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Calcio

Come un gatto in tangenziale

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Come un gatto in tangenziale, non c’è espressione più giusta per descrivere la durata – breve ma intensa – della Superleague. L’idea era quella di costruire un torneo d’èlite, le squadre più forti del mondo insieme per contendersi il trofeo più pregiato. Dall’ufficialità della nascita del torneo, però, si è capito davvero molto poco. Sono rimasti sorpresi anche Florentino Perez e Andrea Agnelli, rispettivamente presidente e vicepresidente del torneo. Il loro intento era chiaro ed è tutt’ora chiaro, anche se con qualche difficoltà in più: salvare il calcio, riagguantare con gli artigli un sistema in rovina. Agnelli ieri ha detto: “Comunque sono sempre le stesse squadre a vincere da 80 anni”, a difendersi dalle accuse arrivate soprattutto dalle squadre più piccole. 

Sembrava tutto fatto, o quasi. Nessuno però aveva messo in conto l’insurrezione non solo della piccole-medie squadre, ma anche delle big, anche di allenatori o calciatori che di quella Superleague facevano parte. Tifosi, calciatori, allenatori: l’apice in Inghilterra, dove le polemiche hanno travolto le partite di Premier League di Liverpool e Chelsea. Si sono ritrovati bruscamente in un mondo anomalo, lontano dalla realtà. Un calcio troppo brutto, non il calcio popolare che esiste da sempre. Da apprezzare anche il coraggio delle squadre inglesi che, asfissiate dal pressing dei tifosi ma non solo, sono uscite e hanno avuto il coraggio di fare un passo indietro, così come poi via via anche altre squadre, tra cui l’Inter.

Il problema però è un altro, quello che dovrebbe preoccupare tutti aldilà delle polemiche degli ultimi giorni. La Superleague doveva essere nei piani il risultato di una crisi che ormai sta investendo il calcio da diverso tempo: i club che ne avrebbero dovuto far parte hanno debiti per 2.7 miliardi di euro. Esatto: 2.7 miliardi di euro, non spicci. Il problema è che i debiti stanno dissanguando tutto il sistema, e se anche le maggiori potenze al mondo sono al collasso un motivo ci sarà. Punto importante: ci sarebbero altri modi per cercare di sistemare un sistema allo sbando. 

Una cosa è certa: questa Superlega non poteva essere il modo migliore per risolvere i problemi economico-finanziari che hanno travolto il mondo del calcio, ma una cosa buona comunque l’ha fatta. Ha (ri)posto un forte accento su un problema che non può più essere messo da parte, anche perché in rovina ci sta andando tutto il sistema sportivo, non un ristretto gruppo di squadre. Ora la palla passa alla UEFA e a Ceferin, il vero vincitore di questa battaglia. Sembrava con le spalle al muro, ne esce fortificato ma attenzione perché ora, per lui, arriva il compito più arduo: riorganizzare questo sistema che rischia di danneggiare sempre di più il mondo calcio. In ogni scontro ci sono vincitori e vinti, ora sarebbe inutile continuare a puntare il dito contro Perez o Agnelli che, dopo diversi tentativi, ha affermato che questo torneo non esisterà. 

Prima di questo però, Superlega sì Superlega no? Il problema non è la nascita di un nuovo torneo ma la sua costituzione sbagliata. L’obiettivo deve essere quello di studiare costi e finanze dei club, come suggerito brillantemente dal giornalista Marco Bellinazzo, con lo scopo di equilibrare dei bilanci che attualmente fanno pietà. Inutile nascondersi e inutile continuare a far finta di nulla. Poi si può comunque continuare a puntare il dito contro gli artefici di tutto questo, ma non ci sarebbe alcun tipo di risultato. Bisogna agire e farlo subito. Per il bene del calcio, per quel calcio che non vorremmo mai perdere.

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