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Tributo a “Dondolo”: Bologna ricorda Harald Nielsen, l’uomo che parlava con i gol – 12 ago

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Se ne è andato così, una mattina di agosto di quelle in cui tra afa e giornali di calciomercato rischi quasi di non prenderla con la dovuta amarezza. E invece chi tifa Bologna deve fermarsi un momento, e dedicare qualche minuto del suo tempo al ricordo (o alla conoscenza, nei più giovani) di Harald Nielsen, fantastico centravanti danese che firmò l’ultimo Scudetto rossoblù, nel 1964, e che unanimamente è considerato dopo Angelino Schiavio il più grande centravanti che il Bologna abbia mai avuto.

Nato a Frederikshavn, uno di quei paesini bellissimi e un po’ malinconici che ci sono nell’estremo nord della Danimarca, si mette fin da subito in mostra nella squadra cittadina, che mai prima e mai dopo avrà gloria ma in quel momento può vantare senza saperlo la presenza del miglior centravanti del Paese: ad appena 18 anni Nielsen segna gol a valanga, porta la piccola squadra in massima serie (vi esordisce poi con una tripletta) e si guadagna la maglia della Nazionale. Ne è il più giovane esordiente, segna subito contribuendo alla vittoria sulla Norvegia, e nel frattempo, gol dopo gol conquista il titolo di capocannoniere, come la stagione precedente in seconda divisione. Due titoli di “re del gol” in Danimarca non bastano per attirare le attenzioni del calcio italiano, che in quel periodo nella Scandinavia dei dilettanti ha trovato la nuova terra promessa per quel che riguarda gli stranieri: i nordici piacciono, sono seri lavoratori e bravi calciatori, soprattutto costano poco. Nielsen finisce al Bologna grazie ai tanti gol segnati in patria e anche alle 15 marcature in 14 gare che segna con la maglia della Danimarca nel giro di appena due anni, 6 delle quali segnate nelle Olimpiadi di Roma, dove i danesi a sorpresa hanno raggiunto il secondo posto dietro la fortissima Jugoslavia. Quei gol segnati su suolo italico sono il lasciapassare per Nielsen al Bologna: lo vuole Dall’Ara, il presidentissimo, che sogna di dare ancora il tricolore alla squadra della sua vita e vede il modo migliore in questo centravanti che forse non ruba gli occhi per classe e dribbling ma quando si tratta di sbatterla in fondo al sacco risponde sempre presente. Ci ha visto giusto: si può pensare che nel Paese della tattica e del catenaccio avrà difficoltà, e Nielsen invece dopo un anno di assestamento (in cui segna comunque 8 reti in 16 gare) vince per due stagioni consecutive la classifica marcatori della Serie A: segna in tutti i modi, e non è un caso che lo faccia soprattutto quando al suo fianco arriva il funambolico Helmut Haller, passaporto tedesco ma anima e piedi sudamericani. I due in campo funzionano alla grande, fuori un po’ meno, con Haller che rinfaccia a Nielsen i tanti gol segnati solo grazie ai suoi geniali assist e di non essere un portento di tecnica e il danese che risponde con i gol, che poi sono il suo mestiere.

Il più importante lo segna il 7 giugno 1964 all’Olimpico di Roma, la dove ha iniziato la sua avventura italiana con la maglia della Danimarca nel frattempo persa per sempre per un assurdo regolamento interno che vieta la maglia della Nazionale a chi gioca da professionista: sarà per lui un grande dolore non poter difendere la bandiera del proprio Paese, e non mancherà ripetutamente di rimpiangerlo e di lamentarsene. Pazienza, è Bologna adesso il centro di tutto, e appunto il 7 giugno 1964 arriva il gol che vale lo Scudetto, l’ultimo del Bologna, quello in omaggio al Presidente Dall’Ara da poco scomparso e che lo aveva fatto diventare un calciatore vero. Quel gol il grande Gianni Brera lo racconta così: “Al 36′, palla-gol da Fogli a Nielsen: sinistro alto. Ma dopo 2’30”, Fogli si ripete e questa volta Nielsen non sbaglia: il suo sinistro è secco e preciso: Sarti fuori causa. I bolognesi si abbracciano festanti : gli interisti scuotono il capo e si seccano. È finita.”


Quello che nessuno sa è che è più o meno finito anche quel Bologna, che invece di aprire un ciclo lo chiude: morto Dall’Ara non c’è più nessuno che tiene a bada Haller e Nielsen, che si beccano più e più volte finendo per peggiorare il proprio rendimento in campo. Finisce che diversi anni dopo, senza essersi mai ritrovati, i due si separano: Nielsen finisce all’Inter, Haller alla Juventus un anno dopo. “Dondolo”, come lo chiamavano i tifosi per via di quel suo muoversi caracollante e imprevedibile, a 26 anni sembra già un ex, anche per via di numerosi acciacchi che non gli permettono di rendere al meglio: all’Inter – dove inizia sconfiggendo in amichevole nientemeno che il Santos di Pelé – rimane una stagione e gioca poco più di un pugno di gare nonostante le belle premesse, stessa cosa a Napoli la stagione dopo e poi alla Sampdoria, piazze in cui non riesce a ritrovarsi. Niente da fare, l’epicentro di Nielsen era Bologna, quella città che non scorderà mai, neanche quando tornato in Danimarca a fine carriera diventa un brillante imprenditore insieme alla bellissima moglie Rudi, venendo poi coinvolto nella nascita del calcio professionistico anche in Danimarca, fattore che eviterà ad altri campioni come lui di soffrire l’esclusione dalla Nazionale.

Diventa membro del FC Copenhagen, e per decine di stagioni non perderà una sola gara casalinga del club, ma non dimentica Bologna, che nel 2004 lo premia con il “Nettuno d’Oro” che va a chi ha contribuito a innalzare il nome della città nel mondo. Lo scorso settembre riabbraccia la città che lo ha visto eroe, raccontando che per tutto il tempo del viaggio non ha fatto che pensare a Bologna, a quanto aveva voglia di rivederla e di rivedere i tanti amici che ha lasciato in città: confessa di non essere stato bene, ma che ora va meglio e che è qui per dare una spinta alla squadra, che nel cinquantenario dello Scudetto è scivolata in B. Allo stadio non può trattenere le lacrime per l’emozione, mentre i tifosi, in gran parte figli e nipoti di chi veniva ad applaudirlo quando era il re dei bomber della Serie A, gli dedicano uno striscione (“Nielsen eterna bandiera”) e un lungo e convinto applauso. Purtroppo è l’ultima volta che “Dondolo” vede i suoi tifosi. Nielsen in Danimarca vuol dire gol: prima di lui tale Sophus Nielsen, nelle Olimpiadi del 1908, aveva segnato 10 reti in una sola gara, a lungo un recordo mondiale, ma quando Harald cominciò a giocare a calcio fu chiaro a tutti che sarebbe stato lui ad essere identificato con quel cognome e con l’atto di mettere la palla in fondo al sacco. E adesso a Bologna non rimane che piangere il suo eroe, spirito ribelle e anticonformista e miglior centravanti dal Dopoguerra a oggi.

foto: [1]ilgiornale.it, [2]sportpeople.net, [3]dbu.dk, [4]rudiogharald.dk, [5]ilrestodelcarlino.it

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