Calcio
25 Novembre: giornata per l’eliminazione del machismo tossico
Il 17 dicembre 1999, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha stabilito che il 25 novembre sarebbe diventata la data della Giornata Internazionale per l’Eliminazione della Violenza contro le Donne e che i sedici giorni successivi avrebbero dovuto essere dedicati all’attivismo contro la Violenza di Genere.
Come prima cosa è necessario riflettere su che cosa si intende con violenza di genere. Secondo il sito del Ministero dell’Interno “con l’espressione violenza di genere si indicano tutte quelle forme di violenza da quella psicologica e fisica a quella sessuale, dagli atti persecutori del cosiddetto stalking allo stupro, fino al femminicidio, che riguardano un vasto numero di persone discriminate in base al sesso”. In questa definizione è già possibile identificare un errore: genere e sesso, qua utilizzati in maniera interscambiabile, non coincidono. Con il primo termine, infatti, si identifica la sfera psicologica e la concezione che ogni persona ha di sé, mentre il secondo afferisce al campo biologico e, quindi, alle caratteristiche fisiche utilizzate per distinguere i due sessi. Genere e sesso in una persona potrebbero coincidere, ma potrebbero anche divergere.
In una società in cui questa distinzione non appare chiara, è quindi necessario sottolineare subito la differenza tra la violenza perpetrata in base a una differenza di sesso o a una di genere: compiere atti repressivi e negare diritti a una donna in quanto donna rientra nel primo caso, farlo perché una persona, indipendente dal sesso, non si riconosce nella sua definizione biologica appartiene al secondo.
La definizione di violenza data dal Ministero dell’Intero è altrettanto lacunosa: se quello che viene riportato a livello esemplificativo è corretto, manca tutto ciò che si riferisce al gender gap. Non poter accedere in maniera equa alle stesse mansioni è un atto di violenza, non avere salari equiparati è un atto di violenza, non vedere riconosciuta la libertà di riconoscersi nel genere che si sente proprio, o in nessun genere, è un atto di violenza. Questa violenza è la più subdola, è quella che relega le persone (prevalentemente di genere femminile) a uno stato di inferiorità continuo e lo normalizza nei piccoli gesti. Parlare di femminicidi, di violenze sessuali, di stalking e snocciolare grandi numeri al grido di “serve cambiare” è facile ed è un atto, spesso, vilmente strumentalizzato per lavare le coscienze. Allora perché non considerare violenza di genere le file separate per uomo e donna nei seggi elettorali? Questa è una differenza che pone su piani differenti i due sessi e che al contempo vieta alle persone con un genere divergente rispetto al sesso di autodeterminarsi. Si potrebbe proporre un numero enorme di esempi analoghi, ma è significativo mostrarne uno istituzionalizzato dallo Stato e su cui la maggior parte delle persone tende a non riflettere.
Questi tipi di soprusi sono presenti in ogni ambito della società, compreso lo sport. Ogni anno con l’avvicinarsi del 25 novembre i giocatori di Serie A scendono in campo con un segno rosso in faccia, simbolo dell’adesione alle lotte contro la violenza sulle donne, lavandosi così la coscienza con gesti simbolici. Questi ultimi sono gli stessi resi sterili nel momento in cui sponsorizzati attraverso il volto di un calciatore che, pochi anni fa, fu mostrato nell’atto di picchiare la moglie in un programma tra i più seguiti in prima serata e che, nello stesso servizio, mise in mostra il suo esercizio di controllo all’interno della famiglia con la coniuge limitata al poter svolgere attività solo in ambito domestico. Questi atti non sono mai stati in alcun modo puniti dalla società di appartenenza o dalla Lega calcio, né tantomeno il diretto interessato si è mostrato dispiaciuto degli avvenimenti. Situazioni di questo tipo evidenziano come lotte e simboli vengano strumentalizzati, anche a fine pubblicitario, invece che attribuirgli il loro vero valore. Come è possibile non definire tale strumentalizzazione un atto di violenza?
La violenza di genere, in un ambito come quello calcistico, passa molto attraverso l’ambito mediatico e l’utilizzo delle parole. Un esempio sono le affermazioni fatte in diretta su Rai2 da Fulvio Collovati nel 2019: egli, tra le polemiche dei presenti in studio, affermò che le donne non sono costituzionalmente capaci di capire il calcio come un uomo, sottintendendo, quindi, un’inferiorità genetica del sesso femminile. Rimanendo sul calcio femminile, com’è possibile che una società come la Roma, militante nelle massime competizioni europee, non possa avere uno stadio utilizzabile la sera per mancanza di strumentazioni basilari e che questo non venga risolto? La privazione delle possibilità date ai colleghi di sesso maschile altro non è che un ennesimo atto di celata violenza.
“Per quanto vi credete assolti, siete per sempre coinvolti” recitava una famosa canzone di Fabrizio De André. Questo perché, direttamente o non, i comportamenti che fanno riferimento alla violenza di genere rischiano di essere perpetrati da tutti, magari anche inconsciamente.
È il caso emblematico di Diletta Leotta, giornalista sportiva di fama nazionale e non, che, dovendosi districare all’interno di un mondo complicato come quello del calcio, spesso è vittima di comportamenti che rimandano alla violenza di genere. Essendo il pubblico calcistico prettamente maschile, le viene chiesto costantemente di apparire in forma, smagliante e con trucco e capelli perfetti (cosa che non capita quasi mai ai colleghi maschi). Ed è lei stessa che, per non sembrare sgarbata o per paura di ricevere critiche che andrebbero a minare la sua immagine, si trova costretta a sorridere all’indirizzo di chi le urla: “Fuori le t***e”. Non può rispondere perché sa che se lo facesse, l’insulto meno pesante sarebbe: “Stai zitta t***ia”.
Giudicare a priori una donna per le foto che sceglie di postare e arrivare automaticamente a dire “Le piace il c***o” fa parte del meccanismo malato che vuole oggettivizzarla, renderla una mera proprietà dell’uomo. E questo, nel concreto, porta a sentirsi legittimati a lasciare commenti che rasentano la molestia sessuale: “Io ho pensato per troppi anni a te e al dolce caldo che provochi in me”, “Bellissima ti farei spegnere la candelina tutta la notte”, “Che bella Venezia…. E mi mantengo altrimenti mia moglie si ingelosisce”.
Come detto prima, la violenza di genere è spesso perpetrata anche dai media. Questo succede particolarmente con le compagne dei giocatori che non vengono considerate come esseri umani ma come “moglie di…”. Basta googlare il nome di Georgina Rodriguez per vedere che numerosi quotidiani la citano come “lady Ronaldo”, come se la donna potesse acquisire importanza di riflesso dall’uomo. E la stessa sessualizzazione del corpo femminile continua soprattutto sui tabloid o i giornali scandalistici che, sempre nell’ottica di attirare un pubblico maschile, postano principalmente foto in bikini della diretta interessata nell’articolo. Insomma, scelte a livello mediatico che vanno oltre l’immagine in sé, ma sono la rappresentazione di una società che si professa bigotta quando una donna decide di sé stessa e del suo corpo (e cosa mostrare di esso), ma allo stesso tempo sfrutta la libido maschile per vendere i propri prodotti.
È un meccanismo che funziona a livello inconscio ed è molto radicato, perciò risulta difficile rendersene conto e decidere di smettere di essere una pedina del “gioco”. Quello che appare così patente è che il clima di machismo tossico all’interno del mondo del calcio colpisce sì le donne (giocatrici, giornaliste, compagne, …), ma anche gli uomini. Parti integranti della nostra società di stampo patriarcale, ai calciatori viene imposto, dagli standard comuni, di essere sempre prestanti, invincibili, eterosessuali (sia mai!), … un modello di perfezione che si allontana dalla realtà dei fatti. Gli esseri umani, per loro natura, non sono tutti uguali, anzi! Ma è la frustrazione dovuta a questo sistema che si trasforma in violenza verso sé stessi (nel non sentirsi mai all’altezza rispetto al mondo) e verso i più deboli.
La giornata contro la violenza di genere dovrebbe essere, innanzitutto, la presa di coscienza che tutti gli esseri umani subiscono pressioni da parte della società, ma non è odiandosi a vicenda che si possono cambiare le cose. Ebbene, a partire dal quotidiano, questo sistema può essere tamponato, magari rinunciando a fischiare la hostess allo stadio.
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