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Calcio

2 luglio 1916: nasce la Copa América – 14 giu

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Giovedì 11 giugno è iniziata ufficialmente, con la partita tra i padroni di casa del Cile e l’Ecuador, la 44^ edizione ufficiale della Copa América, il trofeo che indica quale sia la Nazionale più forte di tutto il Sud America. Questa manifestazione compirà il secolo di storia il prossimo anno, ed è quindi il trofeo calcistico per rappresentative nazionali più antico al mondo. La prima edizione si svolse in Argentina, dal 6 al 17 luglio del 1916, e vide la partecipazione delle quattro nazionali allora esistenti: come sempre, quando si parla del calcio dei pionieri, si parla di uno sport profondamente diverso da quello di oggi – soprattutto nell’organizzazione – e tuttavia già indicativo di come il football fosse passato in poco tempo da passatempo per pochi marinai e operai inglesi a gioco delle masse e passione popolare. In Sud America, più che nel resto del mondo che pure seguì lo stesso percorso, il distacco dallo stile dei “maestri” britannici fu secco e deciso, quasi che popoli orgogliosi e dalla forte identità come gli argentini, i brasiliani e gli uruguaiani volessero creare un proprio stile calcistico.

A dire la verità, prima dell’edizione del 1916, si era già svolto un torneo tra rappresentative nazionali del Sud America: era successo sempre in Argentina, nel 1910, in un torneo passato alla storia come “Copa Centenario Revolución de Mayo”. Istituito per festeggiare il centenario della dichiarazione d’indipendenza argentina. A vincerla erano stati i padroni di casa, prima federazione calcistica sorta in Sud America (1893) il cui campionato era ancora ai tempi dominato dallo spirito “british” dell’Alumni, squadra che raccoglieva studenti ed ex-studenti della “Buenos Aires English High School”: squadra dominante degli anni dilettantistici del calcio argentino, si sarebbe sciolta nel 1912 dopo aver vinto dieci campionati consecutivi per via dello spirito dilettantistico imperante che non le permetteva di sostenere le spese.

 

Nel 1910 il club aveva dato alla Nazionale il suo miglior giocatore, Arnold Pencliffe Watson Hutton, figlio del preside della scuola, e il miglior marcatore del torneo si era rivelato Juan Enrique “Harry” Hayes, centravanti del Rosario Central. Gli argentini avevano vinto il trofeo sconfiggendo nell’ultima gara, e con il rotondo punteggio di 4 a 1, l’Uruguay: entrambe le squadre avevano avuto agilmente la meglio sul Cile, che a dire la verità prima di allora neanche aveva mai formato una selezione nazionale e che non lo avrebbe poi fatto fino al 1915. La “Copa Centenario Revolución de Mayo” del 1910 è da molti sudamericani considerata la prima edizione della Copa América, tuttavia la CONMEBOL non l’ha mai riconosciuta come tale. Per arrivare alla prima edizione devono passare sei anni: nel frattempo il calcio in Sud America è cambiato, lo stile è diventato più tecnico e meno fisico e così come lo stile si sono perse anche le tracce dei tanti immigrati europei che hanno contraddistinto i primi anni del fútbol. Si tratta comunque, come detto, di un calcio ancora in fase embrionale, soprattutto a livello di organizzazione: il Brasile ad esempio aveva faticato non poco a risolvere i contrasti tra la “Federação Brasileira de Sports” e la “Federação Brasileira de Futebol”, e quando vi era riuscito si era trovato a dover sostenere il viaggio in Argentina in treno e non in nave, in quanto quest’ultima avrebbe ospitato la delegazione diplomatica che – incredibilmente – nelle vesti di Ruy Barbosa non vedeva di buon occhio i calciatori (Barbosa li definiva “dei vagabondi”) e aveva rifiutato di compiere il viaggio con loro. Anche in Argentina le due federazioni calcistiche (FAF e AAF) si erano riunite appena nel 1914 dopo anni di screzi e di campionati separati, pur se la squadra era grosso modo ancora quella del 1910 compreso il bomber Hayes – mentre il Cile addirittura era arrivato a formare una propria federazione solo l’anno precedente, nel 1915, e i suoi giocatori benché mostrassero buon talento non avevano alcuna esperienza internazionale, essendo il calcio cileno di quegli anni ridotto a tornei addirittura ancora cittadini. 

L’Uruguay si apprestava invece a diventare la squadra dominante non solo del Sud America, ma del mondo intero, come avrebbe poi dimostrato alle Olimpiadi del 1924 e del 1928 e poi nella prima edizione della Coppa Rimet: il calcio nei dintorni di Montevideo era già una cosa terribilmente seria, Nacional e Peñarol avevano da poco iniziato una rivalità che sarebbe stata eterna e il Paese intero era in un momento a dir poco florido, economicamente e culturalmente. Era stato esteso il diritto di voto alle donne, per esempio, ed era vietata la schiavitù, cosa che aveva fatto fuggire nel Paese dal vicino Brasile i tanti schiavi arrivati dall’Africa nel secolo precedente, i cui figli e nipoti erano diventati dei veri assi nello sport: il più grande di tutti, all’epoca, era Isabelino Gradín, stella dell’attacco uruguaiano e del Peñarol, la cui pelle nera spiccava in un’epoca in cui i calciatori di colore erano come mosche bianche. Velocissimo – fu a più riprese campione sudamericano dei 200 e dei 400 metri – Gradín giostrava dietro al centravanti in compagnia dell’eccezionale trio offensivo del Nacional composto da Brachi, Somma e “El loco” Alfredo Ángel Romano, uno dei migliori calciatori di sempre così come il centravanti di quella “Celeste”, José Piendibene, compagno di Gradín nell’attacco del Peñarol e centravanti la cui classe e prolificità sotto porta erano pari solo all’enorme sportività: in tutta la carriera segnò oltre 300 reti senza mai esultare per rispetto verso l’avversario.

Se ci sono dubbi su quale sia stata la prima edizione della Copa América, non ve ne sono affatto su chi fu il primo marcatore di questa competizione: fu proprio José Piendibene, che aveva aperto le danze nella “Copa Centenario Revolución de Mayo” del 1910 e che si ripeté nel 1916, vittima sempre quel Cile che pur vantando tra le proprie fila il basco Ramòn Unzaga (inventore della rovesciata, che poi sarebbe stata “perfezionata” dal connazionale David Arellano) era ancora una squadra “materasso” e che inutilmente fece ricorso per il fatto che l’Uruguay schierasse “due neri africani” come Gradín e Delgado. Dopo essere stato sconfitto per 4 a 0 dall’Uruguay, il Cile prese un’altra sonora scoppola dai padroni di casa dell’Argentina, che debuttarono con un bel 6 a 1 in cui furono segnate tre doppiette, una di queste su rigore dal corpulento difensore Juan Domingo Brown, tra i primi rigoristi della storia. Il Brasile arrivava in ritardo e provato, e inoltre era ancora lontano dall’essere una squadra fortissima come sarebbe diventato in seguito: giocò contro il Cile – che così chiudeva il torneo – e pareggio 1 a 1, venendo raggiunto a pochi minuti dalla fine da Salazar dopo aver condotto grazie al gol di Demósthenes. In rapida successione (3 gare in sei giorni) i brasiliani giocarono le loro tre partite, mettendoci comunque tanto orgoglio e strappando il pari agli argentini e la sconfitta di misura (2 a 1, gol decisivo di Tognola a dieci minuti dalla fine) all’Uruguay, messo alle corde dalle acrobazie di Arthur Friedenreich.

Prima stella assoluta del calcio brasiliano, mulatto figlio di un imprenditore tedesco e di una donna brasiliana, si dice che per giocare – ai tempi in Brasile il calcio era vietato a chi era di colore – si tingesse la faccia con la crema di riso e utilizzasse molta gelatina per lisciare i capelli crespi. Soprannominato “El Tigre”, goleador sopraffino, Friedenreich fu una vera “rockstar” dell’epoca: fumava costosi sigari, beveva raffinato cognac, non perdeva una serata di cabaret e si prestava alle pubblicità. In carriera segnò circa un migliaio di reti, non sbagliò mai un rigore e giocò fin’oltre i quarant’anni.

L’orgoglio brasiliano, capace di strappare un punto all’Argentina padrona di casa e largamente favorita, portò così alla gara finale tra argentini e uruguaiani con questa situazione: l’Uruguay conduceva con 4 punti (2 vittorie), mentre l’Argentina inseguiva con 3, con i brasiliani che si erano fermati a 2 e i cileni a 1. La partita decisiva si sarebbe dovuta svolgere il 16 luglio del 1916, ma una folla incredibile si presentò allo stadio “Gymnasia y Esgrima” di Buenos Aires: bagarini e falsari senza scrupoli vendettero molti più biglietti di quelli disponibili, e in più si era sparsa la voce che per la finale l’entrata fosse gratuita. Così 40.000 persone si presentarono fuori da un impianto che poteva contenerne a stento la metà e pretesero di entrare, accalcandosi anche a bordo campo fino a quando dopo 5 minuti di gioco – e dopo che degli incendi erano scoppiati nelle tribune di legno – l’arbitro della gara, il CT del Cile Carlos Fanta, sospese la sfida. Si riprese il giorno dopo, nell’Estadio “Colón y Alsina” di Avellaneda, e nonostante la grande pressione che l’Argentina praticò per tutta la gara il risultato non si schiodò dallo 0 a 0, grazie anche ai prodigiosi interventi di Cayetano Saporiti, portiere della “Celeste” talmente forte e rinomato che si diceva potesse parare un rigore anche seduto su una sedia. Per la delusione del pubblico argentino l’Uruguay vinceva la prima edizione della Copa América, ai tempi chiamato “Campeonato Sudamericano de Football”, e si preparava ad un’epoca d’oro, dove la sua selezione nazionale sarebbe diventata la più forte del pianeta.

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