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Tutto calcio che Cola #60: Ciao Gibì – 03 giu

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È scomparso oggi, all’età di 89 anni, Giovan Battista Fabbri. Per ricordare a tutti chi sia stato questo allenatore che ha vissuto “una vita di bel calcio” (come il titolo del suo libro autobiografico) e di quale impatto abbia avuto nel movimento calcistico italiano, abbiamo deciso di riprodurre parzialmente quanto scritto dal sottoscritto in occasione della sfida di campionato tra Bologna e Vicenza.

Ed ecco il Vicenza. Una squadra provinciale che ha saputo entrare nella storia del calcio italiano grazie ad una stagione da record. Che poi, lo dice la storia, i record sono fatti per essere infranti. Ma a quello del Vicenza, anzi del “Real Vicenza”, difficilmente accadrà. Dovrebbe accadere che una squadra, appena promossa dalla Serie B, vinca lo Scudetto. Ecco che in quel caso quella miracolosa squadra di provincia che stupì l’Italia intera nella stagione calcistica 1977-78 potrebbe essere dimenticata. Ma il fatto che in oltre un secolo di campionati non sia mai accaduto la dice lunga sulle possibilità che ciò accada.

Immortale per sempre, dunque, il “Real Vicenza”. Guidato da un rivoluzionario del calcio, che aveva fatto propri gli insegnamenti del “Totalvoetbaal”, il Calcio Totale olandese, e quelli di Corrado Viciani, santone della Ternana. La rivoluzione, lo spettacolo in provincia, dunque. Si chiamava Giovan Battista Fabbri, ma tutti lo chiamavano Gibì, profeta del “bel calcio”. Aveva preso il Vicenza in Serie B e lo aveva portato in Serie A giocando appunto un bel calcio offensivo. Una società che funzionava: Fabbri allenatore, presidente Giussy Farina, imprenditore ambizioso e spericolato. La stella è Paolo Rossi, un giovane che era una promessa della Juventus prima che un infortunio tremendo durante un prestito al Como gli portasse via i menischi. Era stato dato per finito a neanche vent’anni, in B aveva invece infilato la palla in fondo al sacco per 21 volte. Quel Vicenza parte male, patendo l’impatto con la A e una scarsa consapevolezza nei propri mezzi. Tre punti in cinque gare, non uno “score” tremendo ripensandoci adesso: tre pareggi – uno con il Torino di Sala, Pulici e Graziani – e due sconfitte contro Milan e Inter, non le ultime arrivate. E Paolo Rossi? Non segna. E la squadra fatica. Fabbri la schiera con un 4-3-3 a ventaglio, le ali larghe che si inseriscono a turno, i terzini che si sovrappongono gagliardi e un centrocampo senza un vero regista. La prima vampata di Rossi (futuro “Pablito”) arriva alla sesta giornata: doppietta in trasferta all’Atalanta, un’altra doppietta dell’esordiente centrocampista Mario Guidetti. Si comincia a volare: 2 a 1 alla Lazio, 3 a 1 a Firenze e poi spettacolare 4 a 3 alla Roma con tanto di rigore parato da Ernesto Galli allo specialista Di Bartolomei proprio allo scadere.

Che squadra, quel Vicenza che presto viene chiamato “Real Vicenza” per il suo gioco spettacolare e per il suo affrontare qualsiasi avversario a viso aperto: in porta Ernesto Galli, libero giostra l’elegante ex-mezzala Giorgio Carrera – che passerà anche brevemente da Bologna – mentre lo stopper è l’efficace e tenace pisano Valeriano Prestanti. I terzini, che macinano chilometri sulle fasce, sono Vito Callioni a destra e Beppe Lelj a sinistra. A centrocampo manca un regista vero, ma sono presenti tre giocatori dalle caratteristiche diverse ma con alcuni tratti in comune: bravi nelle due fasi, capaci negli inserimenti. Renato Faloppa è il capitano e la bandiera: trevigiano, a Vicenza ha messo casa e in biancorosso giocherà l’intera carriera che conta. La barba lunga, il fisico prestante ma robusto (“da mangiatore di polenta” dicono i tifosi), dei tre è il più difensivo. Al suo fianco il già citato Guidetti, abile negli inserimenti, e il geometrico Giancarlo Salvi, a lungo bandiera della Sampdoria e il più esperto del gruppo con i suoi 33 anni. In attacco, di fianco a un Paolo Rossi che sta letteralmente esplodendo come uno dei massimi rapaci dell’area di rigore che il calcio ricorderà – ma che è abile anche nel dialogare con i compagni, è bene ricordarlo – giostrano in due: il biondo Franco Cerilli, come Rossi rapidamente bollato giovanissimo all’Inter come futuro campione e poi subito dopo come meteora a neanche 24 anni; il baffuto Roberto Filippi, estroso cavallo pazzo. Giocano per Rossi, segnano appena un gol a testa, ma va bene così.

Alla fine del campionato è gloria vera: per lo Scudetto non c’è storia, lo vince la Juventus già campione l’anno precedente e guidata da Trapattoni in panchina e da Bettega e Causio in campo. 5 punti sotto però ecco il miracoloso “Real Vicenza” di Fabbri: 14 vittorie, 11 pareggi, 5 sconfitte. Soprattutto il miglior attacco del torneo: 50 reti in 30 gare, quasi la metà – 24 – ad opera del capocannoniere del torneo, quel Paolo Rossi che Bearzot si porta pure all’imminente Mondiale in Argentina. C’è entusiasmo a Vicenza, una città che non ha mai vissuto il grande calcio e dove tutto è nato grazie ad un professore di ginnastica innamorato di questo gioco giunto dall’Inghilterra ma che lui giurava essere italianissimo. Aveva tradotto interamente le regole per insegnarle nella sua palestra, dando così vita al Vicenza nel lontano 1902: il suo nome era Antonio Libero Scarpa, insegnava educazione fisica al liceo dove il preside era Tito Buy. La squadra nacque così: il prof allenatore, il preside presidente. E si, la gloria era stata sfiorata subito all’esordio – guarda un po’ – con la finale per lo Scudetto 1910-1911 persa malamente con la Pro Vercelli, ma poi erano giunti decenni bui.

Nell’estate del 1978 a Vicenza dunque si respirava un’aria fantastica: Farina riscatta completamente Paolo Rossi per 2 miliardi e mezzo di lire, una cifra pazzesca, mentre Fabbri chiede ai suoi ancora di più, un gioco migliore e più gol da parte degli altri giocatori. Risultato? Il Vicenza non si ripete assolutamente, anzi: arriva il 15° posto e la retrocessione – il Bologna si salva per un pelo, rimandando l’agonia – con conseguente smantellamento di quella squadra mitica e inspiegabilmente vittima di un crollo che le cessioni di Lelj (Fiorentina) e Filippi (Napoli) (partiti per finanziare parzialmente il riscatto di Rossi) non spiegano. Anni dopo verranno fuori diversi sospetti, soprattutto quando alcuni di quei giocatori finiranno nel calderone dei vari scandali legati al Calcioscommesse. Fabbri non tornerà più così grande, passerà da varie squadre (Bologna compreso) senza trovare più la giusta alchimia: Farina, nei guai finanziari per l’acquisto del pupillo Rossi e la retrocessione, lascerà il Vicenza per poi tornare in modo fallimentare alla guida di Milan e Padova. L’unico a trovare la vera gloria sarà proprio Paolo Rossi, che dal primo scandalo relativo alle scommesse rinascerà proprio a ridosso del Mundial del 1982, che passerà alla storia come il “suo Mondiale”.

Ed ecco cos’è stato il Vicenza per il calcio italiano. Da allora una Coppa Italia vinta nel 1998 in finale con il Napoli e anni difficili ma un orgoglio indomito, quello di una provinciale che spesso ha saputo sedersi al tavolo delle grandi senza sfigurare, come in quella magica stagione in cui fu, per tutta l’Italia, il “Real Vicenza”.

Giovan Battista Fabbri (8/3/1926 – 3/6/2015) è stato un allenatore di calcio famoso per il bel gioco che tentava di dare anche alle piccole realtà che ha guidato. Tra gli anni ’40 e ’50 fu giocatore eclettico con le maglie di Centese, Modena, Messina, SPAL, Pavia e Varese e fu soprannominato “Brusalerba” per via del suo impegno costante. Da allenatore ha avuto una carriera incredibile e durata quasi sessant’anni, senza mai raggiungere una “big” ma vincendo “Il Seminatore d’Oro” – premio come miglior allenatore d’Italia – nel 1978, quando guidava il Vicenza. Quella squadra rimane il picco di una carriera spesa inseguendo il bel gioco e vissuta con un carattere forte, che non si piegava davanti a nessuno e che gli è costato qualche esonero, come nei casi di Livorno, Cesena e Venezia, una delle ultime panchine in carriera, dove fu la prima “vittima” di Maurizio Zamparini, noto “mangia-allenatori”. Prima anche una breve esperienza al Bologna, in B, sostituito poi la stagione successiva da uno dei suoi tanti eredi, Gigi Maifredi. Insieme a Corrado Viciani e Gigi Radice è stato tra i primi allenatori in Italia a importare i dettami tattici del “calcio olandese” che gettò le basi per quello che è il gioco che oggi tutti conosciamo. La sua figura andrà quindi sempre ricordata come una delle figure più importanti del calcio in Italia, e questo al di là dei titoli conquistati: perché è facile entrare nella storia se vinci, ma se lo fai pur non vincendo significa che sei un grandissimo. Ciao Gibì.

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