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Trent’anni di Sartori: gli esordi

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L’uomo del momento a Bologna è Giovanni Sartori. L’ex DS di Atalanta e Chievo Verona arriva in un ambiente deluso dalla situazione stagnante del Bologna, mai in grado di andare oltre il 10° posto nella gestione targata appunto Bigon-Mihajlovic. Confermato il serbo, Joey Saputo ha deciso di puntare sul miglior “prodotto” sulla piazza, Giovanni Sartori appunto. Sartori è sinonimo di certezza, di progetto, un rilancio in grande stile, nonostante i salotti TV e le prime pagine dei giornali non siano mai stati l’habitat del dirigente lombardo.

Sartori ha salutato quest’anno l’Atalanta, dopo 8 anni assieme. Un lavoro cominciato nel 2014, quando i bergamaschi erano una provinciale, tornata in A da qualche stagione, sempre in lotta per la sopravvivenza nella massima serie e con una nuova (vecchia) proprietà, tornata alla guida della Dea dopo quasi 20 anni. Oggi Sartori con l’Atalanta ha concluso la prima stagione senza qualificarsi per le coppe europee dalla stagione 2016/17. Un risultato che ha ancor più del clamoroso se si pensa che i nerazzurri in questo lasso di tempo trascorso stabilmente in Europa sono arrivati addirittura a qualche secondo dalla semifinale di Champions League. 

Sartori è un rilancio, una dichiarazione d’intenti a lungo termine di Joey Saputo, non una scommessa ma una giocata di poker texano con un doppio asso in mano. A Bergamo ha svolto il ruolo di direttore sportivo della Dea con competenza e creatività, portando benefici tecnici ed economici, in un clima di tensione e di scontro con il primo referente tecnico della squadra: Gian Piero Gasperini. Con il tecnico di Grugliasco i rapporti sono stati difficili fin dal primo momento, ma la professionalità di Sartori e quella di Gasperini hanno permesso alla Dea di compiere una serie incredibile di stagioni, che l’hanno portata dal rango di provinciale a quello di big del campionato di Serie A.

Non è solo la Dea ad aver reso Sartori un dirigente di altissimo livello. Gli otto anni in nerazzurro sono arrivati dopo 22 anni alla guida dell’area sportiva del Chievo Verona, portato dalla C1 alla Serie A, verso l’infinito e oltre…

Ma cosa ha reso speciale il lavoro di Sartori in questi anni bergamaschi e quelli della lunga militanza (1992-2014) al Chievo Verona?

Il Sartori extracampo comincia nel 1989: dopo un’ultima stagione “da chioccia” dello spogliatoio al Chievo Verona, promosso dall’allora C2 alla C1, si ritira e diventa assistente di Gianni Bui, tecnico originario di Serramazzoni, suo ex compagno ai tempi dell’inizio della carriera al Milan. Ricopre questo ruolo per due stagioni, facendo esperienza come allenatore e avvicinandosi sempre di più alla famiglia Campedelli, proprietaria del club. Alla morte di Luigi Campedelli, la presidenza viene assunta dal figlio Luca. Il giovane figlio dell’imprenditore eredita dal padre non solo la Paluani, azienda dolciaria di Verona, ma anche il Chievo. Luca, già vicino alle vicende del club, decide di riporre la propria fiducia in Giovanni Sartori e gli affida immediatamente la direzione tecnica del club.

Nel 1993/94 chiama sulla panchina del Chievo Verona un giovane Alberto Malesani, che da Chievo spiccherà il volo per vincere nel 1999 la Coppa UEFA alla guida del Parma. Con Malesani in panchina, alla seconda stagione da DS, la formazione gialloblù conquista una storica promozione in Serie B. L’adattamento alla Serie cadetta è ovviamente lungo e dispendioso, ma il progetto è solido. La fiducia in Sartori non è mai in discussione, segno di un progetto fondato sulle capacità di un uomo che al calcio ha dedicato la sua vita. Durante gli anni in Serie B costruisce una rosa che si adatta lentamente alla serie cadetta, passando anche attraverso errori e stagioni difficili come quelle del post Malesani quando il Chievo cambia guida tecnica 3 volte in 2 stagioni. Nel 2000 arriva la svolta, Sartori scommette su Luigi Delneri, fino ad allora tecnico impegnato in C, dove aveva ottenuto ben 3 promozioni dalla C2 alla C1 e una dalla C1 alla B. È il momento del grande salto. Sartori punta su giocatori “scartati” e giovani di belle speranze. La rosa del 2000/01 vede protagonista Eriberto, poi rimasto nella memoria come Luciano, meteora bolognese proprio l’anno precedente, e “portato” dal Chievo fino alla chiamata dell’Inter; Bernardo Corradi, giovane centravanti, su cui il Cagliari dopo alcune stagioni incolore aveva deciso di non puntare più; un giovanissimo Simone Barone, la cui salita verso la gloria cominciò da Chievo per arrivare fino alla rosa dei 23 del Mondiale 2006; ma anche e soprattutto Eugenio Corini, scartato dalla Juventus e da altre formazioni Serie A, prima di diventare proprio con la maglia clivense il più importante interprete del ruolo di regista in Serie A dietro Andrea Pirlo. Il piccolo Chievo Verona, squadra di quartiere in una città che cha visto l’Hellas conquistare anche uno Scudetto, chiude la stagione al terzo posto e approda clamorosamente in Serie A.

Un gruppo di giocatori che grazie a Sartori, dopo la promozione e alcune incredibili stagioni in Serie A, vennero venduti a squadre di medio-altra Serie A per cifre importanti diventando in alcuni casi protagonisti di squadre rimaste nella memoria del calcio italiano.

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