmente trovato la sua dimensione. E da oggetto misterioso è diventato idolo delle folle. E “che ce frega di Ronaldo, noi c’abbiamo Santander”!
2019
Sinisa Mihajlovic. Arrivato nel gennaio scorso, ci ha messo pochissimo per entrare nei cuori dei tifosi e della squadra. All’esordio il successo contro l’Inter e poi una cavalcata senza sosta che ha portato i rossoblù al decimo posto finale in classifica. Quest’estate non è stato facile per il Club trattenerlo, ma una campagna acquisti che lo ha convinto ha fatto continuare il matrimonio tra lui e il Bologna. La notizia della sua malattia ha scosso tutti, ma noi tutti lo aspettiamo al 100%, sicuri che vincerà questa battaglia!
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